Cultura

Pier Paolo Pasolini, è questa la sua poesia più bella: te ne innamorerai

Nel panorama della poesia italiana del Novecento, Le ceneri di Gramsci di Pier Paolo Pasolini occupa un posto unico e ineguagliabile.

Pubblicata per la prima volta nel 1957, la raccolta segna un punto di svolta nella letteratura del dopoguerra, fondendo la tensione civile con la confessione personale, l’impegno politico con il dramma intimo dell’intellettuale.

Il poeta diviso tra due mondi

Nel poemetto che dà il titolo alla raccolta, Pasolini si ferma di fronte alla tomba di Antonio Gramsci, al cimitero degli Inglesi a Roma. Da quella tomba nasce una riflessione lacerante: il conflitto tra il suo essere borghese e il suo amore per il popolo, tra l’ideale marxista e la consapevolezza della propria estraneità a esso. È il celebre “scandalo del contraddirmi”, che diventa emblema della condizione moderna dell’intellettuale: consapevole, partecipe, ma irrimediabilmente diviso.

Una lingua che unisce il sublime e il quotidiano

La forza poetica di Pasolini sta anche nella lingua: alta, densa di riferimenti colti, ma attraversata da un’urgenza emotiva che la rende viva e accessibile. Nella sua Roma proletaria, nelle borgate e nei sogni di riscatto degli ultimi, il poeta trova il luogo sacro del suo “credo laico”. Le ceneri di Gramsci è una confessione, ma anche una cronaca dell’Italia che cambia, sospesa tra miseria e speranza, progresso e perdita d’identità.

Il senso di una eredità: lo scandalo del contraddirmi

Definirla la più bella poesia di Pasolini non è soltanto un giudizio estetico, ma un riconoscimento del suo valore simbolico. In questi versi si condensa tutta la sua opera: la passione per la verità, la pietà per gli ultimi, il dubbio che diventa forma di conoscenza. È la poesia del contrasto e della lucidità, dell’amore e della colpa.

A distanza di decenni, Le ceneri di Gramsci continua a parlarci con una forza intatta: è il ritratto di un’Italia ferita ma viva, e di un poeta che, pur sentendosi “traditore”, non ha mai smesso di cercare un senso umano e politico nel dolore e nella bellezza.

Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere
con te e contro te; con te nel cuore,
in luce, contro te nelle buie viscere;

del mio paterno stato traditore
– nel pensiero, in un’ombra di azione –
mi so ad esso attaccato nel calore

degli istinti, dell’estetica passione;
attratto da una vita proletaria
a te anteriore, è per me religione

la sua allegria, non la millenaria
sua lotta: la sua natura, non la sua
coscienza; è la forza originaria

dell’uomo, che nell’atto s’è perduta,
a darle l’ebbrezza della nostalgia,
una luce poetica: ed altro più

io non so dirne, che non sia
giusto ma non sincero, astratto
amore, non accorante simpatia…

Come i poveri povero, mi attacco
come loro a umilianti speranze,
come loro per vivere mi batto

ogni giorno. Ma nella desolante
mia condizione di diseredato,
io possiedo: ed è il più esaltante

dei possessi borghesi, lo stato
più assoluto. Ma come io possiedo la storia,
essa mi possiede; ne sono illuminato:

ma a che serve la luce?

Le ceneri di Gramsci (Garzanti, 2015)

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