Adele Marini

La rubrica "Novità editoriali" di Misteri d'Italia è tenuta da Adele Marini, giornalista professionista, specializzata in cronaca nera e giudiziaria, autrice di diversi libri tra cui il noir 'non fiction' Milano, solo andata (Frilli editori, 2005), pubblicato anche in Germania, con cui ha vinto nel 2006 il Premio Azzeccagarbugli per il romanzo poliziesco. Nel 2007, sempre con Frilli, ha pubblicato Naviglio blues, anch'esso tradotto in tedesco. Attualmente è in libreria con l'eBook Arriva la Scientifica (editrice Milanonera), secondo volume della collana Scrivi noir: i fondamentali della scrittura d'indagine dedicata alle procedure investigative e giudiziarie.

Incipit: La fragilità della verità giudiziaria. Un’avvertenza, innanzitutto. Questo non è un libro di storia, ma una ricostruzione giornalistica basata su testimonianze raccolte dall’autore in vari periodi della sua attività e poi incrociate con informazioni provenienti da fonti archivistiche, bibliografiche e giudiziarie.
Il tema è la cosiddetta «trattativa Stato-mafia» che avrebbe avuto luogo tra il 1992 e il 1993, nel traumatico passaggio dalla Prima alla Seconda repubblica, quando le istituzioni sarebbero scese a patti con le cosche concedendo benefici ai boss per indurli ad abbandonare la strategia stragista. Da allora, ciò che accadde in quella fase tra le più tragiche della nostra storia è argomento al centro dell’attenzione pubblica. Riempie i fascicoli delle inchieste della magistratura e le pagine della cronaca giudiziaria. Alimenta i talk show televisivi. Arroventa le polemiche politico mediatiche. Provoca durissimi scontri istituzionali. Ma non si è mai riusciti a venirne a capo: si trattò davvero? e chi trattò con chi? Né la giustizia né la politica hanno saputo o voluto dare una risposta. Almeno una risposta soddisfacente: non parziale, lacunosa o, peggio, di parte. Così, a molti anni di distanza dai fatti, resta un vuoto di verità
.

Ci sono vuoti nella nostra memoria storica che non potranno mai essere colmati. Uno di questi riguarda la trattava Stato-mafia.
Per ammissione di Piero Grasso, ex procuratore nazionale antimafia, oggi presidente del Senato, su questo nodo, che penalizza gravemente le più alte istituzioni: «Ci potrebbero essere ancora tante cose gravi da scoprire. E la cosa peggiore, per un magistrato, è intuire ma non poter dimostrare, perché la verità giudiziaria non coincide con quella storica».
Proprio l’impossibilità di fare luce su questo buco nero è l’idea fondante di questo saggio. L’autore Giovanni Fasanella, storico e giornalista, ammette, infatti, nella sua prefazione che  “L’idea è nata, non a caso, subito dopo la clamorosa decisione della magistratura siciliana di chiedere la revisione dei processi per l’assassinio del giudice Paolo Borsellino perché le undici sentenze di condanna che erano state emesse contro boss e killer mafiosi si basavano su false dichiarazioni di un finto pentito. Insomma, erano il frutto di un ‘colossale depistaggio’”.
Depistaggio che non fu l’unico. Infatti, mentre l’intero  castello processuale sulla strage di via D’Amelio si sgretolava sotto le rivelazioni del ‘vero pentito’ Gaspare Spatuzza,, il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Giuseppe Pisanu, già ministro dell’Interno, consegnava alle Camere e all’opinione pubblica la sua verità: non vi furono mai trattative dello Stato con la mafia, ma soltanto ‘parziali intese’ tra boss mafiosi e ufficiali del Ros dei carabinieri, peraltro condotte all’insaputa dei vertici delle istituzioni. Un’affermazione collocata come una pietra tombale su inchieste e sospetti per assolvere i politici coinvolti addossando ogni responsabilità alle solite ‘mele marce’.
Tutto sarebbe stato insabbiato, annebbiato, annacquato e disciolto negli acidi delle polemiche contraddittorie se mesi fa non fosse esploso il ‘caso Napolitano’. Se non fosse trapelata cioè la notizia dell’intercettazione di conversazioni riservate tra Nicola Mancino, ex ministro dell’Interno ‘attenzionato’ dalla procura di Palermo nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa e il presidente della Repubblica a cui Mancino, sentendosi sul collo il fiato dell’Antimafia, si era rivolto.
L’esistenza delle bobine contenenti le intercettazioni, rivelata proprio da Fasanella in un articolo sul settimanale ‘Panorama’, ha provocato uno scontro fra i pm palermitani e il Quirinale. Il Presidente, sentendosi ingiustamente attaccato, è ricorso alla Corte costituzionale perché accertasse se i magistrati non avessero abusato dei loro poteri intercettando le telefonate private del Capo dello Stato. La corte, com’è noto, gli ha dato ragione ordinando la distruzione dei nastri e mettendo, in questo modo, fine alle speranze dei cittadini di conoscere la verità.
Ma perché tanti depistaggi, tanti tentennamenti per impedire che sia fatta luce su questo lato oscuro della nostra storia repubblicana? La risposta contenuta in questo libro, che altro non fa se non mettere insieme i pezzi di una lunga storia di amicizie, scambi di favori, contiguità, protezioni, corruzioni e depistaggi, presenta una verità scomoda che è sempre stata sotto gli occhi di tutti ma che pochi hanno saputo cogliere a causa della frammentazione delle notizie e della loro manipolazione: la mafia è sempre stata, dall’Unità a oggi, non un anti-Stato, ma un’alleata, oltre che una risorsa, per lo Stato, essendo, per sua natura, la peggior nemica del comunismo e l’ostacolo all’ingresso delle sinistre nel governo. Tutto qui. E scusate se è poco.

Giovanni Fasanella

UNA LUNGA TRATTATIVA. Stato-mafia: dall'Italia unita alla seconda repubblica. La verità che la magistratura non può accertare

Chiarelettere, pagine 240, 11,05 euro anziché 13,00 su internetbookshop

Incipit: Prologo. «Mi dissocio formalmente dall’organizzazione Cosa
Nostra, alla quale io sono appartenuto, facendo parte della famiglia di Partanna-Mondello, famiglia che aveva come capomandamento Saro Riccobono.» Quanti anni sono passati da quando pronunciai questa frase. Era il 26 giugno 1992, alle 16.30. Mi trovavo nel Centro Traumatologico Ortopedico di Firenze, davanti al giudice Pier Luigi Vigna e alla dottoressa Silvia Della Monica.
Da allora, ho lasciato la mia terra e ho imparato a conoscere Roma, guido la macchina, mi muovo con tranquillità. Mi rassicura avere familiarità con certi luoghi della mia nuova città. Non la conosco a fondo come, da mafioso, conoscevo la mia Palermo, ma ormai ho una certa confidenza con l’ambiente romano, so distinguere quello onesto da quello malavitoso. Non mi nascondo, quindi mi è capitato, spesso per puro caso, magari attraverso qualche amico gioielliere, di venire a contatto con la parte sporca della città. Ma non ho mai ceduto alla tentazione dei denari facili.
Sono Gaspare Mutolo, siciliano, collaboratore di giustizia. Come tutti quelli che hanno fatto la mia stessa scelta, ho un passato invadente.

Questa non è la solita biografia di uno dei tanti personaggi con un passato delinquenziale.
Terroristi, mafiosi, sequestratori, rapinatori di banche, assassini: oggi sembra che tutti abbiano un libro da scrivere, un giornalista pronto ad aiutarli a mettere sulla carta le loro sanguinarie esperienze e un editore ansioso di dare alle stampe il capolavoro.
Questo libro è diverso. Gaspare Mutulo non è il primo “pentito” di mafia a raccontarsi in un libro. Però è stato il primo alleato dei corleonesi a “pentirsi” e questo fa una grande differenza perché la sua testimonianza ha offerto ai giudici Falcone e Borsellino una chiave di lettura insospettabile e completa del fenomeno mafioso: quella del prima e del dopo Riina.
Ma perché mai la biografia di Gaspare Mutolo, l’uomo di fiducia di Riina, il suo autista, il depositario di tutti i segreti, dovrebbe essere diversa? Perché in una certa misura è anche la biografia di quell’entità purtroppo ancora troppo astratta che si chiama Italia. E’ un pezzo della nostra storia peggiore, raccontata da chi ne è stato protagonista e, grazie al cielo, non tenta, come fanno tanti, di farsi passare per l’arcangelo Michele.
Gaspare Mutolo è stato un mafioso ‘combinato’ col bacio, il santino e il giuramento di sangue. Un pluriomicida, un killer. Adesso è un uomo diverso ma sa bene che il passato non si cancella. Al massimo si può espiare ed è quello che sta facendo con tutta la sua famiglia. Per i fatti che espone, per i nomi che mette nero su bianco, per gli intrighi che svela, per le contiguità fra mafiosi, politici e uomini delle istituzioni che denuncia, per tutti i do ut des che hanno costituito e continuano a costituire quella zona grigia in cui si mescolano legalità e illegalità, il suo racconto in prima persona è un documento che in un Paese senza memoria come il nostro dovrebbe essere diffuso capillarmente. Perché finalmente dà un senso ai fatti che vengono riportati quotidianamente dai media in modo frammentato e spesso parziale.
Le indagini sulla trattativa Stato-mafia a che punto sono? Che cosa si è rimproverato al presidente Napolitano nel corso delle recenti polemiche? Ha davvero avuto il ruolo che gli è stato contestato nell’insabbiamento? Che fine ha fatto l’agenda rossa di Paolo Borsellino scomparsa dopo l’attentato e di cui si continua a parlare? Le elezioni vinte in Sicilia dal centrodestra con preferenze bulgare esprimevano davvero l’orientamento politico dei cittadini? Perché la mafia è tanto potente da apparire invincibile? Su quali appoggi può contare?
Sono solo alcune delle molte domande a cui questo libro, scritto dall’interno di quel mondo a parte che è Cosa nostra, dà risposte chiare. Per questo è importante leggerlo: perché il potere della criminalità organizzata è sempre più forte e nessuno può sottrarsi al dovere di informarsi.
Per raccontare la propria educazione criminale nei vicoli di Palermo e i suoi trascorsi di mafioso e di killer al servizio del boss Saro Riccobono e, successivamente, del sanguinario Salvatore ‘Totò ‘U Curtu’ Riina, Mutolo ha scelto la giornalista Anna Vinci , autrice di inchieste scottanti e di saggi scomodi fra cui La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi (2011) e Le notti della democrazia (2012). Decine di nastri registrati dalla viva voce del pentito che oggi vive da uomo libero, coperto da una nuova identità, in una grande città.
Un racconto agghiacciante di amicizie pericolose fra boss e servitori dello Stato, di contiguità sanguinarie con le Famiglie siciliane, di patrimoni accumulati illecitamente da politici e pubblici amministratori, di lupare bianche e cadaveri disciolti nell’acido, di amici traditi e nemici  giustiziati, di faide e stragi. E’ tutto qui, nero su bianco perché d’ora in poi nessuno si arroghi il diritto di dire “non lo sapevo”.

Gaspare Mutolo e Anna Vinci

MUTOLO: LA MAFIA NON LASCIA TEMPO.

Rizzoli, pagine 211, 12.75 euro anziché 15,00 su internetbookshop

Incipit: Il diritto d’asilo. Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, articolo 14 […]. Il moderno diritto d’asilo ha radici remote, che affondano nel patrimonio storico e culturale della madre della nostra civiltà, l’antica Grecia. In origine la tutela prendeva di mira non già la persona del rifugiato ma il luogo sulla soglia del quale doveva arrestarsi l’esercizio di ogni umano potere. Lo spazio interno del tempio, in quanto consacrato alla divinità, era asylos, ossia inviolabile. Il luogo sacro accoglieva il supplice, senza distinguere fra colpevoli e vittime, fra perseguitati e criminali.

Da Galeazzo Ciano a Julian Assange, Da Noriega a Cesare Battisti, dal ‘cardinale di ferro’ Mindszenty, ai criminali nazisti sfuggiti al processo di Norimberga, da Tommaso de Vergottini ed Emilio Barbarani accolti nell’ambasciata italiana a Santiago dopo il golpe di Pinochet, da Enrico Calamai, lo “Schindler argentino”, fino ai terroristi palestinesi dell’Achille Lauro, dagli esuli cubani, ai dissidenti cinesi: tutti quanti sono, o sono stati “eroi o criminali in fuga per la libertà o per scampare alla giustizia”. Le loro storie sono esempi di quanto poco contino le virtù e le nefandezze, il coraggio e la vigliaccheria agli occhi di chi li accoglie e li protegge. Perché spesso la concessione di asilo ai rifugiati eccellenti non è motivata da spirito umanitario, ma piuttosto da calcoli politici.

Questo è un libro-inchiesta che si legge come un romanzo, nella cui trama si intravedono  le manovre oscure dei potenti, le manipolazioni dei servizi segreti di tutto il mondo, gli eventi che hanno preluso o portato, anche il nostro paese, all’instabilità e alla sua ’inferiorità’ all’interno del Patto atlantico. Consigliamo di leggerlo con la mente sgombra da preconcetti e aperta a ipotesi che magari collidono con le verità ufficiali ma hanno grosse probabilità di avvicinarsi alla realtà dei fatti.

Paolo Pasteraro

RIFUGIATI. Da Galeazzo Ciano a Julian Assange, Da Noriega a Cesare Battisti

Newton Compton, pagine 214, 8,42 euro anziché 9,90 su internetbookshop

Incipit: La carne di cavallo nelle lasagne alla bolognese e nel ragù delle confezioni di pasta fresca, fino all’ipotesi più inquietante della carne di cane utilizzata per la preparazione dei cibi. Batteri coliformi solitamente presenti nelle feci scoperti in Cina nelle torte al cioccolato dell’Ikea, tranci di carne scaduta da otto anni trovati nei congelatori di un grossista di Milano. Nei primi mesi del 2013 i consumatori si sono dovuti improvvisamente rendere conto di non sapere che cosa stanno mangiando.
Normali truffe, qualcuno che voleva liberarsi di carne macinata in eccesso che il mercato non riusciva ad assorbire, qualcun altro che si è accontentato di materia prima poco costosa, senza verificare se
fosse contaminata. Invece sono l’esempio di quello che sta accadendo in tempi di globalizzazione. Un tema che interessa particolarmente l’Italia: da sempre il cibo è un vanto per il nostro Paese, che si è però accorto di essere fragile e sottoposto ad attacchi concentrici.

Uno dei grandi misteri italiani è come faccia a sopravvivere la nostra acciaccata economia nonostante uno dei settori fondamentali del nostro pil, quello agroalimentare, sia pesantemente compromesso dai business truffaldini della malavita organizzata. E, naturalmente, resta anche un mistero la salute degli italiani che quando siedono a tavola non sanno mai cosa stanno mangiando.
Latte, formaggi, prosciutti, pomodori lavorati, pasta, olio … tutte le eccellenze del nostro made in Italy, le squisitezze che il mondo intero ci invidia e che costituiscono una grossa fetta delle nostre esportazioni sono oro per la malavita organizzata. Manipolarle, sofisticarle, perfino avvelenarle è lucrativo quasi quanto il traffico di droga e quello di esseri umani. Eppure i governi. Tutti i governi senza distinzione di colore, fanno melina. Ritoccano un comma, aggiungono una parola per modificare una legge vigente, aprono un’inchiesta parlamentare destinata a finire nel nulla, ma si guardano bene di andare alla radice del problema per combatterlo efficacemente. E così gli americani ci comprano pasta italiana fatta con farine che arrivano dall’altra parte del pianeta, passata di pomodoro San Marzano preparata col triplo concentrato cinese diluito, prosciutto di Parma fatto con cosce di suini danesi, i meno pregiati d’Europa. Per non parlare della mozzarella di bufala campana contrassegnata dal marchio DOP e preparata con un’alta percentuale di latte vaccino e con caglio industriale congelato acquistato dalla Lituania.
Ogni tanto scoppia lo scandalo ma dopo poco tutto viene messo a tacere. Le pene per le frodi alimentari, a meno che i consumatori non vengano avvelenati, sono ridicole, le indagini per smascherarle, complicate e le protezioni degli imprenditori disonesti, molto efficaci. In poco tempo viene messo tutto a tacere ma se i consumatori italiano dimenticano, i grossi acquirenti stranieri hanno una memoria di ferro. Perdono la fiducia nei prodotti tipici italiani arrivando in molti casi ad annullare gli ordini. Perché, si chiedono, pagare di più per un marchio contraffatto? Tanto vale rivolgersi a produttori locali, più onesti, che importano la materia prima e la lavorano oppure la producono direttamente in loco, perché con il mercato globale la mozzarella di bufala, i pomodori pachino, la pasta, i formaggi tipici e i prosciutti pregiati si trovano dovunque.
E’ così che si distrugge un’economia: con il mercato parallelo dei falsi che nessuno ha veramente interesse a contrastare. Lo spiegano molto chiaramente gli autori di questo saggio:  Mara Monti, giornalista del Sole 24 Ore e Luca Ponzi, della sede Rai dell'Emilia Romagna, che svelando molti segreti delle maxi truffe offrendo una nuova chiave di lettura dei nostri problemi finanziari.
Noi italiani siamo seduti su montagne d’oro accumulato da conoscenze agroalimentari e tradizioni millenarie delle quali però, nell’indifferenza colpevole delle istituzioni, traggono profitto i criminali a scapito non solo dell’economia, ma della salute dei cittadini. Altro che crisi!

Mara Monti e Luca Ponzi

CIBO CRIMINALE. Il nuovo business della mafia italiana

Newton Compton, pagine 247, 8,42 euro anziché 9,90 su internetbookshop

Incipit: Introduzione (di Daniele Cambiaso). Il secolo breve. Il secolo lungo. Il secolo sterminato. Il secolo spezzato. Il secolo più violento della storia dell’umanità. Il secolo dei genocidi. Il secolo dei totalitarismi. Un secolo di guerre e massacri. Il secolo degli estremi. Il secolo americano. Il secolo globale …
Da Eric Hobsbawn a René Dumont passando per William Golding, Charles Maier, Leonardo Paggi, Ernest Nolte, sono stati molti gli studiosi che hanno cercato di appiccicare un’etichetta al Ventesimo secolo, che forse, a questo punto, potrebbe essere decisamente considerato come il secolo più controverso della Storia, per dirla con François Furet.
Difficile davvero individuare con precisione l’essenza di un periodo storico, le cui ombre si allungano fino a noi, recando in dote due guerre mondiali, una Guerra Fredda e un’infinità di conflitti minori; immani sconvolgimenti sociali, politici ed economici; profondi cambiamenti culturali, scientifici e tecnologici.
E forse non è casuale che proprio in questo secolo si sia registrato anche il grande sviluppo della letteratura di tensione, via via affrancatasi da tutta una serie di stereotipi negativi che la confinavano a una funzione di puro intrattenimento fino ad assumere, almeno agli occhi di alcune scuole di pensiero, il valore di nuovo romanzo sociale.

Ci sono molti modi di narrare la storia. Il curatore di quest’antologia, lo scrittore genovese Daniele Cambiaso, ne ha scelto uno insolito e geniale: comporre un grande arazzo del Novecento con dieci racconti che, mescolando più storia che fiction, evocano in modo magistrale l’ésprit du siècle, mettendo a fuoco in un gioco di specchi e riflessi, il sapore, il furore, la crudeltà, l’ipocrisia che hanno lacerato per cento anni il nostro sventurato Paese affamandolo, ferendolo a morte con due guerre mondiali, sfiancandolo con vent’anni di dittatura fascista culminata in un conflitto civile, terrorizzandolo con bombe e attentati, svilendolo perfino nei momenti di apparente tranquillità con l’instabilità politica permanente, la corruzione elevata a sistema e il malgoverno.
Non sempre i fatti narrati dagli autori, pur appartenendo alla realtà, sono quelli finiti sui libri di storia. Spesso si tratta di episodi minori, trascurati dalle cronache ai quali va riconosciuto il merito di mettere a fuoco situazioni, ambienti, personaggi che, presi nell’insieme, danno senso agli accadimenti recenti.
Gli autori, invitati a narrare ciascuno un decennio, hanno preso a pretesto crimini che danno uno squisito gusto noir all’antologia pur conservandone il valore storico.
La raccolta si apre con Il Sogno di Anna, di Stefano Mantero. Inizio secolo: il giornalista Giulio Capurro è inviato dal suo giornale su un piroscafo diretto a Buenos Aires: la terra promessa. Viaggia in prima classe, osservatorio privilegiato che gli consente di mettere a confronto il lusso svagato dei ricchi con la miseria e i pidocchi degli emigranti destinati a diventare schiavi dei fazenderos.
Segue Non come in guerra di Angelo Marenzana, una vicenda imperniata sui fermenti sindacali seguiti alla grande guerra. Sventolio di bandiere rosse e repressioni annegate nel sangue. Poi, Gaggio della coppia Parigi& Sozzi, in cui un giovane trapezista osserva attonito l’aggressività crescente del fascismo nelle città del Nordest in cui il circo si ferma.
In L’uomo con la valigia di Giorgio Ballario, un uomo grigio, ordinato e tranquillo, un italiano dell’Eritrea, è in fuga da un terribile segreto. Con il duo Bresci & Polli, autori di Requiem, siamo in quel non-tempo, seguito alla fine della guerra mondiale, quando i torti dei carnefici e le ragioni delle vittime si confusero fra tradimenti e ambiguità.
Giulio Leoni, sempre alla ricerca di situazioni e atmosfere impregnate di magia,  con il suo Phlebas il Fenicio ci porta a bordo dell’Andrea Doria nella sua ultima  traversata: un naufragio preceduto da inquietanti presagi e funestato da un omicidio.
In Amesha Spenta, uno strano racconto caratterizzato da uno stile personalissimo in cui si mescolano passato e presente, Claudio Asciuti  si serve di una vecchia fotografia per portare alla luce le trame inconfessabili ordite dai Servizi per innescare la strategia della tensione.
La strategia della tensione è l’argomento scelto anche da Adele Marini che, nel suo L’ultimo scatto, svela, attraverso fotografie scattate da un reporter nei minuti che hanno preceduto lo scoppio della la bomba alla Questura di Milano, i retroscena dell’attentato, azzardando ipotesi su esecutori e mandanti, fra i quali  individua un noto trasformista dei giorni nostri.
Vindice Lecis, in L’attentato che non ci fu apre invece una finestra sull’ingerenza dei servizi segreti stranieri nel nostro Paese. Sono gli anni ‘80: un funzionario del PCI in pensione viene incaricato da Ugo Pecchioli di fare luce sull’incidente automobilistico accaduto nel 1973 a Sofia in cui rischiò di morire Enrico Berlinguer. KGB? Servizi bulgari?

Il giro del secolo si conclude con Il sogno di Giorgio Merega. Genova, 1992: vigilia delle Colombiadi. Una vicenda feroce di sfruttamento dell’immigrazione apre il sipario sul lato oscuro di una città in preda alla frenesia.

Autori vari (a cura di Daniele Cambiaso)  

ANTOLOGIA NERONOVECENTO

Cordero editore, pagine 224, euro 15,00 con e-book in omaggio

Incipit: Prologo. In Italia sono 26 i magistrati uccisi  [dal 1939 al 1994] E uno è scomparso nel nulla. Fatta eccezione per Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per gli altri non c’è memoria nazionale o ricordo collettivo del loro tragico esempio compiuto  nell’esercizio della loro tragica funzione.
Capitolo 1. Agostino Pianta, la vendetta sbagliata di un Montecristo del dopoguerra. «Mi dispiace, ma qualcuno dovevo far fuori». Questa la fredda spiegazione di Loris Guizzardi a magistrati e poliziotti che gli chiedevano perché avesse ammazzato senza motivo il procuratore della repubblica di Brescia, Agostino Pianta, primo magistrato a essere ucciso nell’Italia repubblicana.

Questo saggio non è una ‘novità in libreria’ essendo stato pubblicato per la prima volta nel 2009. Però è di una tale attualità che non potevamo ignorarlo, tanto più che all’uscita, benché  la questione delle toghe rosse anche allora fosse un argomento da prima pagina, è stato quasi ignorato dalla critica e dal grande pubblico, proprio come accade ai libri d’inchiesta che risultano indigesti ai potenti: i media non ne parlano e i lettori non li comprano. Soprattutto in un paese come il nostro, dove giornali e tv sono concentrati nelle mani del Potere.
Le toghe di cui si parla qui sono anch’esse rosse ma non per appartenenza politica, bensì per il sangue dei magistrati che le indossavano. Ventisette magistrati, vittime di poteri occulti, di mafia, di trame. Ventisette eroi, inconsapevoli di esserlo, caduti sul campo per non essersi piegati, per non aver voluto aggiustare processi, per aver detto no alle intimidazioni mettendo a rischio anche i propri familiari. E al conto mancano i tanti, non compresi in queste pagine, che sono costretti a vivere blindati, sotto scorta e sempre a rischio. Sacrifici non soltanto non riconosciuti, ma infangati da malignità, da menzogne, da campagne di stampa oltre il limite del linciaggio (dai calzini rossi del giudice Raimondo Mesiano, che condannò la Fininvest al risarcimento di 750 milioni di euro alla Cir di Carlo De Benedetti, alle parole, intempestive ma sincere, del giudice di Cassazione Antonio Esposito…). Giudici minacciati, sempre sotto ispezione ministeriale, additati all’opinione pubblica come ‘un cancro da estirpare’. Giudici assassinati.
In questo libro-inchiesta c’è vita e morte dei togati che hanno sacrificato la vita onorando l’istituzione della quale hanno fatto parte. Un saggio caldamente consigliato a coloro che, ciechi e proni, continuano a parlare di ‘giustizia a orologeria’.

Paride Leporace

TOGHE ROSSO SANGUE. Le storie dei magistrati assassinati in Italia

Newton Compton, pagine 314, euro 13,60 anziché 16,00 su internetbookshop

Incipit: Obama, il trauma e la sinistra del XXI secolo.
Il 6 giugno 2013 il «Guardian» rivela, tramite uno scoop del blogger Glenn Greenwald, che la National Security Agency ha accesso ai metadati telefonici di milioni di americani sulla base della sezione 215 del Patriot Act, approvato da Bush il 26 ottobre 2001 e tutt’oggi in vigore. Il 26 maggio 2011 Obama ha infatti ratificato il provvedimento che estende fino al 1° giugno 2015 le disposizioni transitorie del Titolo II (Enhanced Surveillance Procedure) del Patriot Act che riguardano proprio il potere invasivo dell’esecutivo nella sferaprivata dei cittadini. Di queste disposizioni fa parte anche
la sezione 215 che consente agli agenti federali l’accesso e il sequestro di «archivi, registri commerciali, cartelle cliniche, dichiarazioni dei redditi, richieste di porto d’armi ed in generale banche dati di proprietà di attività commerciali,ospedali, istituti di credito, Internet provider ed analoghe organizzazioni».

Se mai c’è stato, nel panorama editoriale degli ultimi anni, un libro ‘tempestivo’ cioè in linea con l’attualità, un libro che il linguaggio giornalistico definirebbe ‘sulla notizia’, è proprio questo. Scritto non da uno storico, non da un giornalista d’inchiesta ma da un filosofo, affronta fuori dagli schemi del politically correct la pretesa degli Stati Uniti di liberare ‘chirurgicamente’ i popoli dal giogo dei tiranni esportando la democrazia. Naturalmente i vantaggi materiali e politici che derivano dai loro interventi (petrolio, vendita di armi, traffici e commerci) sono solo effetti collaterali favorevoli!
«Giustizia è stata fatta», dichiarò Barack Obama il 2 maggio
2011 dopo l'uccisione di Osama Bin Laden, il padre di tutti i terroristi, nemico mortale dell'Occidente.
L’attacco alle due torri e la conseguente ascesa alla ribalta mondiale di Osama segna un punto di non ritorno per tutti i regimi democratici ma soprattutto per gli USA finiti sotto attacco. A partire da quel ‘dopo’ sembra che tutto sia loro permesso per combattere il terrorismo islamico, anche al di fuori dalle regole del ‘legalismo liberale’.
Secondo l’autore, Simone Regazzoni, professore a contratto di Estetica presso l’Università di Pavia. Filosofo, allievo di Jacques Derrida, infaticabile studioso di filosofia politica e filosofia della cultura di massa, i grandi filosofi come Badiou, Derrida, Zizek si sono limitati a un'ovvia denuncia della war on terror, ma hanno mancato di pensare la guerra evitando di affrontare la questione dell'"Altro-terrorista" come nemico assoluto da annientare in nome di una legittima difesa della democrazia. E’ per questo che Il democratico Obama, premio Nobel per la pace 2009, si appresta a bombardare la Siria assumendosi la responsabilità di una ‘guerra preventiva’ che confermerebbe la linea del suo predecessore Bush: quella che ha come strategia il 'targeted killing': uccidere i bersagli.

In quest’opera del filosofo Regazzoni, la guerra è vista al di fuori delle categorie morali ‘buona-cattiva’  che l’hanno sempre circondata. Vi si parla, fra l’altro, di ‘Altro-terrorista’ come nemico assoluto, da distruggere a ogni costo; delle giustificazioni invocate da chi si propone di esportare la democrazia liberando, a suon di bombe, le popolazioni oppresse, di superamento della legalità e dello spirito umanitario in nome di un interesse globale.

Simone Regazzoni

STATO DI LEGITTIMA DIFESA. Obama e la filosofia della lotta al terrorismo

Ponte alle Grazie, pagine 128, 11,05 euro anziché 13,00 su internetbookshop

Incipit: Vittime: fine pena mai. Questo è un Paese in cui non sempre le vittime, neanche quelle di un reato imprescrittibile come una strage, sono persone da tutelare. Il 14 aprile 2012 la sentenza del processo di secondo grado per la bomba di piazza della Loggia, esplosa a Brescia il 28 maggio 1974, ha condannato le parti civili al pagamento delle spese processuali. Una simile disposizione, pur conforme a quanto previsto dai codici, è apparsa discutibile quanto meno sul piano morale e qualche giorno dopo è arrivato l’annuncio
che il governo Monti si sarebbe fatto carico delle spese.
Analogamente, nel 2005 la corte di Cassazione aveva confermato l’assoluzione per gli imputati dell’attentato milanese di piazza Fontana, la madre di tutte stragi, avvenuto il 12 dicembre 1969, imputando le spese processuali ai familiari delle vittime.

Il sangue enunciato dal titolo è quello delle vittime della strage di Bologna, avvenuta il 3 agosto 1980. Ma ‘le vittime’, nome diventato da tempo collettivo, come ‘gregge’, ‘popolo’ ‘nazione’, del quale i politici si riempiono la bocca spesso a sproposito e non sempre con quella pietas che meriterebbe, prima di diventare vittime sono state persone in carne e ossa con un passato alle spalle e una speranza di futuro che è stata polverizzata dal tritolo.
Le ottantacinque vittime della bomba alla stazione di Bologna erano madri con figli, coppie in partenza per le vacanze, turisti stranieri in visita al nostro Paese, gente semplice, che aveva scelto il treno, nonostante anche allora fosse afflitto da ritardi, da sovraffollamento e scarsa igiene, per spostarsi. E fidanzati in viaggio verso la località scelta per il matrimonio, tassisti in attesa dei clienti fuori dalla stazione, militari in licenza, studenti. Uomini e donne, vecchi e bambini: ogni loro pensiero, ogni desiderio ogni piccola e grande felicità venne spazzata via dall’esplosione  a cui seguì il silenzio sbigottito dei superstiti e, successivamente, il frenetico lavoro dei depistatori.

“Nelle pagine che seguono racconteremo dei morti perché non sono e non devono essere fantasmi da conteggiare. Sono protagonisti di una storia e della Storia, che meritano di ritrovare la loro identità e, appunto, la loro tridimensionalità. E parleremo della reazione di una città che ha concesso allo sgomento solo qualche frazione di minuto. Nemmeno il tempo di far posare la coltre di polvere, e Bologna era un tutt’uno di braccia affondate nei calcinacci, mani a sorreggere barelle improvvisate. Professioni stravolte, con autisti di autobus trasformati in conducenti di provvidenziali autolettighe tirate su in un batter d’occhio. Tutto questo perché alla violenza corrisponde una reazione. Ed è una reazione civile”, scrive l’autrice, Antonella Beccaria, grande cronista e osservatrice degli eventi di straordinaria sensibilità. E non serve aggiungere altro.

Antonella Beccaria

E’ COME SANGUE E NON VA VIA.

I Siciliani giovani, pagine 108, e-book gratuito

Il libro si può scaricare gratuitamente dal sito http://www.diecieventicinque.it/2013/08/01/e-come-sangue-e-non-va-via/

Incipit: Fa caldo, lunedì, nella sala di attesa. A Baggiovara, all’ospedale nuovo. Troppo caldo per essere solo il sette giugno. O forse è lui che è troppo teso. A casa non l’ha detto a nessuno che si trova lì. S’è preso un permesso alla chetichella senza specificare la ragione: motivi di famiglia, ha detto a voce al suo vice Muliere, che per una volta non ha fatto domande. E adesso sta aspettando il medico con un poco d’ansia. O di paura a essere sinceri. Lui, Cataldo: dopo tanto orrore, sangue e morte nella carriera. Paura sì. Per sé, stavolta. Per la sua vita.

Anche gli investigatori di carta, quelli che sudano e si scervellano dentro le pagine dei thriller hanno i loro umanissimi problemi. Quando uno scrittore si inventa un personaggio e lo rende protagonista non di un libro, ma di una serie, finisce per entrare nella sua pelle e viverne la vita in un transfert continuo di emozioni e paure. Giovanni Cataldo, il commissario modenese scaturito dalla fantasia di Luigi Guicciardi, in questo libro deve affrontare un’indagine difficile e pericolosa in un brutto momento della sua vita. Infatti, all’ospedale citato nell’incipit, ci va per un’esame clinico invasivo che deve accertare se è malato di tumore. Una paura che si è covato dentro per troppo tempo in segreto, rischiando di correre ai ripari troppo tardi.
E’ in questo stato d’animo che affronta tre casi di omicidio nella tranquilla Modena, la città paciosa dei prosciutti e dei tortellini, immobile nel caldo afoso di giugno come l’acqua ferma di palude sotto il pelo della quale è tutto un brulichio di piccole vite misteriose.
La prima vittima è una slovena, raggiunta dal coltello dell’assassino in un casolare di periferia. La seconda è un violinista trentino a Modena per un concerto: viene assassinato in centro. E la terza è una ricca vedova di mezza età che viene ammazzata nella sua villa. Tre omicidi in sei giorni sono troppi anche per la grassa provincia del Nord che, come ci insegnano i thriller e le cronache, è teatro di fatti di sangue sempre più efferati. Una provincia omertosa per paura e per indifferenza, in cui nessuno parla e ai testimoni, per lo più smemorati, le parole debbono essere strappate con le tenaglie.
Un’indagine di vecchio stampo, quella del commissario Cataldo, che per arrivare alla soluzione deve fare affidamento più sulle proprie capacità deduttive e sulla fantasia più che sull’intervento della Scientifica.

Luigi Guicciardi

UNA TRANQUILLA CITTTA’ DI PAURA

LCF edizioni, pagine 391, 14,45 euro anziché 17,00 su internetbookshop

Incipit: Avviso ai viaggiatori. Questo libro su Milano è eccentrico, peripatetico, impressionistico, fazioso.
E’ eccentrico perché cerca di rovesciare il punto di vista sulla città che è sempre, implacabilmente centripeto. Il guaio di Milano è di essere una città circolare e concentrica. Come la sezione di un vecchio albero, la sua pianta denuncia l’avanzare dell’età: la cerchia dei Navigli, i bastioni, l’anello del vecchio 29, la prima circonvallazione, la circonvallazione esterna, la tangenziale. All’espandersi degli anelli la città cambia passo, respiro, vocazioni e insediamenti; ma i cerchi concentrici sembrano trarre il senso di appartenenza a Milano dall’attrazione per il piccolissimo brano urbano compreso all’ombra delle Madonnina. Lì si concentrano le funzioni pregiate e le residenze di lusso.

Una città che ha mille anime non ha nessun’anima. Una città che ha mille voci è frastuono. Così appare Milano oggi. Non la Milano compresa nell’ombra del Duomo, ridotta a una fila ininterrotta di vetrine di lusso, inaccessibili alla gente comune, ma quell’arcipelago di periferie aggrappate alla circonvallazione più esterna, ciascuna delle quali è vita a sé.
In realtà la città un tempo considerata capitale morale del Paese, metropoli ‘dal cuore in mano’, osservata nella sua totalità non è così sfuggente, smemorata, astratta e indifferente come la dipingono i forestieri di passaggio e coloro che vi si stabiliscono per lavorare o studiare senza riuscire mai, neanche dopo molti anni, a farne davvero parte, a sentirsi ‘milanesi’, ammesso che la ‘milanesità’ sia una meta da raggiungere.
L’errore di chi osserva e giudica la metropoli è di identificare Milano esclusivamente con il nucleo più antico e signorile compreso nella cerchia dei navigli, che segna il confine della società alto borghese autoctona, tradizionalmente restia a ogni tentativo di penetrazione estranea e di cambiamento. Una società vecchia e impermeabile alle nuove esigenze, alle spinte delle ultime generazioni.
Per conoscere davvero la Milano di oggi, per ascoltarne il respiro e coglierne lo spirito bisogna uscire dal centro, anzi, voltargli le spalle e camminare le periferie, ascoltando le voci di tutti i cittadini, dei vecchi e nuovi immigrati, dei milanesi da più di tre generazioni e di quelli di recente stanziamento. Bisogna rilevarne uno per uno, i problemi e analizzare i tentativi, spesso falliti, più spesso lasciati a metà, di trovare soluzioni.
Questo libro, scritto da Salvatore Carrubba, ex direttore del quotidiano finanziario Il Sole 24 ore, già assessore alla cultura nella giunta Albertini, ha cercato di scoprire e di raccontare la città vera, quella del frastuono che è in continuo mixaggio. E lo ha fatto raccogliendo le voci dei cittadini delle periferie, che vivono e giudicano ciascuno dal proprio punto di vista avendo l’orizzonte ristretto del proprio quartiere come sinèddoche della città.  

Un libro interessante che scopre elementi insospettati del tessuto cittadino e offre molti spunti per capire non soltanto Milano, ma l’Italia intera, piena di contraddizioni e perennemente alle prese con problemi di convivenza civile sempre meno governabili. Un libro interessante sì, ma con un difetto, denunciato dall’autore stesso nella sua prefazione: quello di offrire un punto di vista parziale. Talvolta fin troppo!

Salvatore Carrubba

IL CUORE IN MANO. Viaggio in una Milano che cambia (ma non lo sa)

Longanesi, pagine 208, 12,32 euro anziché 14,50 su internetbookshop