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Tragedia al Festival di Sanremo: Luigi Tenco si è suicidato o è stato ucciso? Le ipotesi da brividi

cimiteroRiesumazione della salma di Luigi Tenco (Ansa)

Una pistola, un biglietto d’addio e troppe domande: la morte che ha cambiato per sempre la musica italiana

Sanremo, 27 gennaio 1967.
L’Italia davanti alla televisione, le famiglie raccolte intorno al Festival della Canzone Italiana, i cantanti in smoking e gli applausi misurati del pubblico dell’Ariston.
Luigi Tenco è in gara con “Ciao amore ciao”, cantata insieme a Dalida, la donna che ama e che, come lui, vive di fragilità e palcoscenico.

È un artista giovane ma già disilluso, insofferente alle regole del mercato musicale, ha 28 anni e la convinzione che la musica debba dire la verità, anche quando non piace.
Ma quella sera, il pubblico non lo capisce e il brano viene eliminato dopo la prima esibizione.

Poche ore dopo, Tenco verrà trovato morto nella sua stanza d’albergo, la numero 219 dell’Hotel Savoy.

Il colpo di pistola e il biglietto d’addio

“Mi disgustano il pubblico e la giuria di questo Sanremo… spero che serva a chiarire le idee a qualcuno.” È questa la frase scritta nel biglietto ritrovato accanto al corpo di Luigi Tenco.
Una frase che, da sola, avrebbe dovuto chiudere il caso come un suicidio. E invece, ha aperto mezzo secolo di dubbi.

Il corpo è disteso sul letto, la pistola di fianco, un foro alla tempia destra. Ma già da subito, qualcosa non torna.
Nessuna foto della scena viene scattata prima che il corpo venga spostato, l’arma non viene repertata correttamente, il biglietto non è sottoposto a perizia calligrafica immediata.
E il colpo, secondo alcuni testimoni, sarebbe stato sentito un’ora prima dell’orario ufficiale del ritrovamento.

L’inchiesta più breve d’Italia

Le autorità archiviano il caso in fretta: suicidio per motivi personali.
Una formula asciutta, che lascia spazio a mille interpretazioni. Ma chi conosceva Tenco racconta altro: un uomo tormentato sì, ma lucido, ironico, combattivo, qualcuno che amava provocare, ma non rinunciare.

Nei giorni successivi, le versioni si moltiplicano. Dalida tenta il suicidio, distrutta dal dolore. I giornali si dividono tra pietà e sospetto.
C’è chi parla di depressione, chi di una delusione artistica fatale, chi di un messaggio politico nascosto dietro un gesto estremo.

Ma a nessuno viene in mente che forse quella stanza non raccontava la verità intera.

I dettagli che non combaciano

Le prime fotografie della scena vengono diffuse solo molti anni dopo, e mostrano particolari inquietanti: il corpo di Tenco appare spostato, la pistola posizionata in modo innaturale, il foro di entrata incompatibile con la mano destra. Nel sangue, secondo le analisi successive, non vengono trovate tracce di polvere da sparo.

tenco

Luigi Tenco (Ansa)

E poi c’è la questione del biglietto: l’inchiostro, secondo una perizia successiva, risulterebbe scritto con una penna diversa da quella che Tenco usava abitualmente.
Un dettaglio minimo, ma sufficiente a incrinare la certezza.

L’ombra della politica e dei servizi segreti

Erano anni complicati, quelli. La musica cominciava a parlare di libertà, di protesta, di giovani che non volevano più ascoltare le stesse canzoni d’amore.
Tenco era parte di quella rivoluzione culturale, e la sua voce era più scomoda di quanto si pensasse.

Negli anni Duemila, alcune inchieste giornalistiche hanno ipotizzato l’esistenza di interferenze dei servizi segreti, legate a un controllo capillare sull’ambiente artistico e politico dell’epoca.
Nulla di provato, ma abbastanza per aggiungere un’ombra in più a un caso già pieno di contraddizioni.

La riapertura del caso

Nel 2006, quasi quarant’anni dopo, la Procura di Roma dispone la riapertura dell’inchiesta.
Il corpo di Tenco viene riesumato, le ossa analizzate, la traiettoria del proiettile ricostruita con tecniche moderne.
Il risultato, ancora una volta, è ambiguo: il foro è compatibile con un colpo d’arma da fuoco a breve distanza, ma non si può escludere l’intervento di un’altra mano.
Nessun nuovo indizio, nessun nome.

L’indagine si chiude di nuovo.
Come se il mistero, a un certo punto, fosse diventato più importante della verità.

L’eredità di un uomo libero

Oggi Luigi Tenco è un simbolo.
Non solo della musica italiana, ma di una generazione che cercava autenticità in un mondo che già allora sapeva essere spietato.
Ogni anno, durante il Festival di Sanremo, il suo nome ritorna, come un’eco che non vuole spegnersi.

La sua voce, limpida e malinconica, continua a parlare a chi non si accontenta delle versioni ufficiali, a chi cerca nelle parole la parte nascosta delle cose.
Perché, come scrisse un critico, “Tenco non è morto di musica, ma di solitudine, di verità taciute e di un’Italia che non era pronta ad ascoltarlo.”

E forse, in fondo, è proprio per questo che quella notte non è mai finita davvero.

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