Adele Marini

La rubrica "Novità editoriali" di Misteri d'Italia è tenuta da Adele Marini, giornalista professionista, specializzata in cronaca nera e giudiziaria, autrice di diversi libri tra cui il noir 'non fiction' Milano, solo andata (Frilli editori, 2005), pubblicato anche in Germania, con cui ha vinto nel 2006 il Premio Azzeccagarbugli per il romanzo poliziesco. Nel 2007, sempre con Frilli, ha pubblicato Naviglio blues, anch'esso tradotto in tedesco. Attualmente è in libreria con l'eBook Arriva la Scientifica (editrice Milanonera), secondo volume della collana Scrivi noir: i fondamentali della scrittura d'indagine dedicata alle procedure investigative e giudiziarie.

Incipit. Prologo. Hotel Royal, Napoli. Stanza 607
«Il professore ha detto di stare tranquilla, resta con noi a cena e rientra più tardi.»
«Sì, ma… » Nemmeno il tempo di finire la domanda che hanno già buttato giù.
Luisa Barlesi si è alzata con calma, ha pranzato da sola; lo squillo del telefono le ha fatto andare il cuore in controtempo.
Esco a fare due passi, decide più arrabbiata che preoccupata. Ma un brivido di freddo le fa cambiare idea: Lo aspetto qui. E si mette a sfogliare la brochure dell’albergo.
E’ apprensiva, Luisa, una vaga inquietudine l’accompagna per tutto il pomeriggio.

Ricordo perfettamente il mattino in cui lessi sul giornale che dentro l’auto parcheggiata a Ottaviano, davanti alla casa di un boss della camorra, era stata rinvenuta la testa mozzata dello psichiatra forense Aldo Semerari, scomparso due giorni prima. Il corpo, incaprettato, era chiuso nel baule.
Mi trovavo al solito bar, seduta davanti al cappuccino. Mentre mordicchiavo la brioche davo una prima scorsa al giornale. Corriere della Sera o Repubblica? Questo dettaglio mi sfugge. Tutti gli altri di quel mattino, che a Milano era grigio di nubi gonfie di pioggia, sono vividi per una ragione molto semplice: leggendo della testa mozzata dentro un sacco di plastica insanguinato, posato sul sedile dell’auto, avevo avuto un violento capogiro. Un malessere improvviso che mi aveva assalito perché io, il criminologo nero Aldo Semerari, lo avevo incontrato circa tre anni prima.
Era il tardo autunno 1970 e stavo preparando un ‘pastone’ che sarebbe stato pubblicato nella decima ricorrenza della bomba di Piazza Fontana. Il professore, contattato attraverso la sua segreteria all’università, mi aveva concesso un’intervista sul ballerino anarchico Pietro Valpreda, accusato di aver messo la bomba nel salone della banca dell’Agricoltura, su cui aveva effettuato una perizia medicolegale.
Aldo Semerari, di cui mi era nota la fede politica, era stato gentilissimo e molto disponibile. Avevamo parlato a lungo e mi aveva spiegato che quella perizia avrebbe dovuto accertare la piena capacità di intendere e di volere dell’accusato. I difensori infatti lo avevano assunto per smontare la tesi  sostenuta dalla procura e cioè che la bomba fosse il gesto di un folle. Un depistaggio che Semerari schivò. Infatti, pur ritenendo l’appartenenza al circolo anarchico XXII marzo già motivo sufficiente per una diagnosi di schizofrenia paranoide, per onestà professionale, dopo un’analisi molto accurata del soggetto aveva dovuto riconoscere che Valpreda aveva una mente lucida e acuta e perfino un quoziente intellettivo superiore alla media. In altre parole: nel ballerino anarchico non aveva ravvisato alcun segno di una patologia neuropsichiatrica, né pregressa né in atto. Lo aveva scritto e la sua relazione, sgonfiando la tesi accusatoria, aveva portato al proscioglimento dell’accusato. Cosa della quale mi aveva parlato come di un proprio successo personale. 
Mi si perdoni questo ricordo personale che tuttavia col libro di Corrado De Rosa ha molto a che fare perché proprio quella perizia su Pietro Valpreda è trattata in un capitolo molto importante.
In questo saggio che si divora come se fosse un romanzo è ricostruita la storia professionale e criminale del professor Aldo Semerari, l’eminenza nera” dei movimenti di estrema destra, lo psichiatra forense considerato uno dei peggiori fra i ‘cattivi maestri’ saliti in cattedra in quegli anni ’60-’70, appassionati e turbolenti. Una specie di genio del male dal momento che all’apice della carriera era considerato uno dei più importanti criminologi da Cesare Lombroso in poi. Un uomo che ha percorso l’intera linea d’ombra dell’eversione nera, da Piazza Fontana alla strage di Bologna passando per il sequestro Moro; che  ha complottato e tramato; che ha allacciato rapporti ad altissimo livello nella politica, nelle istituzioni, negli apparati dello stato e nell’eversione, mantenendosi sempre in precario equilibrio fra crimine e rispettabilità.
Perché è stato ammazzato in modo così brutale e macabro? A chi doveva mandare un segnale quella testa mozzata?
Secondo Corrado De Rosa, anche lui psichiatra ed esperto di criminologia, quella testa sarebbe stata un’ingiunzione a tenere la bocca chiusa lanciata a chi, come Semerari, minacciava di rivelare segreti pericolosi.
In realtà il movente ufficiale, ricostruito attraverso le indagini e soprattutto le rivelazioni del boss mafioso Umberto Ammaturo,  sarebbe stato quello della punizione decisa dalla camorra per un presunto doppio gioco. In sostanza il professore con se sue perizie si sarebbe messo fra il boss della Nco, Raffaele Cutolo, e il suo nemico mortale Ammaturo che, sia detto per inciso, ha confessato il delitto. Una tesi poco convincente secondo Corrado de Rosa, perché troppo debole per un omicidio così efferato.
Ammaturo potrebbe averlo sì  commesso, quell’omicidio, con le proprie mani, ma su commissione. Per ordine di chi?
Ma ci sarebbe anche una terza ipotesi adombrata in queste pagine: l’impegno professionale del professor Semerari sommato alla sua appartenenza all’estrema destra, negli anni lo ha portato a contatto con un groviglio di misteri e di pericolosi segreti. L’uomo sapeva assolutamente troppo di tutto e  troppe volte aveva lavorato su fronti opposti contemporaneamente. Con questi presupposti e data la turbolenza politica e criminale di quegli anni non è illegittimo pensare a un coinvolgimento dei Servizi segreti.

Chi ama i misteri più foschi che ancora gravano sul nostro paese non dovrebbe lasciarsi sfuggire quest’opera che, a nostro giudizio, ha un unico difetto: quello di essere troppo ricca di dettagli in alcune parti e troppo scarna in altre, spesso le  più interessanti.

Corrado De Rosa

LA MENTE NERA. Un cattivo maestro e i misteri d'Italia: lo strano caso di Aldo Semerari

Sperling & Kupfer, 290 pagine, 14,15 euro anziché 17,00 su internetbookshop. Disponibile anche in eBook a 8,99 euro

Incipit. Premessa generale. Superlogge: le vere protagoniste della storia.
Cosa unisce Edmund Burke, massone britannico nato e morto nel Settecento, all’attentato del 1981 contro papa Wojtyla? Cos’hanno in comune Angelo Roncalli, eletto pontefice nel 1958 col nome di Giovanni XXIII e gli autori della Dichiarazione di indipendenza americana? Quale filo rosso lega l’assassinio di Martin Luther King a quell’Operazione Condor che negli anni Settanta ha trasformato l’America latina in un enorme campo di concentramento?

Il potere in grembiulino di Laura Maragnani. Chi è il fratello (eretico) Gioele Magaldi.
Ho conosciuto Gioele Magaldi – già Maestro Venerabile della prestigiosa loggia massonica romana ‘Monte Sion’ all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia, nonché futuro Gran Maestro del movimento massonico d’opinione Grande Oriente Democratico (God) - nel maggio del 2010, quand’era ancora un semplice dissidente del Goi e un oppositore dell’allora Gran Maestro Gustavo Raffi. ‘Semplice’ è però un aggettivo parecchio fuorviante: niente, in Magaldi, era semplice, e niente lo è tuttora. A nemmeno quarant’anni era un uomo non molto alto ma ben piazzato e muscoloso (aveva fatto boxe e full-contact in gioventù e ci teneva a sottolinearlo), dall’eloquio torrenziale e dagli occhi molto vivi, sempre vestito in modo inappuntabile, a volte perfino un po’ azzimato; e sempre in ritardo, e sempre con l’aria un po’ misteriosa di chi è appena uscito da una riunione dove si sono decisi i destini del mondo.

Ci sono libri che potrebbero cambiare la storia se fossero letti da un numero di cittadini sufficientemente elevato da determinare, senza traumi, ma passando attraverso libere elezioni, un muovo ordine democratico in questo paese. E quest’opera, che si preannuncia monumentale dal momento che siamo solo al primo, robusto volume, è uno di questi.
Per capire la portata delle rivelazioni dell’autore occorre spendere due parole su Gioele Magaldi, personaggio misterioso nel suo mostrarsi esageratamente sincero e trasparente, iperattivo, affabulatore e certamente depositario di un gran numero di scomode verità. Tutte le verità che possono essere conosciute solo da chi, come lui, è vissuto per quasi tutti gli anni dell’età adulta dentro la massoneria salendone  i gradini fino a diventare, ancora giovanissimo, Maestro Venerabile della loggia romana ‘Monte Sion’. Da questa posizione è entrato in collisione con l’onnipotente Gran Maestro del Goi, Gustavo Raffi fino ad andarsene sbattendo la porta per dare via a un proprio movimento massonico d’opinione: il Grande Oriente Democratico (God), divenuto nel tempo una vera e propria loggia della quale Magaldi è oggi gran maestro.
Massone critico e pentito? In una certa misura sì, anche se non così tanto come ci si aspetterebbe leggendo questo libro diventato in pochi giorni un bestseller. E’ certo che svelando i segreti e i backstage di logge e superlogge (le UR-Lodges) Magaldi ha riscritto molte pagine di storia.
Per esempio: chi mai avrebbe immaginato che un papa come Angelo Roncalli, fosse un massone appartenente a una delle logge transnazionali più esclusive? E dunque, in quale chiave vanno rivisti il suo pontificato e il Concilio Vaticano II, che ha cambiato i rapporti fra Chiesa e società?
La lettura delle liste dei ‘presunti’ massoni eccellenti è uno shock: si parte da Giordano Bruno per arrivare a personaggi come Martin Luther King, Mahatma Gandhi, JFK, l’ex presidente Giorgio Napolitano, Mario Draghi, Barack Obama, Il ministro Padoan… Insomma, ci sono tutti i potenti della terra, noti e sconosciuti al pubblico, perché, come giustamente scrive Magaldi, "se non sei massone non hai alcuna chance di arrivare al vero potere". E viceversa, aggiungeremmo: se per caso o per sbaglio ti capita di arrivare al vero potere, non ci resti un solo giorno se non indossi il grembiulino.
Sì, ma quale grembiulino? Ci sono logge e logge. Ci sono quelle di impostazione neoaristocratica e neonazista e quelle con una visione progressista. Questi gruppi di strapotere sono sempre in conflitto fra loro e, a detta di Magaldi, non è un caso se, in un momento storico come quello che stiamo vivendo, funestato da una crisi economico-finanziaria più devastante di quella del il 1929, caratterizzato da un massiccio spostamento delle ricchezze verso un’élite sempre più ristretta a fronte di un impoverimento delle masse sempre più accentuato, a dominare sono le UR-Lodges iperliberiste e neoaristocratiche, fra cui spiccano la “Three-eyes” e la “Edmund Burke”, le stesse a cui appartengono Christine Lagarde e Giorgio Napolitano (T.E), Mario Draghi (E.B.) e George Bush padre (entrambe).
Tra i tanti nomi dei “presunti” massoni fatti da Magaldi ci sono anche quelli di Berlusconi e Renzi, naturalmente. Ma il primo non è mai riuscito ad andare oltre la P2 di Gelli, mentre Renzi, secondo Magaldi, sarebbe “un aspirante massone elitario" non ancora accettato in seno a una delle superlogge sovranazionali. Cosa che dispiace molto al premier il cui obiettivo, sempre stando a Gioele Magaldi, sarebbe quello di affiliarsi  “non al Grande Oriente d'Italia o a qualche altra comunione massonica ordinaria, su base nazionale italiana o estera. No, il premier italiano punta molto più in alto. Egli vorrebbe essere iniziato presso la Ur-Lodge Three Eyes, la medesima superloggia cui sin dal 1978 fu affiliato Giorgio Napolitano. La stessa superloggia a cui è affiliato Mario Draghi".
 "Il problema - argomenta l’autore - è che la sua domanda di affiliazione non è stata ancora accolta perché i vari Draghi, Napolitano, Merkel, Weidmann, Schauble, Trichet, Rutte, Sutherland, eccetera non si fidano del “Renzi waannabe massone”. Considerano Renzi un narcisista, uno spregiudicato ed indisciplinato arrivista. Figuriamoci quanto poco venga apprezzato da questi ambienti l'asse Berlusconi-Renzi, siglato dal Patto del Nazareno. Perciò l'atteggiamento dell'establishment massonico neoaristocratico verso l'attuale premier e segretario Pd è ambivalente. Da un lato ne apprezzano le politiche sostanzialmente prone al paradigma dell'austerità (austerità per tutti, tranne che per i ricchi, of course!) , dall'altro ne temono l'indisciplina e i potenziali voltafaccia".
In altre parole: lo considerano “smodatamente ambizioso e capace  persino, se gli convenisse, di passare un giorno armi e bagagli con il network massonico progressista".
Questo libro (e gli altri che seguiranno, la cui pubblicazione è già stata annunciata dall’editore) va letto fino all’ultima pagina anche se, ovviamente, non tutto va preso per oro colato perché si tratta della prima, grande inchiesta fra massoneria internazionale e potere politico, religioso, economico e mediatico nel nostro paese. Un vero libro di storia che però la nostra storia recente la riscrive da capo, suggerendo ipotesi per spiegare fatti oscuri e tragici, come le stragi e perfino la crisi devastante degli ultimi anni. Ipotesi a cui molti certamente hanno pensato ma solo come possibili soggetti per spystory. E che invece, sempre stando a Magaldi, sarebbero le chiavi per arrivare alla verità, non fosse altro che per capire le ragioni dell’autolesionismo italico e della solenne presa per i fondelli inflitta ai cittadini da queste logge egemoni.
Niente, dunque, da noi come in quasi tutto il mondo, negli ultimi secoli è accaduto per caso.  A questo proposito la parte più interessante è rappresentata dall’ultimo capitolo contenente diversi colloqui di Gioele Magaldi “Frater Jahoel” con alcuni fratelli di logge, nel quale, al capitoletto “Digressioni sul parafratello Enrico Letta” (pagg. 551-557) viene tracciato un quadro apocalittico del nostro futuro e del cui prodest l’aver tanto brigato, da parte delle logge transnazionali neoaristocratiche,  per sprofondare i paesi peones d’Europa (i cosiddetti PIGS: impietoso acronimo di Portogallo, Italia, Grecia e Spagna), in una crisi a spirale, cioè destinata ad avvolgersi sempre più su se stessa aggravandosi a ogni passaggio.
Ecco un piccolo, illuminante assaggio a pagina 547: “se gli italiani non fossero stati dei bambinoni deficienti, non avrebbero accolto con le fanfare i tre commissari dissimulati che abbiamo inviato loro [noi massoni delle UR-Lodges] in successione: il fratello Mario Monti, il parafratello Enrico Letta, l’aspirante fratello Matteo Renzi…” responsabili, secondo Magaldi, di riforme macelleria i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti. “Per far inghiottire simili riforme idiote e antipopolari alla cittadinanza la devi spaventare come si fa con i bambini.”
 E’ così che gli italiani vanno incontro al destino: spaventati e succubi, pronti ad accogliere con gratitudine il primo timoniere che venga spinto avanti dai media ‘addomesticati’, sia egli un professore bocconiano oppure un giovane ambizioso. E, naturalmente, altrettanto pronti a voltargli le spalle.

Naturalmente non tutto quello che Gioele Magaldi afferma va preso alla lettera, tuttavia questo è un libro che consigliamo di leggere e meditare anche alla luce dei recentissimi provvedimenti del governo.

Gioele Malgaldi con Laura Maragnani

MASSONI. Società a responsabilità limitata. La scoperta delle UR-Lodges

Chiarelettere, 656 pagine, 16,15 euro anziché 19,00 su internetbookshop. Disponibile anche in eBook a 8,99 euro.

Incipit. Prefazione. L’autore di questo libro è un novantenne, nato a Vel’ka Lomnica, un paesino sugli Alti Tatra in Slovacchia che, nonostante l’età, ha tuttora un fisico robusto e asciutto, i capelli in gran parte ancora neri e soprattutto è dotato di  un’energia formidabile che gli deriva da un’incrollabile motivazione interiore, quella di non permettere che il mondo dimentichi quanto e accaduto nei lager nazisti durante l’ultimo conflitto mondiale.
Adolf Burger è uno degli ultimi superstiti dei campi di concentramento dove i tedeschi mettevano in pratica le loro farneticanti teorie razziali, tramite lo sterminio sistematico dei deportati di origine ebrea.
Ma non tutti gli ebrei dovevano essere annientati, almeno per il momento; in particolare un gruppo di centotrentasette deportati venne scelto e inviato al campo di concentramento di Sachsenhausen in localita Oranienburg, per produrre una grande quantità di sterline false, al fine di distruggere la potenza finanziaria dell’Impero.

Questo libro non è una novità appena giunta in libreria. E inoltre si occupa di un crimine commesso sessant’anni fa. La scelta di parlarne oggi non è però casuale essendo stata determinata dal fatto che il senso profondo di ciò che viene narrato appartiene al presente molto più di quanto non ci si possa immaginare. Infatti il tentativo di distruzione di un paese considerato nemico attraverso la creazione a tavolino di un cataclisma finanziario è una pratica più attuale che mai, essendo oggi praticata su scala planetaria. Del resto, che altro sarebbe la marea nera di surprime tossici esportati dagli USA in tutta la zona euro atlantica? E che dire della peggior crisi economica dal dopoguerra che fra gli anni 2009 – 20011 si è abbattuta sull’Europa? E se ci fosse qualcuno ancora disposto a credere alle favole della globalizzazione e delle tendenze congiunturali avverse, nonché alla necessità di riforme strutturali volte a imporre un rigore suicida nei conti pubblici dei paesi più deboli, soprattutto i cosiddetti PIGS (acronimo dispregiativo per indicare Portogallo, Italia, Grecia, Spagna), dovrebbe leggersi le pagine, a partire dalla 544, di Massoni La scoperta delle UR Lodges, di Gioele Magaldi,  recensito proprio in queste rubrica.
Ma torniamo a L’officina del Diavolo.
Raccontata in prima persona da uno dei protagonisti, questa storia svela i dettagli dell’operazione ‘Bernhard’, il piano elaborato e attuato dal Terzo Reich per la produzione e la diffusione su vasta scala di false sterline inglesi con le quali si sarebbe dovuta distruggere economicamente ‘la Perfida Albione’.
Una storia poco conosciuta che in un certo senso apre la strada alle attuali guerre speculative combattute sui mercati finanziari a colpi di clic e non meno micidiali di quelle convenzionali per le vite di intere popolazioni.
Tutto ha inizio con una serie di telegrammi spediti dal Reichstag ai comandanti dei campi di concentramento disseminati in territorio tedesco e nelle nazioni occupate. Le missive contengono l'ordine di reclutare tutti gli internati ebrei con esperienza nel settore  tipografico e di provvedere al loro trasferimento nel campo di Sachsenhausen, fuori Berlino.
Parte così, in sordina l’operazione Bernhard. L’autore del libro, Adolf Burger, ebreo sopravvissuto ai lager nazisti, marchiato col numero 64401 ad Auschwitz, fu uno dei 142 internati, tutti grafici e tipografi, che si ritrovarono scheletriti a Sachsenhausen. A partire dall’arrivo in quel lager la sua vita, come quella dei suoi compagni, cambiò radicalmente. Gli uomini addetti alla falsificazione vennero curati, lavati, nutriti e rivestiti. Ma la cosa più sorprendente fu che per la prima volta dalla loro deportazione vennero trattati come esseri umani, quasi con rispetto. A loro furono riservate due “comode” baracche circondate da filo spinato e con le finestre oscurata da vernice bianca. Un isolamento totale dal resto del campo perché anche alle SS preposte alla sorveglianza era vietato l’accesso dal momento che nessuno doveva sapere che dentro quei tetri edifici si celavano sofisticati macchinari per la falsificazione di montagne di sterline false.
La macchia da soldi lavorò da subito a pieno ritmo nonostante i goffi tentativi di sabotaggio messi in atto da di alcuni degli appartenenti al ‘Kommando”. Dopo le sterline, quando entrarono nel conflitto anche gli Stati Uniti, fu la volta dei dollari. Intanto dentro le baracche 18 e 19 si viveva relativamente bene anche se nessuno si faceva illusioni: l’operazione era ultrasegreta e tutti erano  perfettamente consapevoli che nessuno sarebbe uscito vivo da quel posto.
Da questo libro, come molti certamente ricorderanno, è stato tratto il film Il Falsario – Operazione Bernhard, diretto dal regista polacco Stefan Ruzowitzky, presentato al festival di Berlino del 2007, premio Oscar come miglior film straniero nel 2008.

Adolf Burger

L’OFFICINA DEL DIAVOLO. La più grande operazione di falsificazione dellastoria

Prefazione di Stefano Poddi

Nutrimenti, 398 pagine, euro 16,58 anziché 19,59 su internetbookshop

Incipit. Introduzione. La questione della distribuzione delle ricchezze è oggi una delle più rilevanti e dibattute. Ma cosa si sa davvero nel suo sviluppo nel lungo termine? La dinamica dell’accumulazione del capitale privato comporta inevitabilmente una concentrazione sempre più forte della ricchezza e del potere in poche mani, come pensava Marx nel XIX secolo? Oppure le dinamiche equilibratrici della crescita, della concorrenza e del progresso tecnico determinano, nelle fasi avanzate del processo economico, una riduzione spontanea delle disuguaglianze e un’armonica stabilizzazione dei beni, come pensava Kuznets nel XX secolo? Che cosa sappiamo realmente del processo di distribuzione dei redditi e dei patrimoni dal XVIII secolo in poi, e quali lezioni possiamo trarne per il XXI?

In queste poche righe di incipit, l’autore ha concentrato l’argomento del suo poderoso saggio, ossia la distribuzione iniqua delle ricchezze sul pianeta e le sue cause. Non c’è dunque da meravigliarsi se il libro, un trattato di finanza mondiale di quasi 1.000 pagine, è  diventato rapidamente un bestseller anche in un paese come il nostro che  nei libri cerca soprattutto l’evasione dai problemi quotidiani, il facile, il godibile, il divertente! Segno che il problema del fossato che divide ricchi e poveri è molto, molto sentito.
La tesi di Thomas Piketty, che rifiuta l’etichetta di Karl Marx del nostro secolo, è più che semplice: il capitale, ossia le ricchezze del pianeta, si concentra in un numero sempre minore di individui e aumenta più di quanto non cresca il reddito generale. Come se un pranzo preparato per cento persone fosse servito ogni giorno a un numero sempre minore di convitati i quali vedrebbero aumentare via via la quantità e la qualità delle portate dovendo dividerne i costi con un numero sempre minore di commensali i quali, dal loro canto, restano a digiuno. Elementare, no?
Molto più complesso invece è il quesito che scaturisce da questa analisi: posto che questa situazione è destinata ad aggravarsi e quindi a generare conflitti sociali e politici sempre più aspri, come si potranno rimettere le cose in equilibrio? Non certo con l’attuale politica, spiega l’autore, che oggi sembra orientata verso un allargamento sempre maggiore della forbice: ricchi sempre più ricchi a discapito dei poveri che di questo passo presto non avranno più accesso nemmeno ai beni primari.
Riprendendo le analisi formulate cento anni fa dal tedesco Karl Marx, il francese Piketty lancia un grido di allarme: se da un lato la crescita economica registrata negli ultimi decenni nel mondo occidentale, unita all’innalzamento del tasso medio di scolarizzazione, cosa che favorisce la diffusione del sapere, ha messo al riparo da disuguaglianze troppo pesanti e diffuse consentendo di evitare l’avverarsi degli scenari terrificanti prefigurati da Marx, dall’altro, le attuali tendenze dell’economia fanno prevedere per il prossimo secolo il ritorno a un capitalismo ottocentesco preindustriale, simile a quello dei romanzi di Jane Austen, Balzac e, aggiungeremmo, Charles Dickens, nel quale la ricchezza non si potrà più produrre col lavoro (deprivato di ogni garanzia sindacale), utile solo per la pura sopravvivenza degli individui, ma sarà accumulata per effetto delle dinamiche interne all’economia (speculazioni), oppure acquisito per matrimonio e/o trasmesso in eredità. E qui vale la pena di ripensare con amarezza alla battuta di Berlusconi quando, da presidente del consiglio, diede alla giovane laureata in cerca di occupazione, la sua personale ricetta per risolvere i suoi problemi: sposare un uomo ricco. Che l’ex cavaliere ci vedesse cinicamente lontano?
Lo scenario prefigurato da Piketty non è fantascientifico. A suo dire, gli attuali supercompensi dei top manager sarebbero l’equivalente moderno dei vecchi “benefici” e dei latifondi concessi dai sovrani feudali ai vassalli: ricchezze elargite a chi poteva assicurare vantaggi al suo signore, ricchezze che poi  hanno gettato le basi di una diseguaglianza che solo nel primo dopoguerra si era attenuata grazie alla necessità di procedere il più rapidamente possibile alla ricostruzione per rimettere in moto la ricchezza anche facendo concessioni alle classi lavoratrici.
Quelli sono stati pochi decenni fortunati dei quali presto rimarrà solo il ricordo perché la disuguaglianza sta ripartendo alla grande grazie anche a interventi mirati e a riforme in materia di economia, finanza e lavoro, tesi a spingere masse di denaro sempre verso una sola direzione: quella di coloro che già ne possiedono troppo.
E il cerchio potrebbe essere vicino a chiudersi.
Uno scenario terrificante? Poco rassicurante, certamente. Tanto più che l’autore ha corredato il volume con una documentazione imponente ma così ben esposta che anche i meno esperti possono comprendere quanto siamo vicino a una catastrofe sociale.

Thomas Piketty

IL CAPITALE NEL XXI SECOLO

Bompiani, 950 pagine, 18,70 euro anziché 22,00 su Internetbookshop.
Disponibile anche in eBook a 9,99 euro.

Incipit. Questo libro. Io so e ho le prove. Io so e ho le prove della gigantesca truffa operata dalle banche ai danni dei correntisti. Io so e ho le prove perché sono un fuoriuscito. Sono stato per anni il più allineato tra gli allineati, tra i migliori venditori nazionali di polizze e strumenti finanziari.
Io so e ho le prove perché ero uno di loro, consapevole della spazzatura che vendevamo quotidianamente a schiere di cittadini e imprenditori che firmavano fiduciosi e ignari.
Io so e ho le prove perché ero talmente schierato e interno al sistema da ricevere costanti attenzioni da parte delle organizzazioni sindacali.
Io so e ho le prove delle decine di irregolarità formali praticate dalle banche.
Io so e ho le prove di come, con incredibile superficialità e consapevole leggerezza, abbiamo generato profitti pazzeschi e ottenuto premi di produzione da capogiro per gli obiettivi raggiunti.
Io so e ho le prove perché ho partecipato in prima fila alle riunioni operative per decidere la strategia da adottare dopo lo scandalo Lehman Brothers e la crisi dei subprime.
Io so e ho le prove di come si muovono le banche di fronte a quei correntisti e a quelle aziende in crisi che rischiano di non riuscire più a onorare la propria posizione debitoria: propongono una ristrutturazione del debito, una rinegoziazione che nasconde la manleva da ogni responsabilità per irregolarità in contratti precedenti, e la presentano al correntista come unopportunità dilatoria.

Dopo la lettura di questo libro il rapporto dei correntisti con le loro banche non sarà più lo stesso. Chi prima riponeva con gesto annoiato le interminabili comunicazioni periodiche riguardo a mutate condizioni del rapporto in seguito al recepimento di articoli di legge (sempre favorevoli agli istituti di credito) o a  disposizioni generali in seguito a fusioni eccetera, forse dedicherà un po’ di tempo alla comprensione di quei testi astrusi; chi firmava frettolosamente contratti di acquisto di titoli o obbligazioni senza dare neanche un’occhiata alle pile di fogli, solo fidandosi della parola del funzionario, forse presterà più attenzione non solo alle righe in corpo leggibile ma soprattutto a quelle quasi invisibili, a costo di farsi prestare la lente d’ingrandimento dal funzionario che gli siede di fronte (ce l’hanno sempre una lente gli addetti al servizio titoli).
Questo libro, scritto con linguaggio accattivante e talvolta perfino ironico, è una sorta di autocoscienza liberatoria fatta da un bancario pentito. Dunque, viene dal cuore del problema. Perché, soprattutto in un momento di grande crisi, non dargli retta?  
Per la prima volta un ex funzionario di banca confessa le strategie sempre sul filo dell’illegalità che permettono alle banche di accumulare quattrini a spese non solo dei loro clienti ma di tutta la collettività, posto che proprio dalle banche e dalle loro disinvolte gestioni è derivata la crisi della quale non si vede il fondo.
L’autore è stato per vent'anni manager di alcuni grandi istituti di credito italiani, quelli, per intenderci, che hanno sportelli e filiali su tutto il territorio nazionale e all’estero. Ha operato prima della crisi, quando l’economia stava passabilmente bene e dopo, quando i soldi hanno cominciato a circolare solo in poche tasche e sempre le stesse. In questo libro svela i segreti per abbindolare il correntista e guadagnarci sempre, i maneggi sui conti e le ‘sole’ spacciate per investimenti sicuri e imperdibili.
Se non basta, ci sono anche i costi esagerati fatti passare per tassi d’interesse, le commissioni a fronte di nulla, l’anatocismo, cioè il meccanismo perverso sugli interessi  a vantaggio degli istituti in teoria proibito dalla legge ma di fatto stabilmente applicato. E in certi casi si potrebbe perfino parlare di tassi usurari e di spese esagerate sulle commissioni.
Almeno il 20 per cento di quello che il correntista paga”, spiega l’autore, “non dipende dal tasso d'interesse".
Ma non basta: Imperatore mette in guardia dalla moltiplicazione delle commissioni, dal ricatto psicologico esercitato con ingiunzioni di rientro, dalle polizze assicurative con relative spese di istruzione della pratica rifilate a ogni richiesta di mutuo, o di prestito, o di fido …
Raccolta del risparmio ed erogazione del credito: dovrebbero  essere queste le attività delle banche sancite dalla costituzione. Invece gli istituti si dedicano soprattutto alla speculazione. Soldi che generano soldi senza alcuna produzione di beni o di servizi, mentre erogano prestiti e mutui solo a chi può dimostrare di non averne bisogno.
Proprio del credito alle aziende, da quando siamo sprofondati nella crisi, si parla spesso nei talkshow ma, a parte vuote promesse dei politici ospiti, non sono mai state prese dagli ultimi governi, da Monti a Renzi passando per Letta, misure veramente efficaci per contrastare questo strapotere. Quanto ai trucchi per lucrare, ci si potrebbe ribellare: basterebbe che i correntisti si prendessero il tempo necessario per leggere con calma le carte che firmano e questo li metterebbe se non al sicuro, almeno al riparo dalle politiche gestionali più aggressive.

Vincenzo Imperatore

IO SO E HO LE PROVE. Confessioni di un ex manager bancario

Chiarelettere, 148 pagine, 11,05 euro anziché 13,00 su Internetbookshop. Disponibile anche in eBook a 8,99 euro.

Incipit. Introduzione. Dopo undici edizioni, abbiamo deciso di aggiornare Fratelli di sangue, un libro che nel 2006 era nato dal desiderio di dimostrare come la ‘ndrangheta in tutti questi anni avesse cambiato anni ma non abitudini, comportamenti ma non logiche, mantenendo le caratteristiche di sempre: adattabilità e tradizione, continuità e trasformazione, forza d’urto e mediazione, logiche tribali e cointeressenze politico-finanziarie.
Negli ultimi due anni la ‘ndrangheta è tornata sui giornali come non succedeva da tempo.

La 'ndrangheta calabrese si impone all'attenzione dell'opinione pubblica nell'estate 2007, con la strage di Duisburg, un feroce regolamento di conti nell’ambito di una faida che aveva già spopolato diversi paesi dell’Aspromonte. Morirono sei persone e fu la spedizione che rivelò al mondo intero la potenza di fuoco dell’organizzazione e la sua capacità di portare la morte non solo fuori dalla Calabria, ma oltre i confini italiani.
Cresciuta e rafforzatasi nel silenzio, la 'ndrangheta ha oggi ramificazioni in ogni regione italiana e nei cinque continenti, può vantare rapporti con organizzazioni criminali e terroristiche straniere ed è responsabile del fiume di droghe che ha invaso le città negli ultimi anni.
Ma non solo della droga.
Oggi la mafia calabrese partecipa a tutte le attività lucrative: dall'edilizia alla sanità, dalla distribuzione ortofrutticola alla gestione dei rifiuti. Il suo giro d'affari complessivo ammonterebbe, per il 2007, a oltre 43 miliardi di dollari ed è frutto di una straordinaria capacità di adattarsi a ogni esigenza del mercato, di coniugare tradizione e modernità.
"Oggi dietro i killer ci sono professionisti che riciclano denaro con raffinatezza manageriale e politici disposti a tutto pur di rimanere abbarbicati al potere." dicono gli autori Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, i due massimi esperti mondiali in fatto di criminalità organizzata. Tale evoluzione non ha cancellato la presenza di antichi rituali mai del tutto scomparsi. Una liturgia in cui convivono richiami al Vangelo e alla religione cristiana e cerimoniali di iniziazione fondati sulla centralità del vincolo "di sangue".
Ecco, quieta è la ‘ndrangheta, allo stato attuale è la più ricca, la più potente, la più sanguinaria e la più oppressiva delle mafie che infestano il nostro paese, anche la più temuta se si pensa che le triadi cinesi sono costrette a scendere a patti sia per commettere crimini sia per poter esercitare attività illecite, prime fra tutte quelle di riciclaggio, ormai rese legali dalle nuove norme in materia di trasferimenti di capitali dall’estero.
Questo libro, uscito per la prima volta nel 2006 per i tipi di Pellegrino editore e preso in considerazione dalla major Mondadori solo dopo il risalto mediatico dato alle minacce di cui è stato fatto oggetto il magistrato Nicola Gratteri, è un testo fondamentale per chi vuole avere una conoscenza del fenomeno abbastanza approfondita da poter leggere in chiave mafiosa almeno gli episodi criminosi più eclatanti riportati dai media: omicidi sparsi, scioglimenti di consigli comunali e provinciali per infiltrazione, politici accusati di corruzione e concussione, voti di scambio, appalti truccati e l’intero circo di ordinaria criminalità che ci viene mostrato ogni giorno dalla tivù. 
E dopo averlo detto nessuno potrà più dire “io non sapevo” perché in questo volumetto, appena ripubblicato in edizione tascabile con tutti gli aggiornamenti del caso, c’è tutto quello che sarebbe necessario sapere: la geografia ‘ndranghetista; le cosche e la loro distribuzione regione per regione; la colonizzazione dell’Europa;  i riti di affiliazione e i metodi brutali per punire chi sgarra, per mettere in riga chi non paga o chi viene meno agli accordi quasi sempre unilaterali, per castigare chi commette “infamità”: lo sgarro più grave di tutti.
Si parte dalle origini, testimoniate da documenti che risalgono a poco dopo l’Unità e, di cadavere in cadavere, si arriva a oggi. E se l’argomento non fosse quello che è si potrebbe scambiare Fratelli di sangue per un trattato di storia del feudalesimo. Del resto la ‘ndrangheta, con i suoi rituali, la finta religiosità che, stando alle cerimonie di “battesimo” (mafioso, s’intende!), dovrebbe far profumare d’incenso crimini orrendi con il suo richiamarsi agli antichi ideali della cavalleria quasi che i “battezzandi” fossero tutti Lancillotto in lotta col drago, ha un piede nel Medioevo anche se l’altro è saldamente piantato su tecnologie informatiche all’avanguardia, capaci di far girare i ‘pìccioli’, nasconderli e moltiplicarli..
Scritto a quattro mani dal magistrato antimafia Nicola Gratteri, uno degli uomini più a rischio nel nostro paese e da Antonio Nicaso, storico delle organizzazioni criminali, uno dei massimi esperti di ‘ndrangheta nel mondo, questo libro si avvale sia di conoscenze acquisite pericolosamente dal piemme nel corso delle indagini, sia della conoscenza teorica ma non meno robusta dell’osservatore esterno, specializzato in sociologia e antropologia criminale. Il risultato è un capolavoro da paura che, appunto, paura dovrebbe incutere a tutti, benché da chi sta ai vertici delle istituzioni il problema delle infiltrazioni e della mostruosa espansione del giro di affari delle cosche venga sistematicamente sottovalutato se non negli sforzi fatti dalle forze dell’ordine per catturare i latitanti o per portare a processo i boss e i loro fiancheggiatori, almeno nel produrre leggi che ostacolano le attività più lucrose e il riciclaggio del denaro di provenienza illecita. Eppure basterebbero poche modifiche alle leggi vigenti,  fra cui quella della liberalizzazione della cannabis, una delle grandi fonti di arricchimento delle cosche,  per provocare uno scossone al mercato della droga e danneggiare sensibilmente il business mafioso. Ma non si fa. E qui sarebbe lecito chiedersi perché.

Nicola Gratteri, Antonio Nicaso

FRATELLI DI SANGUE

Mondadori oscar, 394 pagine,8,92  euro anziché 10,50 su intrentbookshop. Disponibile anche in eBook a 6,99

Incipit. Questo libro. Se un libro viene criticato (com’è successo al nostro Il misterioso intermediario. Igor’ Markevič e il caso Moro, pubblicato da Einaudi nel 2003), la prima domanda da porsi è dove abbiano sbagliato gli autori. Ce lo siamo chiesto, abbiamo individuato i difetti e, nel limite del possibile, abbiamo cercato di correggerli. Se però le critiche si trasformano in un ostracismo brutale, violento e sistematico, che può sconfinare a volte persino nell’intimidazione (come pure è capitato al nostro testo), allora la domanda da porsi è se per caso non siano stati toccati nervi sensibili.
E non c’è dubbio che il rapporto tra mondo dell’arte, intelligence ed esoterismo, il filo rosso che corre lungo tutte queste pagine, sia un nervo ultrasensibile, tabù inviolabile, argomento da cui stare il più possibile alla larga. Perché, allora, abbiamo deciso di tornare in libreria?
Innanzitutto, una precisazione. Nessuno dei due autori ha particolari interessi per l’esoterismo né tangenze di alcun tipo con ambienti iniziatici. Lo prova anche solo il fatto che la prima edizione di questo libro ha ricevuto biasimi, per alcune inesattezze al riguardo, da siti internet dedicati a questo tipo di temi. Eravamo accusati, per l’appunto, di essere dei profani, cioè, etimologicamente, di non godere dell’accesso al tempio della loro Sapienza.

Premessa alla nuova edizione. Perché proprio lì, in via Caetani?
Perché le Brigate rosse abbandonarono la Renault con il corpo di Aldo Moro in pieno centro a Roma, nel punto più presidiato di una città in stato d’assedio?
La mattina del 9 maggio 1978 l’opinione pubblica non fece neanche in tempo a porsi la domanda che i notiziari, insieme all’annuncio dell’assassinio, avevano già dato la risposta. Moro – martellarono radio e televisione – era stato trovato “giusto a meta strada” fra le sedi del Pci e della Dc: con quel cadavere, le Br avevano voluto inserire un cuneo simbolico tra i due partiti.

In Italia i buchi neri non si colmano mai. Il caso Moro, per esempio. Dopo 36 anni è ancora oggetto di inchieste giornalistiche, giudiziarie e parlamentari dal momento che continuano a emergere nuovi elementi a carico di questo o di quel personaggio o vecchi elementi davanti ai quali gli inquirenti a suo tempo si erano dovuti fermare. E poi, indizi che smentiscono i convincimenti già raggiunti, piste investigative aperte, chiuse e che oggi, riaperte, potrebbero portare a filoni di indagine che non potranno essere ignorati se ci sarà davvero la voglia di arrivare alla verità.
Questo libro, già uscito nel 2003 col titolo “Il misterioso intermediario Igor Markevič e il caso Moro”, oggi  ripubblicato con l’aggiunta di alcune interessanti novità acquisite di recente dopo le intricate vicende che all’epoca della prima edizione ne avevano decretato la fine prematura, prende appunto in esame uno di questi elementi: palazzo Caetani, l’edificio davanti al quale fu fatta trovare la Renault rossa con il cadavere di Aldo Moro nel bagagliaio. E, insieme con quell’austero edificio dalle mura impenetrabili, anche il padrone di casa, il conte Igor Markevič Caetani, marito di Topazia, discendente di papa Bonifacio VIII.
Markevč, come altri personaggi (ed elementi) appartenenti allo scenario del caso Moro, non è nuovo alle indagini. Grande direttore d’orchestra, affascinante aristocratico dallo sguardo gelido e impenetrabile, simpatizzante (forse) della sinistra estrema e amico di principi e regine, di grandi intellettuali e di politici di spicco sulla scena internazionale, è una figura sulla quale erano appuntati gli occhi del Sismi così come quelli del Mossad, dei Servizi francesi e del Kgb da ben prima del sequestro di Aldo Moro. Un uomo al quale da subito, dopo il rinvenimento dell’auto con il cadavere abbandonata sotto le sue finestre, gli agenti de Sismi avrebbero voluto chiedere informazioni, ma  davanti al quale tutto sembra essersi arrestato per misteriosi “ordini superiori”.
Che sia finalmente venuta la volta buona?
Oggi Igor Markevič non c’è più e suo figlio Oleg Caetani, anche lui direttore d’orchestra di profilo internazionale, non sembra intenzionato a opporsi all’apertura di una nuova inchiesta. Molte informazioni le ha fornite proprio lui  agli autori Giovanni Fasanella e Giuseppe Rocca. Quanto ai politici più restii a fare luce sul fosco affaire: in primis Andreotti e Cossiga, anche loro rispondono ormai ad altri giudici in un’altro mondo. Dunque, se non verranno frapposti ostacoli da potenze straniere e da italiani appartenenti al mondo tutt’ora potentissimo dell’aristocrazia papalina, forse si potrà finalmente arrivare vicino alla verità. E se questo accadrà, tutto lascia intuire che sarà una verità davvero difficile da digerire.
Leggiamo a pagina 352, nella parte interamente dedicata al caso Moro e al presunto coinvolgimento di Igor Markevič Caetani:  
Apparati segreti, brigatisti, cavalieri di Malta, Kissinger, Cossiga, P2... E poi maghe, oroscoponi, racconti di fantapolitica ospitati su riviste al limite della pornografia... Una sarabanda di elementi confusi in cui è difficile distinguere
il vero dal falso. Un intrico di messaggi e allusioni comprensibili soltanto ai destinatari. E da cui il profano può solo intuire che, nel centro del labirinto, si nasconde un nocciolo di verità”.
E noi aggiungeremmo che non si dovrebbero trascurare strani decessi arrivati proprio ogni volta che le indagini, condotte dapprima dai giudici Priore e Imposimato e poi dalla  commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi presieduta dal senatore Giovanni Pellegrino (1994-2001), arrivavano a un passo dalla verità. Decessi ai quali bisognerebbe forse aggiungere gli omicidi del generale Carlo Alberto dalla Chiesa e del giornalista Mino Pecorelli.
C’è davvero di tutto dentro al caso Moro. Ma se qualcuno pensa di vedere gli autori puntare il dito contro i grandi manovratori: il team Andreotti-Cossiga-Lettieri, si sbaglia.
«Che Andreotti Cossiga & C. volessero la morte del loro compagno di partito è la cosa più lontana dalla realtà che si possa pensare. Erano altri, e non in Italia, coloro che spinsero le Br a sparare, per far sì che il Paese rimanesse politicamente fermo, e succube ad altri interessi».
E’ questa l'idea di Fasanella che aggiunge: «Vaticano, Dc e tanti altri, nonostante la linea della fermezza, lavorarono per la liberazione, trattando con i brigatisti. E tra costoro, l'ipotesi è che ci fosse, non come Grande Vecchio ma anzi come mediatore, il maestro Igor Markevic, il quale, grazie ai suoi legami internazionali, operò per tenere Moro vivo».
Okay, forse è davvero così. A noi però, una volta chiuso il libro, peraltro davvero interessante, sorge un dubbio: chissà perché da subito la procura di Roma, competente per le indagini sulla strage di via Fani e poi sull’omicidio del leader DC, fu espropriata delle indagini proprio dal ministro dell’Interno Francesco Cossiga che, in perfetto accordo col presidente del consiglio Andreotti e il sottosegretario Lettieri, e senza alcuna opposizione da parte dei partiti, a esclusione del PSI di Craxi, istituì non uno ma due comitati tecnici per il coordinamento e la gestione delle indagini. Al primo, formato da parecchi personaggi che in seguito risultarono iscritti alla P2, si aggiunse Steve Pieczenik, consulente del dipartimento di Stato americano e oggi pesantemente indiziato per l’omicidio; il secondo o “gruppo gestione crisi” assolutamente misterioso e impenetrabile, preposto alla sistematica demolizione della credibilità del prigioniero. E chissà perché, a partire dall’insediamento di questi gruppi al Viminale, le indagini per trovare la prigione di Moro durante i 55 giorni del sequestro vennero sistematicamente depistate, intralciate, stoppate da “ordini superiori”?

Giovanni Fasanella, Giuseppe Rocca

LA STORIA DI IGOR MARKEVIC. Un direttore d’orchestra nel caso Moro

Chiarelettere, 487 pagine, euro 14,36 anziché 16,90 su Internetbookshop.  Disponibile in eBook al prezzo di 9,99 euro.

Incipit: Napoli, 14 agosto 1655.  Seduto su una poltrona con lo schienale rigido e il cuscino troppo imbottito, tra il letto e la finestra, Sebastiano Filieri ansimò come se fosse lui quello in fin di vita, e non sua cognata Maria. Le parole che lei aveva appena pronunciato, nel delirio della febbre che se la stava portando via, lo avevano colpito come pugni nello stomaco, riaprendo una ferita che per otto anni si era sforzato di considerare guarita.
Ma non era guarita affatto. In fondo lo aveva sempre saputo.

Il romanzo storico è un genere molto amato da sempre, ma grazie ad autori davvero bravi com’è appunto Alfredo Colitto, in questi ultimi anni sta conoscendo un momento di grande fortuna. Che la voglia di saperne di più sul nostro passato remoto abbia la meglio sulla generale disaffezione ai libri motivata in parte ma troppo dalla crisi?
Va detto subito che Alfredo Colitto, magnifico traduttore oltre che autore di libri storici, il successo se lo merita in pieno perché i suoi romanzi sono davvero un altro modo di avvicinare gli italiani alla storia. Lui scova nei secoli passati episodi oscuri e per nulla conosciuti e li porta alla luce tessendo sontuosi arazzi di parole.
In questo libro lascia la Bologna del Trecento e il medico anatomista Mondino de’ Liuzzi, un personaggio realmente vissuto, reso protagonista della sua trilogia bolognese, per spostarsi nella Napoli dominata dagli spagnoli. Il periodo è quello della rivolta popolare capeggiata da Masaniello: il fosco, crudelissimo Seicento, mentre  la “Compagnia della morte” che dà il titolo al libro non è una confraternita di monatti ma una società segreta in perfetto equilibrio fra storia e leggenda.
Fondata dal pittore ribelle Aniello Falcone per vendicare la morte di un amico, si dice che fosse composta da artisti spadaccini che si erano dati il compito di uccidere quanti più soldati aragonesi avessero potuto. Si riunivano, decidevano chi sarebbe stato la vittima e a chi sarebbe toccato ammazzarla poi uscivano di notte, sfidavano il loro obiettivo che spesso era ubriaco, lo infilzavano e se ne tornavano a casa. Fin qui la cronaca riportata dal pittore e storico Bernardo De Dominici che Colitto ha ripreso facendone il fulcro della narrazione.
Trattandosi di un romanzo che oltretutto fa da ‘prologo’ a quello successivo intitolato Peste, uscito contemporaneamente e del quale parleremo più avanti, non sarebbe giusto svelare di più. Basta solo un rapido accenno. A un certo punto i pittori della confraternita decidono di fare il salto di qualità: perché ammazzare uno spagnolo per volta quando se ne potrebbero far fuori decine, forse centinaia, minando un galeone alla fonda nel porto di Napoli?
E qui torniamo ancora una volta alla storia perché l’episodio del galeone affondato è accaduto realmente nella notte del 12 maggio 1947: un vero attentato dinamitardo del quale venne incolpato il duca di Maddaloni, Diomede Carafa, che avrebbe agito tramite il suo luogotenente Nicola Ametrano.
Bel romanzo, pieno di suggestioni evocate dai fatti e soprattutto da  una scrittura incantevole.

Alfredo Colitto

LA COMPAGNIA DELLA MORTE

Piemme, 179 pagine, 1,61 euro anziché 1,90 su La Feltrinelli

Incipit. Prefazione di Teresa Vergalli (staffetta partigiana). Queste pagine vi cattureranno.
Una ragazza di oggi ridà vita ai racconti dei nonni con poetica drammaticità. Il percorso narrativo si sviluppa e si allarga a cavallo della linea gotica, negli anni duri in cui è stato inevitabile scegliere, parteggiare.

Quattro racconti intensi che nelle intenzioni dell’autrice dovrebbero dare voce a chi, settant’anni fa, decise di prendere la via aspra e difficile della montagna per liberare il paese dal nazifascismo. Ragazzi ma anche uomini fatti, che dopo l’8 settembre buttarono via la divisa grigioverde perché non volevano fare quello che veniva loro ordinato, cioè continuare a combattere una guerra assurda e devastante al fianco di alleati diventati, dopo la caduta del fascismo, feroci invasori. Un esercito raccogliticcio male organizzato, ma deciso a vincere o a morire, formato da boscaioli, operai, studenti, ma anche da medici, avvocati, professori …  gente che avrebbe avuto una vita certamente più facile e sicura a casa propria ma che decise di lasciare tutto per restituire agli italiani un paese migliore in cui riprendere a vivere come cittadini e non come sudditi lobotomizzati.
Le “Storie all’ombra della linea gotica” sono racconti della quotidianità in montagna: zaino e fucile in spalla, lunghe marce silenziose nei boschi, pericolose esplorazioni di stazzi e cascinali abbandonati, bivacchi notturni all’addiaccio. E freddo. E paura delle imboscate. E terrore dei tradimenti.
Ma sono anche piene di quella grande passione che si chiama libertà che spinge ad andare avanti a qualunque costo, una notte dietro l’altra.
E’ incredibile come l’autrice, giovane avvocatessa nata a Roma, sia riuscita a dare corpo, voce e suggestione a un passato che si è tentato a più riprese, soprattutto negli ultimi anni, di cancellare non solo dalla memoria collettiva ma anche dai libri di storia a colpi di revisioni arbitrarie.
I personaggi, le loro vicende, i loro rapporti, gli amori, le amicizie e le inimicizie …  c’è tutto un queste pagine che si leggono d’un fiato grazie allo stile rapido e asciutto, a tratti poetico ma senza concessioni al sentimentalismo e alla retorica.

Simona Teodori ha liberamente interpretato i racconti dei suoi nonni integrandoli con elementi presi da una solida documentazione. Dunque, c’è poco di inventato e anche se Otello, Tirana, il Lupo, il Poeta, la Lisetta probabilmente nella vita avevano  nomi diversi, quello che conta è che sia mantenuta viva la memoria della loro scelta e del loro sacrificio, affinché quei frammenti di passato si compongano nell’affresco della storia e possano diventare indelebili, permettendoci di trovare quell’unità e quel senso di appartenenza che siamo ancora lontani dal possedere.

Simona Teodori

VOCI PARTIGIANE. Storie all’ombra della linea gotica

Prefazione di Teresa Vergalli

Edizioni della Sera. 130 pagine, 11,05 euro anziché 13,00 su internetbookshop

Incipit. Prologo L’ultimo colpo, violentissimo, gli ruppe lo sterno. Crollò a terra senza un lamento, quasi al rallentatore.
Le mani si aggrappavano alle vesti dell’assassino nell’inutile tentativo di non cadere, di impedire la partenza per l’ultimo viaggio.
Il tonfo venne attutito dalla fredda pioggia milanese che si mischiava con quella foschia densa che, a volte, confonde le cose, sbiadisce i contorni, nasconde le genti.
Le tribune del campo di rugby di Lambrate davano le spalle a tanta
violenza senza senso.
Ma davvero non aveva un senso?
Via Valvassori Peroni, in quella parte scura e poco illuminata, se avesse potuto, avrebbe urlato la propria rabbia al mondo intero, per quello strappo violento al mondo, di quel pover’uomo.
Ma nessuno avrebbe udito, nessuno avrebbe visto, nessuno avrebbe
saputo spiegare. Forse …
Le tre figure si guardarono l’un l’altra nella nebbia.
Una di queste si piegò e tastò il polso all’uomo: “Sta morendo”, disse.
Silenzio pesante come un macigno.
“Dovremmo chiamare un’autoambulanza”, continuò.
“Dovremmo… ma non lo faremo, è solo un negro di merda e una carogna”, intervenne con cattiveria, quello più alto e massiccio, con il cranio pelato.
Si guardarono intorno con attenzione per verificare se ci fossero testimoni.
Nulla, solo l’impercettibile brusio della pioggia sul selciato.

Questo è un romanzo ma non troppo che parla di immigrati buoni e di una città incattivita e maldisposta. Una città che sembra non aver ancora fatto i conti con il proprio passato e che dimostra di non aver nessun a voglia di farli. Parla di istituzioni popolate da poche persone perbene, che amano lo Stato e le regole della convivenza democratica, e di troppi nostalgici che lavorano contro queste regole ‘a prescindere’ , perché non si riconoscono nella democrazia e non tollerano le libertà individuali e collettive; che non conoscono il significato della parola integrazione ma conoscono benissimo i punti deboli dello Stato e sanno usarli a proprio favore, sempre mimetizzati e protetti da chi sta in alto.
Nato come un noir, questo romanzo, che prende il via dall’assassinio di un immigrato, il fornaio egiziano Kaled, come spesso succede (e tutti gli autori lo sanno) a un certo punto ha finito per prendere la via più difficile della denuncia del potere. Non perché l’autore, che ha al proprio attivo altri tre romanzi con gli stessi protagonisti: il commissario Lorenzi e la sua squadra, se lo fosse prefisso fin dal principio, ma perché non puoi toccare certi argomenti senza scivolare dalla fantasia alla realtà.
L’epilogo è duro, come lo stile che di punto in bianco, da momenti quasi poetici, si fa freddo e asettico come le informative di polizia. Ma certe storie sono così: nascono in punta di piedi, leggere e svagate come i pensieri di quel ragazzo che rincasava all’alba dopo una serata con gli amici e mentre percorreva in silenzio le strade deserte della sua Ferrara addormentata a un tratto, proprio come l’egiziano Kaled, si è visto strappare via la vita.
E’ caduto, il ragazzo, come è caduto Kaled e mentre cercava l’aria che gli sfuggiva dai polmoni si rendeva conto di non avere più tempo per nulla. Per annusare la pioggia e per vedere i colori dell’alba.

Gino Marchitelli

MILANO NON HA MEMORIA. Il commissario Lorenzi indaga a Lambrate

Frilli, 224 pagine, 9,26 euro anziché 10,90 su internetbookshop. Disponibile anche in eBook a 4,99 euro