Adele Marini

La rubrica "Novità editoriali" di Misteri d'Italia è tenuta da Adele Marini, giornalista professionista, specializzata in cronaca nera e giudiziaria, autrice di diversi libri tra cui il noir 'non fiction' Milano, solo andata (Frilli editori, 2005), pubblicato anche in Germania, con cui ha vinto nel 2006 il Premio Azzeccagarbugli per il romanzo poliziesco. Nel 2007, sempre con Frilli, ha pubblicato Naviglio blues, anch'esso tradotto in tedesco. Attualmente è in libreria con l'eBook Arriva la Scientifica (editrice Milanonera), secondo volume della collana Scrivi noir: i fondamentali della scrittura d'indagine dedicata alle procedure investigative e giudiziarie.

 

Incipit: “Spesso mi torna in mente un testo, grottesco e tragico insieme, scritto da Luciano di Samosata nel II secolo d.C.
Il testo originale è in greco e ha per titolo “La nave ovvero I desideri”. Si tratta di un lungo percorso, una camminata dal porto del Pireo ad Atene durante la quale Luciano e un gruppo di amici, tra cui i più loquaci sono Samippo e Timolao, si raccontano l’un l’altro i progetti più fantasiosi che hanno in mente di realizzare. Luciano fa da moderatore e incalza i compagni di viaggio con domande puntuali e spesso provocatorie.
I temi degli interventi passano dal surreale al grottesco, senza tuttavia mai perdere di vista la situazione tragica che in quel tempo si viveva ad Atene e in molte altre città della Grecia. I protagonisti propongono soluzioni spesso azzardate e impossibili per sortire da quel bailamme disperato (dal Prologo di Dario Fo)”.

Il successo alle ultime elezioni del Movimento 5 Stelle non si può capire se non si legge questo libro pubblicato con straordinaria tempestività da Chiarelettere, la casa editrice più attenta alle novità politiche e socioeconomiche che agitano l’Italia.
Scritto sotto forma di dialogo peripatetico sul modello delle scuole dell’antica Grecia intesa come culla della civiltà, della democrazia e del pensiero occidentale, Il grillo canta sempre al tramonto di Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo, i fondatori e “padroni” del Movimento, più Dario Fo, premio Nobel per la letteratura e leggenda vivente della parte più culturalmente avanzata di questo paese, è una lunga chiacchierata nel corso della quale ciascuno dei tre autori mette in campo le proprie esperienze e il proprio sentire. Il traguardo politico che Casaleggio e Grillo, sotto lo sguardo benevolo di Fo, sostengono di voler raggiungere è davvero arduo. Si tratta nientemeno che di ribaltare le regole della politica e della società, ripristinando il senso della legalità, della giustizia e dell’appartenenza a uno Stato non più malandrino e infine riportando la politica al suo vero ruolo. Che non è quello di schiacciare i cittadini sotto il tallone del potere, e di ridurli alla fame con le tasse, ma quello di renderli uguali nei diritti e nei doveri, paritari con chi li amministra e consapevoli, responsabili e attivi.
Troppo bello per essere vero? Forse. Ma poiché in queste settimane sul M5S si è detto e scritto di tutto, poiché sia i commenti velenosi sia le celebrazioni esagerate sui media e sui forum si contano a centinaia, forse sarebbe utile, per farsi un’opinione in vista delle prossime elezioni, cercare di saperne di più dalla voce degli stessi prim’attori. Con la raccomandazione, però, di non dimenticare mai che a parlare sono gli stessi “signori e padroni” del M5S i quali, se da un lato, con le loro argomentazioni, offrono importanti strumenti di conoscenza e di riflessione, dall’altro non concedono a nessuno, neanche al Maestro Fo, il diritto di critica e neppure si prestano a un efficace contradditorio. Insomma: una visione unilaterale della politica sulla quale è utile ragionare, ma che non deve essere presa come se fosse scolpita nelle tavole della legge.

Dario Fo, Gianroberto Casaleggio, Beppe Grillo

IL GRILLO CANTA SEMPRE AL TRAMONTO. Dialogo sull’Italia e il Movimento cinque stelle

Chiarelettere, pagine 208, 11,82 euro anziché 13,90 su internetbbookshop

Incipit: “L’ho rincorso per oltre vent’anni il tema della guerra. L’avevo nel cervello, la guerra, non riuscivo a dimenticare. Bastava un niente perché il mio tarlo della guerra ricominciasse a scavare. Un tozzo di pane buttato mi ricordava la fame antica, la fame delle patate gelate. Anche la neve che si colora di grigio quando il cielo è di piombo mi ricordava le lunghe marce, le noti all’addiaccio, l’ambiente lunare della ritirata di Russia.

Ci sono libri che restano dentro. Libri che una volta letti non se ne vanno più. Questo, e quello che lo ha preceduto: Il mondo dei vinti, di Nuto Revelli appartengono a questa categoria. Sono entrambi testimonianze vive di un mondo rurale, povero e rassegnato che oggi sopravvive solo in poche valli sperdute. Scrive Lalla Romano: «Questo libro, costruito con registrazioni trascritte in modo fedele, contiene una grande potenza di vita e di rappresentazione... Una grande opera di poesia. È la storia di tutti, perché tutti nei secoli passati siamo stati contadini. È una storia dell'umanità; la via difficile di queste generazioni, così vicine a noi, ci coinvolge».
Negli anni Sessanta, gli anni del miracolo economico, il Piemonte era in pieno fermento. A Torino, la Fiat era impegnata nella grande sfida di dare un’automobile a tutti gli Italiani. A Cuneo era sorta la Michelin, ad Alba la Ferrero. Intanto nelle città le gru cominciavano a essere più fitte dei comignoli perché si costruiva dappertutto. Cemento, cemento, cemento. Ma questa crescita improvvisa, voluta e gestita dai grandi investitori, devastava la piccola proprietà contadina, quella povera da sempre e diventata più fragile dopo la falcidia della guerra e il successivo esodo dei reduci verso le città.
Andando di cascina in cascina alla ricerca di testimonianze sulle devastazioni prodotte dal conflitto e sui cambiamenti intervenuti nella sua terra durante la ricostruzione, Nuto Revelli ex ufficiale degli alpini durante la disfatta della campagna di Russia ed ex comandante partigiano, si è imbattuto in una realtà incontestabile: nelle campagne il peso della grande tragedia bellica e dell’infinita povertà che è seguita è gravato quasi interamente sulle donne. Loro si sono rivelate le testimoni di un mondo che non c’è più, le custodi dei ricordi, le inesauste lavoratrici, le vere anime della tradizione contadina. Loro sono state l’anello forte che ha tenuto insieme le famiglie e le memorie impedendone la disgregazione e l’oblio. 

Questo libro, che insieme al Mondo dei vinti racconta un pezzo della nostra storia sul quale non si sono mai puntati i riflettori, uscito in prima edizione nel 1985 e in seguito più volte ripubblicato, dovrebbe essere letto da tutti ma soprattutto da coloro che si ostinano a considerare la presenza femminile nella società in termini di ‘quote’.

Nuto Revelli

L’ANELLO FORTE

Einaudi, pagine 524, 10,50 euro anziché 14,00 su internetbookshop

Incipit: “La sposa è la più bella.
È sempre così: gli occhi degli invitati sono puntati sull’abito bianco, sulla sua acconciatura, sulla sua espressione mentre si avvicina all’altare. Tutti guardano solo lei.
Vanessa continua a ripeterselo, stretta nel suo abito azzurro a fiorellini rosa. Poteva scegliere qualcosa di più ardito, ma non era il caso di attirare l’attenzione.
Lei voleva sparire.
La sposa è la più bella. Sua cugina è la più bella. Da sempre. Da quando facevano a gara a chi delle due riusciva a rimanere in equilibrio sui tacchi della mamma. Adesso sua cugina si sposa e ha scelto lei come testimone e suo figlio come paggetto. Non le sembra vero di essere lì”.

Questo romanzo, un tipico non fiction novel, trae spunto da un fatto di cronaca nera accaduto a Chiavenna, in provincia di Sondrio. La sera del 6 giugno 2000, verso le 22, una religiosa dell’ordine delle suore di Sant’Andrea, suor Maria Laura Mainetti, ricevette una telefonata che la attirò fuori dalla comunità di recupero per adolescenti difficili di cui era responsabile. A chiamare era Ambra G., una diciassettenne che conosceva bene, che le chiese di incontrarla a quell’ora tarda in un luogo da paura: lungo un viottolo nel parco delle Marmitte giganti. La ragazzina sosteneva di essere stata violentata e di aver bisogno urgente di aiuto, essendo rimasta incinta e la suora, oggi in attesa di beatificazione, non si tirò indietro. Ad attenderla nel posto convenuto non si presentò però Ambra, ma la sua amica Veronica P. che dopo un iniziale ripensamento la guidò nel luogo del sacrificio dove erano in attesa le amiche Ambra e Milena D.G. Le tre amiche, in preda a una specie di furibondo delirio colpirono la suora al capo con una mattonella per poi finirla con 19 coltellate che la lasciarono del tutto sfigurata. Un omicidio del tutto inspiegabile che le tre ragazze, una volta identificate e inchiodate alle loro responsabilità, spiegarono come un sacrificio a Satana. In seguito il movente satanico venne confermato dai quaderni sequestrati alle ragazze nei quali, oltre ai propositi omicidiari, era descritto un ‘patto di sangue’ satanico.
Silvia Montemurro, nata a Chiavenna nel 1987, aveva solo tredici anni all’epoca del delitto. A ispirarle il romanzo è stato un episodio inspiegabile di cui è stata protagonista. Ecco come lo racconta lei stessa: “Quando avevo vent’anni mi trovavo a Madesimo con alcuni amici che ospitavo a casa mia per l’estate. Un giorno, decidiamo di scendere a Chiavenna e di trascorrere lì la serata. Passeggiando, raggiungiamo un posto che sembra stupendo: la via per le Marmitte dei Giganti. Natura, notte estiva, lucciole, quella sensazione di essere nel posto giusto che solo a quell’età riesci a provare. All’improvviso, però, un sottile filo di inquietudine si fa largo: la via diventa sempre più stretta e tortuosa, la notte sembra più buia, qualcosa non torna … Poi, all’improvviso, ci spunta davanti una stele alla memoria di Maria Laura Mainetti. Era lì, proprio lì, che era stata uccisa in una notte del tutto normale come quella che stavamo vivendo noi. Corriamo subito via, senza sapere bene perché: non c’è nessun pericolo apparente, tutto è come prima eppure allo stesso tempo diverso.”
Nel racconto l’autrice si mette nei panni delle tre ragazze assassine a cui ha dato nomi di fantasia, raccontando come può accadere che tre adolescenti annoiate entrino in una spirale di follia che le fa delirare come Menadi, fino all’omicidio.
Bel romanzo giocato fra passato e presente con salti temporali che allacciano la vita delle assassine a quella dell’autrice le cui pagine di diario appesantiscono però la narrazione. La maggior attrattiva è rappresentata dalla descrizione dei luoghi e soprattutto della vita che gli adolescenti vi conducono, trascinandosi da un bar all’altro alla ricerca di stimoli esagerati ed emozioni proibite. Non bisogna dimenticare che nella verdissima Valtellina, allo splendore della natura fa da contraltare un tasso di suicidi fra i più elevati d’Italia.

Silvia Montemurro

L’INFERNO AVRÀ I TUOI OCCHI

Newton Compton, pagine 283, 8,42 euro anziché 9,90 su internetbookshop

Incipit: “Aigues-Mortes, 22 febbraio 1729.
Lucien Claparède aveva il cuore gonfio di mestizia. Calde lacrime gli segnavano le gote, mentre osservava gli ultimi bagliori del tramonto spegnersi ai piedi dell’altare. Era l’ora dei Vespri, la cerimonia di sepoltura stava per iniziare.
I confratelli si disposero in silenzio negli scranni intorno a lui. Gli occhi di tutti erano puntati sul feretro, collocato al centro della navata.
Un saio di tela grezza era il sudario che Guillelmine Rabat, la moglie del cambiavalute, aveva scelto per l’estremo viaggio. Troppo ampio per le sue esili fattezze, dava l’impressione che la malattia la stesse ancora consumando, fino a farla scomparire del tutto”.

Aigues-Mortes è una cittadella fortificata della Camargue circondata dalle  paludi da cui prende il nome: acque morte, appunto. Lì, ben protetto da mura cupe e inaccessibili, sorge il convento fondato da Luigi IX il Santo che da secoli ospita la confraternita dei Penitenti grigi. Attorno a questo ordine francescano laico ruotano le vicende narrate in questo bellissimo esempio di thriller storico che cavalca i secoli e i luoghi, passando dal ‘700 ai nostri giorni, dal Sud della Francia alla Liguria, senza mai fare una grinza, senza che venga sospesa la tensione narrativa, accumulando tasselli su tasselli in un crescendo di suggestione e di suspence. Poiché gran parte della magia del romanzo è rappresentata dall’ambientazione e dalla collocazione storica, vale la pena di spendere due parole sulla Confraternita che vive, con le sue regole arcaiche, ancora oggi.
Agli albori del 1200, nel Sud della Francia, cominciò a diffondersi dalla città di Albi l’eresia degli Albigesi che ripudiava i sacramenti e, particolarmente, il matrimonio e l’Eucaristia. Il Re di Francia, Luigi VIII, padre Luigi IX ‘Il Santo’ volle testimoniare la fede nella Chiesa di Roma, facendo edificare ad Avignone un tempio in onore della Santa Croce e istituendo una festa annuale alla quale il sovrano si presentò indossando un saio grezzo da penitente, di colore grigio, stretto in vita da una corda. Così vestito, con una candela in mano, diede inizio a una processione di riparazione che attraversò tutta la città, fermandosi nella Cappella di Santa Croce, dove la preghiera di adorazione continuò ininterrotta giorno e notte. Nacquero così i Penitenti grigi, guardiani laici del Santissimo Sacramento che, protetti dal saio, si opposero con grande ferocia all’eresia, contribuendo, con delazioni e processi, a sterminare intere popolazioni.
E’ su questo antico scenario che ad Aigues-mortes inquieta ancora oggi per l’incombere delle mura merlate e per l’inospitalità della pianura circostante, che si innesta la vicenda narrata dal duo Lanteri-Luini. Ecco la trama: una giovane ricercatrice italiana prestata alla Sorbonne ha l’occasione di dare una svolta alla propria carriera accademica, approfondendo lo studio sulla cappella dei Penitenti grigi. Le viene negato l’accesso alla cripta e all’archivio ma lei non demorde neanche quando il fango della palude restituisce il corpo senza vita della sua giovane amica Deanne, un’intraprendente giornalista che l’aveva seguita nella speranza di fare uno scoop. Lì, grazie al guardiano della cappella, ottiene di nascosto documenti preziosi fra i quali ci sono le lettere di una fanciulla realmente vissuta nel 1729, accusata di eresia e rinchiusa nella fortezza. Qualcosa però non quadra in quelle carte.

Non una, ma due storie si intrecciano. La prima, vecchia di tre secoli, è una struggente vicenda d’amore. La seconda, dei giorni nostri, è invece un thriller mozzafiato con un finale sconvolgente tutt’altro che fantasioso, più vicino alla realtà italiana che a quella francese.

Maurizio Lanteri Lilli Luini

LA CAPPELLA DEI PENITENTI GRIGI

Nord, pagine 440, 14,36 euro anziché 16,90 su internetbookshop

Incipit: “Benito Marabelli era un uomo disarmato.
Procedeva lento, le mani nelle tasche del soprabito chiaro, lo sguardo fisso e una punta, ma solo una punta, di debolezza. Dietro di lui un biondino con il viso da tiraschiaffi trascinava due grandi valigie austere, colori scuri, maniglie robuste. Lo seguiva con la faccia incazzosa dei servi.
Milano Malpensa, Aeroporto.
I neon abbagliano il verde e il giallo degli interni. In quei corridoi, alti all’infinito come chiese gotiche e percorsi da un’entropia umana diretta da qualche parte e proveniente da chissà dove, si può essere ovunque. Non per forza qui: a Milano Malpensa. Aeroporto.
Benito Marabelli era un uomo disarmato”.

I milanesi di una certa età ricorderanno certamente le scritte bianche sui muri e sui marciapiedi della città. Caratteri a stampatello, precisi e puliti: “Ci uccidono con l’onda. Milioni di morti in Italia...” I responsabili di emettere l’onda assassina negli scritti ogni tanto cambiavano: russi, americani, più spesso il clero. I messaggi erano avvertimenti alla cittadinanza, puntualmente firmati con la sigla C.T. Il writer si chiamava Carlo Torrighelli ed era un marmista in pensione con un passato da partigiano comunista. Girava con un carretto coperto di scritte, accompagnato da tre cagnolini dai nomi suggestivi: La Bella, L'Umanità e L'Amore. Megafono alla mano, ogni tanto ripeteva a voce alta quello che aveva messo per iscritto sull’asfalto, ignorando che qualche decennio più avanti si sarebbe scoperta l’effettiva pericolosità delle onde elettromagnetiche emesse dalle emittenti di Radio Vaticana.
La figura del protagonista di questo romanzo, Luigi Pecchi detto ‘Gigi Sciagura’, milanese di via Padova, sembra modellata su quella di Carlo Torrighelli. E non è un caso perché il vecchio C.T., scomparso nel 1983, al quale di recente è stata dedicata una mostra, appartiene alla milanesità vera, che non può essere semplificata con la banalità ipocrita del ‘coeur in man’ perché è fatta di diverse anime: quella tollerante e generosa, quella sbruffona e ‘bauscia’ , quella tracotante, quella malandrina, quella “Nera. Come la pece. Come la morte. Come la sorte”. Un sentire collettivo magistralmente rievocato dall’autore che ha legato la vicenda centrale del romanzo a una delle organizzazioni clandestine più pericolose e destabilizzanti fra quelle nate nel nostro Paese ai tempi della guerra fredda e giunte fino ai giorni nostri. Un’organizzazione così impenetrabile e segreta da non avere neppure un nome ed essere indicata, nei pochi documenti rinvenuti negli archivi segreti del Viminale, come ‘Noto servizio? o ‘Anello’.
Tutto prende il via da un antico rancore nato per ragioni più di cuore che politiche fra un fascista diventato collaboratore delle SS e fuggito in Argentina: il ricco Benito Marabelli e il comunista Luigi Pecchi povero in canna, un po’ tocco ma inoffensivo, che passa la notti attaccando manifesti per invitare la popolazione ad abbattere il Duomo che, secondo lui, emanerebbe un gas micidiale.
Gigi sciagura viene ammazzato con tre colpi sparati da una vecchia pistola in dotazione all’esercito germanico e le indagini potrebbero anche finire appena  cominciate visto che la pistola è stata rinvenuta fra le mani di un albanese senza alibi. Ma i conti non tornano per una serie di motivi. Anzitutto poco prima di morire Gigi Sciagura aveva denunciato il rinvenimento di un cadavere vicino a un cantiere. Cadavere che all’arrivo dei carabinieri non si è più trovato. Poi una giornalista intraprendente, Ambra, viene selvaggiamente pestata poco dopo aver intervistato il vecchio profeta di sventure e aver appreso da lui la storia del cadavere scomparso. Infine l’amica di Ambra scompare misteriosamente e una serie di coincidenze strane puntano verso il lavoro nero e lo sfruttamento degli immigrati da parte di imprenditori senza scrupoli.
A indagare è il commissario Sandro Micuzzi, pigro e geniale quanto basta per scoprite “un giro organizzato come Dio comanda: lavoro nero, droga, immobili...” che ruota attorno a tutti i cantieri di un amico del potente Marabelli: l’ingegner Trezzani. Un giro multimiliardario, coperto da signori che si muovono dentro una ‘zona franca’ dove tutto sembra consentito in virtù di antiche complicità. Le complicità dell’Anello, appunto. Un bel thriller che a una vena di nostalgia accosta la brutalità di una città che in nome del denaro sembra aver perso i contatti con la propria anima.

Massimo Cassani

ZONA FRANCA

TEA, pagine 425, 11,90 euro anziché 14,00 su internetbookshop

Incipit: “Tracia sud-occidentale, autunno del 74 a. C.
Quando il villaggio apparve sulla cima di una collina lontana, il pellegrino si sentì riempire di gioia. Il viaggio dalla Bitinia era stato lungo e faticoso. I piedi erano ricoperti di vesciche, i muscoli delle gambe gli dolevano e la schiena soffriva sotto il peso della cotta di maglia. Mentre il vento gelido gli sferzava le orecchie, l’uomo si maledì per non aver acquistato un berretto imbottito nel villaggio in cui si era imbattuto due giorni prima. Al tipico alopekis tracio in pelle di volpe di solito preferiva una fodera di feltro e, se necessario, un elmo di bronzo”.

Il vero mistero che riguarda questo libro è la costanza con cui le case editrici continuano a pubblicare storie romanzate del mitico gladiatore ribelle. Giusto per citare le pubblicazioni più recenti: dopo il bellissimo saggio di Aldo Schiavone Spartaco, pubblicato nel 2011 da Einaudi quasi in contemporanea con il romanzo Spartaco il gladiatore, di Mauro Marcialis di Mondadori, ecco ora Un altro Spartacus il gladiatore (ma non si poteva cambiare almeno il titolo?) dell’inglese Ben Kane, un veterinario prestato alla storia romana, già noto al grande pubblico per il best seller La legione dimenticata.
Il romanzo, primo di una serie che Kane si propone di pubblicare anche in Italia sulla vita del gladiatore che osò sfidare l’impero, prende il via lontano dalla capitale, nella Tracia, la provincia romana che nella geografia dell’impero  si affacciava sul mar di Marmara e comprendeva gli stretti di Dardanelli e Bosforo. Il viaggiatore stanco dell’incipit è proprio lui, Spartacus, il mercenario dell’esercito romano che dopo aver passato anni combattendo per l’espansione di Roma sta tornando a casa. Arrivato al suo villaggio però avverte subito che l’aria è cambiata rispetto a quando era partito per arruolarsi. Adesso il potere è nelle mani dell’usurpatore Kotys che ha fatto assassinare suo padre. Comprende di essere in pericolo e decide di ordire un complotto per restituire libertà e giustizia al suo popolo. Non riesce a mettere a segno il colpo perché qualcuno fra i compagni di lotta lo tradisce. Viene catturato e venduto a un mercante di schiavi che lo cede alla scuola per gladiatori di Lentulo Batiato, a Capua. Ma le condizioni di vita a cui sono costretti gli uomini destinati all’arena sono inumane e Spartacus con pochi fedeli organizza una rivolta che terrà Roma in scacco per molto tempo, rischiando di provocare un effetto a catena fra gli schiavi che fuggono per unirsi ai ribelli. L’epilogo è noto: la rivolta, dapprima sottovalutata, sarà soffocata nel sangue.

Romanzone storico che si propone per l’ennesima volta di ricostruire una vicenda truce del nostro passato remoto. Lo stile però è molto accattivante e la ricostruzione dell’ambiente e dei luoghi è decisamente suggestiva.

Ben Kane

SPARTACUS IL GLADIATORE

Piemme, pagine 528, 16,92 euro anziché 19,90 su intgernetbookshop

Incipit: “War nam nihadan. C’è una meravigliosa espressione in Persiano, war nam niha­dan, che significa «uccidere qualcuno, seppellirne il corpo, e infine piantare dei fiori sulla sua tomba per occultarla». Nel 2011 abbiamo assistito (e partecipato) a una serie di eventi sconvolgenti, dalla Primavera araba al movimento Occupy Wall Street, dalle rivolte nel Regno unito alla follia ideologica di Breivik. È stato un anno sognato pericolosamente, in en­trambe le direzioni: sogni di emancipazione che hanno mo­bilitato dimostranti a New York, a piazza Tahrir, a Londra e Atene; e oscuri sogni di distruzione che hanno ispirato le ge­sta di Breivik e dei populisti razzisti in tutta Europa, dai Paesi bassi all’Ungheria. Il compito principale dell’ideologia ege­mone è stato quello di neutralizzare l’effettiva dimensione di questi eventi: come definire altrimenti la reazione prevalente dei media ai fatti del 2011 se non come un war nam nihadan?”.

Per capire il paese e l’epoca in cui viviamo dobbiamo collocarli al centro di un ‘progetto globale’ che tenga conto di tutti gli esseri viventi, di ciò che li governa, degli eventi apparentemente disorganizzati che all’improvviso li agitano e, infine, del nuovo/vecchio ordine in cui finiscono per ricollocarsi.
Con il primo decennio del nuovo millennio siamo entrati in un'epoca di rivolgimenti politici e sociali impensabili fino a ieri. Un'epoca segnata da lotte civili, da focolai di guerriglie, da spinte verso l’emancipazione e l’equità sociale: moti nati come roghi isolati e diventati presto immani incendi che hanno spazzato via tutto il vecchio senza però dare forma a un nuovo accettabile. Primavera araba, movimento Occupy ma anche rigurgiti di potenti forze antidemocratiche fra cui la xenofobia e l’integralismo religioso, voglia di poteri forti e di totalitarismi. Basti ricordare la follia omicida di Breivik, autore della strage di Utoya. Tutto è accaduto sotto gli occhi dei governi "politicamente neutri" dei tecnici d’Italia, di Grecia e Spagna, che si  limitavano a registrare gli accadimenti, emettendo vuoti comunicati di condanna, oppure inviando truppe e bombardieri per una devastante ‘guerra umanitaria’ (come quella in Libia).
È stato davvero ‘Un anno sognato pericolosamente’ quello che ha inaugurato il secondo decennio del terzo millennio, segnando davvero il confine fra l’ieri e l’oggi. Un anno in cui gli eventi si sono succeduti a passo di carica, nel quale il ritorno a una vera partecipazione democratica, con il pretesto del risanamento dei conti è stato soffocato da misure draconiane e inique perché imposte soltanto alla parte più debole della società.

In questo libro Slavoj Žižek, filosofo e studioso di psicoanalisi sloveno, insiste suoi temi che gli sono più cari: i pericoli in un mondo dominato dal capitalismo selvaggio, la falsa opposizione fra il bieco razzismo e la finta tolleranza, gli integralismi, vecchi e nuovi, contrapposti al laicismo. Abbinando il giudizio appassionato del militante politico al contegno filosofico del critico dell'ideologia, Žižek si sforza di trovare una risposta alla domanda cruciale del  nostro tempo: come si può combattere efficacemente il sistema senza contribuire, involontariamente, al suo rafforzamento?

Slavoj Žižek

UN ANNO SOGNATO PERICOLOSAMENTE

Ponte alle Grazie, pagine 192, 12,75 euro anziché 15,00 su internetbookshop

Incipit: “Non c’è sogno senza speranza. Perché sognare la parità? Perché le disparità di genere persistono a livello di tassi d’occupazione, di retribuzione, di orario di lavoro, di accesso a posti di responsabilità, di condivisione delle responsabilità in materia di impegni familiari e domestici e di rischio di povertà. Rendersene conto è già un passo avanti.
La vita di ognuno è una perenne attesa: l’attesa che si realizzi qualcosa in cui crediamo, l’attesa di ottenere quello per cui lottiamo, l’attesa che il nostro mondo cambi, ma proprio come vogliamo che cambi. Il presente non basta a nessuno per sentirsi soddisfatti, appagati e soprattutto vivi: il nostro cuore, le nostre emozioni, le nostre idee sono sempre più avanti e guardano oltre le mete raggiunte, anche se con fatica”.

Chi si aspetta di trovare in questo libro il solito cahier de doléances sulle disparità che penalizzano le donne nella società occidentale e, particolarmente, nel nostro paese, avrà grosse sorprese. Non sterili lamentele, ma una mappa precisa, con nomi, cifre e numeri da far esclamare “non ci credo!”
L’autrice, Rossella Palomba, è una demografa sociale impegnata in studi e ricerche sul tema della parità e delle pari opportunità di genere, su cui ha coordinato progetti di ricerca nazionali e internazionali. E’ stata ambasciatrice per le pari opportunità nella scienza presso la Commissione Europea. Autrice del Rapporto ETAN “Donne nella scienza”, è dirigente di ricerca del CNR. Dunque, una grande esperta in materia. Una ricercatrice che, in quanto tale, va dritta al punto. Scrive: “A essere donna s’impara con il latte materno, poi quando si cresce ci si confronta con una realtà che troppo spesso dimentica che le donne sono l’altra metà del mondo, e che, come tale, dovrebbero essere rappresentate in tutti i contesti. Invece ancora oggi i numeri sono totalmente a sfavore delle donne. E’ veramente insensato.”
E la realtà della convinzione femminile si annida in numeri e date che pochi conoscono, ancora meno ricordano e sanno considerare nella giusta sequenza. 1950: legge per congedo maternità; 1962: abolizione del licenziamento causa matrimonio; 1963: possibilità per le donne di accedere alla carriera in magistratura; 1975: nuovo diritto di famiglia e abolizione del ‘capofamiglia’ e dello  ‘ius corrigendi’, ovvero del diritto del marito di picchiare la moglie laddove, a sua discrezione, questa aveva sbagliato; 1977: parità di trattamento sul lavoro (rimasto un’utopia nell’applicazione); 1981: abolizione del delitto d’onore; 1996 l’inclusione della violenza sessuale tra i reati contro la persona e non più contro la morale: 2009: lo stalking diventa reato di ‘atti persecutori’.
Tutte conquiste importanti sul piano della mera legalità ma spesso disattese o non applicate nella loro interezza. E proprio su questo punto insiste Rossella Palomba sostenendo che ancora tante tappe dovranno essere conquistate con metodo e determinazione e poi difese dalle stesse donne. A questo proposito racconta due episodi della sua vita.
 “Ricordo ancora quando feci parte di una commissione per la valutazione di candidati a un concorso, eravamo tre ed io ero la sola donna. All’uscita di ogni ragazza che aveva sostenuto il colloquio i miei due colleghi non evitavano di fare commenti sulla bellezza della candidata. Quando, per provocarli, ho fatto lo stesso commentando il fondoschiena di un candidato, sono sta ripresa e redarguita severamente. In un’altra occasione ricordo invece una donna mandata a casa dal direttore di un istituto perché brutta (Allora si facevano i tre mesi di prova e la ragazza probabilmente era stata chiamata dal collocamento per una sostituzione. “Giusto per essere chiari”, precisa sempre l’autrice, “non ho memoria di operai mandati a casa perché brutti.“
Ecco, nonostante le conquiste, la parità di genere in Italia è ancora un abito mentale lasciato in naftalina. “Quando ero ambasciatrice europea delle pari opportunità nella scienza”, racconta Rossella Palomba, “ho svolto una serie d’incontri nelle scuole. Ero accompagnata da un usciere dell’Istituto che mi aiutava a trasportare i materiali necessari: proiettore, schermo, dispense …. Beh non c’è stata una volta che i presidi non siano andati incontro a lui, mano tesa, per salutarlo. Nessuno prendeva in considerazione la possibilità che io, donna, fossi l’ambasciatrice e non la segretaria.”

Fra gli argomenti forti trattati dall’autrice: occupazione e lavoro: sognando il cinquanta per cento; mamme lavoratrici; le donne in politica; la parità fra le mura domestiche; le disuguaglianze anche nella povertà e, infine, uno sguardo sul futuro. C’è un solo, piccolo neo: Rossella Palomba  non insiste sul fatto che l’abito mentale della parità dovrebbe essere indossato dalle donne prima ancora che dagli uomini, perché senza una nuova e più diffusa consapevolezza di sé e del proprio peso nella società, qualsiasi conquista ottenuta per legge è destinata e restare applicata a metà.

Rossella Palomba

SOGNANDO PARITÀ’. Occupazione e lavoro, maternità, sesso e potere, violenza e povertà: le pari opportunità, se non ora quando?

Ponte alle Grazie, pagine 144, 10,20 euro anziché 12.00 su internetbookshop

Incipit: “Correvo a perdifiato. Ero in forma, all’epoca. L’inseguimento era cominciato in rue de la Grande-Tuanderie, dico sul serio. Con due soci avevo appena alleggerito un povero fighetto del suo walkman, un Sony dei più classici, perfino un po’ vecchiotto, un modello superato. Al ragazzo avrei voluto spiegare che tutto sommato gli facevamo un favore, perché appena arrivato a casa papà gliene avrebbe subito comprato uno con caratteristiche più avanzate, più facile da usare, con un suono migliore e maggiore autonomia… Ma non ne ho avuto il tempo.
«Occhio!» ha gridato una voce.
«Fermi dove siete!» ha urlato un’altra.
Siamo scappati.
In rue Pierre-Lescot ho fatto lo slalom tra i passanti con un’agilità incredibile. È facile quando hai classe, quella vera. Sembravo Cary Grant in Intrigo internazionale… Mentre prendevo a destra per rue Berger ho pensato di infilarmi nelle Halles. Pessima idea, sulle scale c’era troppa gente. Ho deviato a
sinistra di colpo, in rue des Bourdonnais. Con la pioggia il selciato era scivoloso e non sapevo chi, fra me e gli sbirri, avesse le suole che tenevano meglio sul bagnato. Le mie non mi hanno tradito”.

Abdel Sellou è un algerino cresciuto a Parigi, in una delle banlieu più problematiche. Gli zii che gli fanno da madre e da padre non sono in grado di controllare la sua esuberanza. E’ un ragazzo a rischio, impegnato ogni giorno a correre come una gazzella per sfuggire alle autorità scolastiche, alle persone che deruba, ai poliziotti. Furti, piccole estorsioni, qualche furberia, ma non è davvero cattivo. In lui c’è allegria, voglia di vivere e di ricominciare come prima dopo ogni punizione, ogni lavata di capo da parte del preside, degli zii, dei giudici minorili. Ovviamente finisce in carcere. Dopo la prima detenzione è costretto a cercarsi un lavoro che sia certificato, indispensabile per dimostrare che è sulla retta via e soprattutto per ottenere il sussidio. Proprio per ottenere la firma sul pezzo di carta si presenta a un colloquio per un lavoro serio. ‘Cercasi ausiliario socio-assistenziale presso un paraplegico’ è scritto nell’annuncio e Abdel non sa cosa significhi. Quando scopre che si tratta di fare da badante a un uomo paralizzato dal collo in giù vorrebbe fuggire, ma il paraplegico Philippe Pozzo di Borgo insiste. Vuole proprio lui e lo alletta con l’offerta di un appartamento dentro il suo palazzo.
Pozzo di Borgo, che Abdel chiamerà sempre Il Pozzo, è un aristocratico ricchissimo, colto e raffinato. E’ finito su una sedia a rotelle in seguito a un incidente col parapendio. La convivenza con Abdel cambierà la vita a entrambi: a lui infonderà l’energia e la voglia di vivere del ragazzo. Ad Abdel aprirà la mente e  il cuore.
Questo libro non è un romanzo. E’ la storia vera di Abdel Sellou scritta dopo l’uscita del film evento Quasi amici-Intouchables, ispirato alla sua esperienza di ‘ausiliario socio-assistenziale’ presso Philippe Pozzo di Borgo, titolare dell’azienda che produce lo champagne Pommery.
Pozzo di Borgo proprio sul suo giovane ‘badante’  e sulla loro convivenza aveva pubblicato poco prima un libro intitolato Il diavolo custode (Le diable gardien). Abdel, che già dopo un anno accanto a lui era molto diverso dal pregiudicato semialfabeta appena uscito dal carcere che aveva bussato al portone del suo palazzo, gli ha dedicato questa autobiografia per ringraziarlo.

Molto bello, asciutto, divertente e traboccante umanità, questa ‘biografia a due’ apre gli occhi su una realtà che ci riguarda da vicino. L’Italia, infatti, data la carenza di servizi ai cittadini, soprattutto ai portatori di handicap, è il paese europeo che meno di tutti potrebbe rinunciare ai badanti, che da noi sono un esercito. Ma chi sono, sono, cosa pensano, cosa sognano, come ci giudicano gli uomini e le donne che, come Abdel, condividono la nostra esistenza in tutte le sue sfaccettature, anche le più dolorose e le più umilianti?

Abdel Sellou

MI HAI CAMBIATO LA VITA

Salani, pagine 221, 11,82 euro anziché 13,90 su interntbookshop

Incipit: “Che dei pregiudicati mi rappresentino in parlamento e che siano pure pagati con le mie tasse non l’ho ai mandato giù. Estorsori, truffatori, evasori, mentitori calunniatori. Il parlamento è il nuovo Inferno di Dante con i suoi gironi o, meglio, è il Paradiso dei delinquenti, dei prescritti, dei giudicati in primo e secondo grado in attesa di sentenza definitiva, degli indagati. (Dalla prefazione di Beppe Grillo)”.
“Nel 79 dopo Cristo l’eruzione del Vesuvio sommerge Pompei in piena campagna elettorale. Ancora oggi, sui muri della città pietrificata si possono leggere, perfettamente conservati, gli slogan di quella vigilia del voto. “Vi prego di eleggere Lucio Rusticelio Celere, è degno della municipalità”. “Geniale invita a votare Bruttio Balbo, conserverà la cassa municipale”.  Vi prego di eleggere Giulio Polibio edile, fa del buon pane”. Cose così. Del resto l’etimologia della parola “candidato” deriva dalla veste bianchissima indossata dal cittadino che si presentava al popolo per farsi eleggere a una carica pubblica.

Sono ancora quasi tutti lì i protagonisti di questo saggio. Molti continuano a occupare gli scranni parlamentari. Non si sa ancora chi guiderà il nuovo esecutivo e cosa sarà di questo sventurato paese ma nel dubbio fondato che molti possano tornare è meglio conoscerli.
Questo libro, pubblicato nel 2006, poco dopo che fu approvata la legge 270 del 21 dicembre 2005, il famigerato Porcellum che alle elezioni successive vinte dal centrosinistra impedì a Prodi di governare, parla della situazione giudiziaria dei politici italiani della XV legislatura (ma anche delle due successive visto che molti non hanno mai lasciato la poltrona). Il contenuto è zeppo di storie ai confini della realtà, di sentenze e scandali riguardanti 25 pregiudicati, 26 imputati, 19 indagati e 12 cosiddetti "miracolati" eletti nel parlamento italiano e in quello europeo.  Tutto un campionario di reati comuni, per lo più senza alcun legame con l’esercizio della funzione politica: corruzione, finanziamento illecito, abuso di ufficio e falso, associazione mafiosa, bancarotta fraudolenta e turbativa d’asta, associazione per delinquere, falso in bilancio, resistenza a pubblico ufficiale, attentato alla costituzione e all’unità dello Stato, costituzione di struttura paramilitare fuori legge, concussione, favoreggiamento e frode fiscale, diffamazione, abuso edilizio e lesioni, banda armata, corruzione giudiziaria, peculato, estorsione, rivelazione di segreti. E non mancano,  con un solo caso per ciascun reato: omicidio, associazione sovversiva, favoreggiamento mafioso, aggiotaggio, percosse, istigazione a delinquere, incendio, calunnia e voto di scambio, fabbricazione di esplosivi, plagio e perfino adulterazione di vini. E pensare che non erano ancora venuti alla ribalta i casi recenti di appropriazione dei fondi destinati ai rimborsi elettorali, i festini miliardari, le corruzioni di minori, l’induzione alla prostituzione eccetera. Altro che toghe rosse! C’è da chiedersi come facciano i magistrati, con gli organici ridotti all’osso e i fondi per la giustizia tagliati sistematicamente, a fronteggiare un numero di reati che copre l’intero codice penale.
E loro, gli indagati e i condannati, sono sempre lì, tronfi e sfuggenti, protetti dall’ipergarantismo e da leggi che hanno allungato i processi e accorciato i tempi di prescrizione dei reati. Chiamati in tivù scambiano colpevolmente le prescrizioni e i condoni per assoluzioni. Ma chi ce lo fa fare di tenerceli e di continuare a votarli?

Peter Gomez. Marco Travaglio

ONOREVOLI WANTED

Editori Riuniti, pagine 726, 4,46 euro anziché 9,90 su internetbookshop