Sono trascorsi quindici anni da una delle pagine più drammatiche della cronaca nera italiana: la scomparsa e l’omicidio di Yara Gambirasio.
Yara Gambirasio, una ragazza di soli 13 anni sparita nel nulla il 26 novembre 2010 e ritrovata senza vita tre mesi dopo a Chignolo d’Isola, non lontano dal suo paese natale.
Il caso ha segnato profondamente la Bergamasca e l’intero Paese, generando un’indagine complessa e costosa, con oltre 25.000 test del DNA effettuati, che ha portato all’arresto e alla condanna definitiva di Massimo Bossetti, operaio edile di Mapello. Anche alle soglie del 2026, molti aspetti di questa vicenda continuano a suscitare dubbi e interrogativi.
La sparizione e il ritrovamento del corpo di Yara Gambirasio
Il 26 novembre 2010, Yara Gambirasio si reca al centro sportivo di Brembate di Sopra per consegnare uno stereo alle insegnanti di ginnastica ritmica, sua passione sportiva. Nonostante le testimonianze confermino la sua presenza fino alle 18:40 circa, da quel momento si perdono le sue tracce. Il cellulare di Yara aggancia alcune celle telefoniche nei comuni limitrofi, ma poi il segnale si interrompe definitivamente, e il dispositivo non verrà mai ritrovato, fatta eccezione per la scheda SIM.
Le ricerche si protraggono per mesi fino al 26 febbraio 2011, quando un aeromodellista rinviene casualmente il corpo della ragazza in un campo aperto a Chignolo d’Isola, a circa 10 chilometri da Brembate di Sopra. La perizia medico-legale rivela che Yara è stata vittima di un’aggressione violenta: numerosi colpi da oggetto contundente, tra cui un trauma cranico, ferite da arma da taglio e una profonda lesione al collo. La morte, secondo gli esperti, potrebbe essere stata causata anche dall’ipotermia, sopraggiunta dopo l’aggressione. Non sono stati trovati segni di violenza sessuale, ma il movente ipotizzato dalle autorità è legato a un’aggressione sessuale e al possibile timore dell’assassino di essere scoperto.
Il ritrovamento del corpo ha scatenato un’eco mediatica enorme, con migliaia di persone che parteciparono al funerale di Yara, celebrato nel centro sportivo dove si allenava, e con messaggi di cordoglio arrivati fin dal Quirinale.

Le indagini, l’arresto di Massimo Bossetti e le controversie(www.misteriditalia.it)
Il caso ha visto numerosi sviluppi, tra cui l’arresto di un primo sospettato, poi prosciolto, e soprattutto la svolta legata all’identificazione di un profilo genetico, definito “Ignoto 1”, rinvenuto sugli indumenti di Yara. Grazie a un’indagine senza precedenti che ha coinvolto la popolazione maschile della zona con test del DNA a tappeto, gli inquirenti sono riusciti a risalire a Massimo Bossetti, il cui profilo genetico coincideva con quello di “Ignoto 1”.
Bossetti, muratore incensurato, è stato arrestato nel giugno 2014. A supporto dell’accusa, oltre al DNA, ci sono elementi come i movimenti del suo cellulare e le immagini di un furgone riconducibile a lui che si aggirava nei pressi della palestra di Yara nelle ore della scomparsa. La Procura di Bergamo ha presentato la richiesta di rinvio a giudizio per omicidio volontario aggravato, sostenendo che il movente fosse un’aggressione sessuale.
La difesa di Bossetti, tuttavia, ha costantemente contestato la validità della prova genetica, sottolineando la mancanza di DNA mitocondriale corrispondente e la presenza di un DNA minoritario, definito “Ignoto 2”, che potrebbe appartenere a un altro individuo. Bossetti si è sempre dichiarato innocente, affermando che il suo DNA potrebbe essere stato trasferito accidentalmente tramite attrezzi da lavoro rubati. Alibi e testimonianze della famiglia hanno cercato di sostenere questa versione, mentre il processo, conclusosi nel 2018, ha portato alla condanna definitiva all’ergastolo.
L’eco mediatica e il caso del video montato del furgone
Parallelamente al processo penale, è emersa una vicenda giudiziaria legata al cosiddetto “video del furgone di Bossetti”. Nel 2015, un filmato realizzato dal Ris di Parma mostrava un furgone bianco aggirarsi intorno alla palestra di Yara nelle ore compatibili con la sua scomparsa. Tuttavia, si scoprì che si trattava di un montaggio di immagini, diffuso per scopi comunicativi e non come prova processuale.
L’ex comandante del Ris, Giampietro Lago, aveva intentato cause civili e penali contro diversi giornalisti che avevano definito il video un fake, ma nel 2025 la Corte d’Appello di Bologna ha stabilito che le critiche giornalistiche erano legittime e rientravano nel diritto di cronaca e critica. Lago è stato condannato a restituire 35.000 euro di risarcimento precedentemente ottenuti in primo grado, chiudendo così un capitolo controverso di questa tragedia.
La sparizione di Yara Gambirasio (www.misteriditalia.it) 











