Cultura

Il MiG libico rinvenuto a Castelsilano.

8984_1_libia-misteriditalia.it8984_1_libia-misteriditalia.it

CAPO 2°
Il MiG libico rinvenuto a Castelsilano.
TITOLO 1
I fatti.
Capitolo I
18 luglio 80 – Il rinvenimento.
1. Le prime testimonianze.
La vicenda del MiG23 precipitato in agro di Castelsilano è, tra le tante ad
oggetto del presente procedimento, quella che ha sollevato più questioni, contrasti e
soluzioni discordi, sul tempo di caduta dell’aeromobile e le ragioni del volo verso
l’Italia, sulla sua nazionalità e su quella del pilota, sulla specie del velivolo, sulla
descrizione e autopsia del cadavere, sulla presenza di stranieri nelle ricognizioni del
relitto, sui rapporti con i libici.
In primo luogo il rinvenimento del velivolo. Esso – quello ufficiale, perché quel
velivolo per certo non cadde quel giorno bensì in data precedente e dopo un più che
probabile periodo di ricerche, fu di fatto rinvenuto e vigilato prima della data ufficiale,
come emergerà nel corso della esposizione delle risultanze – avvenne il venerdì 18
luglio 80, a tre settimane dal disastro di Ustica in agro di Castelsilano come detto, nella
località Colimiti, sulla Timpa delle Magare. Ed avvenne a causa di quanto visto e sentito
da due testimoni del luogo, Carchidi Addolorata e Marano Francesco, entrambi escussi
da PG nell’immediatezza, oltre che da ufficiali dell’Aeronautica Militare e dall’AG di
Crotone e di Roma.
La prima, intenta a lavori domestici tra le 10.30 e le 11.00 sull’aia della propria
fattoria, scorge un aereo che, provenendo dalla parte di Belvedere di Spinello – Cerenzia
Vecchia, alla destra del luogo ove ella si trova, tiene una quota di volo molto bassa. Lo
perde di vista nel tratto di fronte all’aia, giacchè proprio in quella direzione v’è
un’altura e della vegetazione. Si aspetta di rivederlo dall’altro lato e cioè alla sua
sinistra, e alla sinistra dell’altura – questa descrizione, come quelle successive, meglio si
comprenderà se s’avrà presente la planimetria in atti – ma invece sente uno scoppio o
boato e vede levarsi delle fiamme che si propagano con rapidità. Decide di conseguenza
di raggiungere Castelsilano, che è a qualche chilometro di distanza per avvisare del
fatto, e vi si avvia a piedi. Durante il percorso incontra Marano Francesco, che
possedendo delle terre nel luogo dell’incidente, stava raggiungendo la zona. Gli riferisce
quanto ha visto e sentito e questi ritorna sui suoi passi per dare notizia del fatto.
Secondo la Carchidi l’aereo era “normale”, cioè non faceva nè fumo nè fiamme. Dopo
circa tre quarti d’ora aveva notato un secondo aereo, che volava in senso contrario a
quello notato dianzi. Il primo aereo prima di scomparire “faceva poco rumore” ovvero
meno rumore di quello che notava di solito al passaggio di altri aerei (v. esame Carchidi
Addolorata, PG 19.07.80).
4073
La donna è stata sentita in seguito altre volte. Ha sostanzialmente confermato la
sua narrazione. Ella non vede – questo particolare deve essere tenuto ben presente –
cadere il velivolo da lei notato. Lo vede solo sparire e non riapparire oltre l’altura e
quasi contemporaneamente ode una sorta di scoppio. Dell’ora è sicura, perché usa un
orologio da cucina collocato in questo vano che dà sull’aia. Quindi tra le 10.30 e le
11.00.
La testimonianza della Carchidi coincide con quella di Marano. Costui intorno
alle 11.00, mentre è intento a dei lavori di muratura ad una costruzione di Castelsilano
da cui si vede la contrada Colimiti, nota che in quella località si sta sviluppando un
incendio. Poiché in essa vi possiede un fondo, con la sua autovettura vi si dirige e
durante il percorso incontra la Carchidi, che gli dice che stava andando a Castelsilano
per avvertire dell’incendio e della caduta dell’aereo. Prima di ritornare al paese, ha
raggiunto il suo fondo, ha tentato di spengere l’incendio che aveva attaccato alcuni
alberi, ma non è riuscito a causa del fuoco a vedere i resti d’aereo (v. esami Marano
Francesco, PG 19.07.80 e 27.07.80).
Anche Marano appare sufficientemente certo sull’orario. Anche perché quando
egli scorge l’incendio da Castelsilano deve essere passato qualche tempo dallo scoppio.
Altro teste nota un aereo, quasi in coincidenza o poco dopo l’avvistamento della
Carchidi. Si tratta di Piccolo Giuseppe, pastore, anch’esso escusso più volte, dall’AM,
da PG e da AG. Costui, mentre si trova con il suo gregge sul greto di un torrente, vede
un velivolo che vola a bassa quota, tanto da sfiorare la collina posta a monte di un fondo
denominato Ritri in agro di Cerenzia. L’aereo ha volato normalmente sino a quando per
evitare un costone ha virato di colpo. Sulla base di queste informazioni i Carabinieri di
Crotone redigevano schizzo planimetrico, da cui risulta la direzione dell’aereo durante il
volo “normale” e quella presa dopo la improvvisa virata. (v. esame Piccolo Giuseppe,
PG 19.07.80). Precisava, questo teste, in ulteriori deposizioni che l’aereo dopo la virata
era “ritornato indietro” verso Castelsilano. Dopo questa repentina manovra l’aereo era
sparito alla vista del pastore. L’aereo era di piccole dimensioni ed “aveva il motore in
funzione”. Dopo la scomparsa il teste non aveva udito alcun boato nè visto fumo. Solo a
distanza di tempo, quando è risalito a monte, aveva visto del fumo in zona Colimiti.
L’aereo, specifica nell’ultima testimonianza, volava seguendo il corso del fiume Lesi,
più precisamente costeggiandolo sulla sinistra, sino quasi ad urtare un costone chiamato
Trippitiu che sta sulla sinistra del fiume; aveva virato sulla destra, girando attorno
all’altura su cui si trova Cerenzia Vecchia ed era ritornato in direzione di Castelsilano –
sulla base di questi ulteriori dettagli è stata redatta dai Carabinieri nuova planimetria -;
precisa anche che l’aereo, dopo la brevissima scomparsa dietro l’altura, era poi
riapparso a quota più alta.
Il fatto era successo intorno alle 11.00, perché a quell’ora egli era solito portare
il suo gregge all’abbeverata al torrente.(v. esami Piccolo Giuseppe, GI 27.07.80,
01.04.87 e 08.10.90).
Pure Piccolo sembra sicuro dell’orario, che coincide con quello di Marano e con
quello, al massimo, della Carchidi. Ci si sofferma su tale questione, perché nel tempo
l’ora del fatto, ma più precisamente si deve dire dello scoppio, dell’incendio e delle
evoluzioni dell’aereo che scompare, secondo i primi, ed unici individuati testimoni
oculari, appare fissarsi al massimo alle 11.00 se non nei minuti precedenti. Al contrario
di quello che vorrebbe accreditarsi, in seguito si vedrà come, quale orario ufficiale, ad
un quarto d’ora dopo, tra 11.14 e 11.16.
4074
La notizia corre attraverso i diversi abitanti di Castelsilano: Amantea Pietro,
Spina Giovanni, Durante Francesco, Brisinda Francesco sindaco del paese, (che peraltro
aveva udito un boato intorno alle 11.00, ma non vi aveva dato peso, giacchè rumori
simili si sentivano spesso al passaggio di aerei), e dal sindaco ai Carabinieri. Ed in
effetti la notizia perviene all’Arma, secondo quanto risulta dal rapporto del Nucleo
Operativo del Reparto Operativo di Catanzaro, alle 14.15. È il sindaco di Castelsilano,
Brisinda Francesco, che informa telefonicamente l’appuntato Consalvo Giuseppe –
comandante interinale della Stazione di Caccuri, territorialmente competente sul luogo
dell’evento – che poco prima in una località prossima al centro abitato di Castelsilano si
era sviluppato un incendio cagionato dalla caduta di un aereo.
L’appuntato, dopo aver immediatamente informato il suo superiore diretto, il
maresciallo Cottone Gaetano, comandante interinale della Compagnia di Cirò Marina,
s’è recato sul luogo con il Carabiniere Ferrara Gennaro ed ha accertato che in località
Colimiti era precipitato un aereo e che il relitto si trovava in un profondo burrone. Ha
altresì accertato che sul luogo si era sviluppato un incendio che aveva bruciato
sterpaglie e qualche albero. Ha appreso da alcuni che avevano domato le fiamme ed
erano discesi nel burrone, che nei pressi dell’aereo giaceva un cadavere sfigurato e
mutilato.
Poco dopo erano sopraggiunti il vice pretore onorario della Pretura di Savelli,
competente per territorio, l’avvocato Ruggiero Michele, e l’ufficiale sanitario di
Castelsilano, il dottor Scalise Francesco, che con il maresciallo Raimondi Salvatore,
comandante della Squadra di PG di Crotone, che li aveva preceduti, riuscivano a
raggiungere, superando le difficoltà poste dalla pendenza del burrone, il luogo ove si
trovavano il cadavere ed alcuni resti del velivolo.
Qui deve notarsi una prima stranezza. Sul luogo come AG si reca un vice
Pretore onorario. Nessuno si premura di avvisare la Procura competente. In effetti anche
a prima vista si poteva notare che si trattava di incidente a velivolo militare e se, come si
poteva e doveva, si fosse accertato – erano passate diverse ore dalla prima notizia e
l’ispezione del cadavere ha inizio alle 17.00 – o si fosse semplicemente presunto sulla
base del fatto che non v’erano notizie di scomparse di velivoli italiani o alleati, se ne
sarebbe potuto dedurre che si trattava di un militare ostile e quindi di una penetrazione
nel nostro spazio aereo. Fatto del genere avrebbe certo imposto la presenza della
Procura, che a sua volta sarebbe stata assistita da un medico legale, e non come il vice
pretore dal medico condotto. Le indagini avrebbero di certo preso altro avvio.
In successione erano poi arrivati sul luogo il capitano Inzolia Vincenzo,
comandante della Compagnia di Crotone, il maresciallo Cottone già detto, il maggiore
Di Monte Rocco, comandante interinale del Gruppo di Catanzaro, oltre che squadre di
militari dell’Arma, i Vigili del Fuoco di Crotone ed alcuni ufficiali dell’Aeronautica
Militare.
Altra stranezza la presenza del capitano Inzolia. Costui non aveva alcuna
competenza territoriale sul luogo del fatto, che cadeva in quello della Compagnia di
Cirò Marina. Il suo superiore, il colonnello Livi, comandante della Legione – che poi
transiterà al S.I.S.MI – s’è giustificato asserendo di aver inviato Inzolia, perché il
comandante della Compagnia competente impedito per ferie o altra ragione.
Inzolia è l’ufficiale che la notte del 27 giugno precedente – com’è scritto in altra
parte – si informa del DC9 Itavia. Senza alcuna ragione apparente. A bordo non c’erano
persone provenienti da Crotone o dal suo territorio o comunque ad esso legate.
L’incidente era avvenuto in pieno Tirreno e solo poche ore prima. Nessuno era a
4075
conoscenza delle sue circostanze. Lo stesso Inzolia infatti non sa addurre alcuna
giustificazione al suo interessamento.
2. Il sopralluogo.
Con il sopralluogo s’accertava che la zona di caduta dell’aereo era ricompresa
tra la Timpa delle Magare e il margine destro della fiumara detta di S.Marco; il margine
della fiumara ed il costone della Timpa erano disseminati di rottami; il cadavere, di
sesso maschile dall’apparente età di 25-30 anni, era a mezza costa; a circa 60 metri
verso la fiumara vi erano tre grossi tronconi di aereo; questo velivolo, secondo ufficiali
dell’Aeronautica, era un MiG23 monoposto delle Forze Armate libiche.
Nel verbale di sopralluogo – allegato al successivo rapporto del 25 luglio – si
specificava che i tre tronconi erano costituiti rispettivamente dal motore, dalla coda e
dal reattore; che sui resti dell’aereo era possibile rilevare la mimetizzazione nei colori
verde, marrone e giallo paglierino; che sull’impennaggio di coda era dipinto un
rettangolo pieno di colore verde, mentre sull’ala, nella parte medio superiore, v’era un
cerchio pieno anch’esso di colore verde; che sulla coda v’era scritto il nr.6950. Quanto
al cadavere esso giaceva supino – ma nel verbale d’ispezione si dirà bocconi – su una
pietraia in forte pendenza con la testa a monte, con le cinghie del paracadute legate al
corpo. A circa un metro i resti di un apparente seggiolino. Poco più in alto un sasso
intriso di sangue misto a materia cerebrale. Non si notavano rilevanti quantità o
rigagnoli di sostanze ematiche. Il cadavere, oltre a quanto già descritto in rapporto,
appariva di colorito scuro, corporatura robusta, di lunghezza su 1,75, con capelli
ondulati e baffi neri; l’iride era di colore castano scuro; il bulbo dell’occhio sinistro era
fuori dell’orbita; la testa aveva subito la completa asportazione traumatica della calotta
cranica e la frantumazione delle ossa facciali. Indosso aveva una tuta da pilota di colore
grigio scuro, lacerata in più parti; non calzava scarpe; non portava distintivi ne altri
segni di identificazione. Poco distante da esso sul lato destro in alto v’era uno zainetto
di tela rigida di colore grigio, rassomigliante ad una cassetta di pronto soccorso; a valle,
sempre poco distante dal cadavere, un casco per pilota di colore nero, intriso di sangue.
Alle 17.00 di quello stesso 18 luglio, il vice pretore di Savelli procede con
l’ufficiale sanitario alla descrizione e ricognizione del cadavere, ponendo al perito i
quesiti sulla causa e l’epoca della morte. Nel relativo verbale si legge che il cadavere (di
sesso maschile e dell’apparente età di 25 anni) giace bocconi con le braccia aperte e le
gambe divaricate – e quindi mosso rispetto al rapporto CC. ove si diceva supino e
rispetto alle fotografie ove le braccia non appaiono aperte – è di colore scuro ma di
razza bianca, ha i capelli ondulati neri crespati – probabilmente s’intendeva crespi; nde
– corti. Indossa una tuta color avion… scarponi a gambaletto… nonché parte di tela da
paracadute… . Si legge altresì che vi sono un elmetto da aviatore con scritta in lingua
straniera ed un “vetrino” anch’esso con scritta in lingua straniera. Dopo aver descritto lo
stato del cadavere – che presenta lo schiacciamento di tutte le ossa craniche con
fuoriuscita di materiale cerebrale, e fratture varie ed esposte con brandelli di carne in
tutte le parti del corpo – il perito afferma che esso si trova “in incipiente stato di
decomposizione, tanto da consigliare l’immediato seppellimento per spappolamento
delle visceri addominali”. Quindi risponde ai quesiti, dichiarando che “la morte è da
attribuire a frattura cranica conseguente ad urto violento contro corpo contundente
4076
duro” e “la stessa è avvenuta presumibilmente verso le ore 11.30 circa di oggi
18.07.80”.
Come si vede, anche il medico aderisce all’orario delle 11.30, che sinora non era
mai apparso.
Il seguente 19 il vice pretore rilascia nulla osta al seppellimento di quella salma,
allo stato non identificata.
3. L’autopsia del pilota.
Il 22 luglio il capo di Gabinetto del Ministro della Difesa, il già noto generale di
Squadra Aerea Mario De Paolis, chiede alla Legione Carabinieri di Catanzaro di
“interessare la locale Procura competente al fine di considerare la possibilità di
sottoporre ad autopsia la salma del pilota”.
Si vedrà poi, dopo il sequestro di documentazione presso i generali che vi
presero parte, come si giunse in sede di riunioni al Ministero della Difesa a queste
determinazioni, in particolare sull’autopsia della salma del pilota.
La richiesta è trasmessa il giorno stesso al procuratore di Crotone e quell’ufficio,
sempre il 22, dispone l’autopsia del cadavere, nominando periti i professori Erasmo
Rondanelli primario patologo, e Anselmo Zurlo primario di medicina legale e
cardiologo, entrambi dell’ospedale civile di Crotone, e fissando per le operazioni
peritali l’indomani 23 luglio nella camera mortuaria del cimitero di Castelsilano.
In effetti appare del tutto inconsueto che un atto di tale rilievo sia stato compiuto
su sollecitazione della Forza Armata e non d’iniziativa, specie se si considera che a quel
giorno si sapeva con certezza che quel velivolo era libico e quindi incontroversa la
penetrazione nei nostri cieli. Come inconsueta appare la celerità nell’adesione alla
“richiesta” e nell’esecuzione della autopsia. Sui motivi dell’AM alla formulazione di
tale “richiesta” più oltre quando si sarà accertato come si mosse in quel tempo lo SMA.
Certo è, comunque siano andate le cose, che lo Stato Maggiore aveva bisogno di dati
sicuri su quella salma, a partire dalla sua razza e dalla causa di morte, o che comunque
apparissero ufficiali. E queste esigenze di certo non potevano essere soddisfatte dalla
striminzita ispezione di quella vice Pretura.
Quel medesimo giorno la Procura della Repubblica di Roma chiede, nell’ambito
dell’inchiesta concernente il disastro aviatorio del DC9 del 27 giugno precedente, alla
stessa Procura di Crotone ogni utile notizia sulla caduta del MiG23, le conclusioni dei
periti in merito all’esame autoptico del pilota, con specifico riferimento alle cause delle
lesioni riportate, ed un rapporto dettagliato sulla vicenda.
Qui non appare il tramite della notizia dell’autopsia; non si riesce a capire come
la Procura di Roma sia venuta a conoscenza in tempo reale della disposta autopsia. Di
rilievo invece appare l’interesse a un fatto avvenuto a tre settimane dal disastro del DC9
e in zona distante dall’area d’inabissamento del velivolo civile, senza che emergesse in
atti alcun dato di collegamento tra i due eventi.
La perizia viene compiuta come disposto il 23 luglio 80. Si accerta che il
cadavere presenta ampie mutilazioni traumatiche; sfondamento e distruzione del capo e
del massiccio facciale; amputazione e distruzione degli arti superiore ed inferiore di
sinistra, numerose fratture a carico della colonna vertebrale, delle prime otto coste
bilateralmente, del bacino e degli arti inferiori. Si accerta anche che l’encefalo è
4077
pressoché totalmente assente e che il prepuzio è circonciso. I due periti poi scrivono che
il cadavere si trova in avanzato stato di decomposizione con necrosi gassosa e presenza
di numerosi nidi di vermi.
In un momento successivo, probabilmente coincidente che con la rilettura e la
sottoscrizione di quel verbale – identici appaiono gli inchiostri – sono apposte al
dattiloscritto diverse correzioni a mano. Oltre quelle concernenti errori di
dattiloscrittura, due sono significative: l’“avanzato” attribuito allo stato di
decomposizione viene corretto in “avanzatissimo”; “vermi” viene corretto in “larve”.
Queste correzioni sono significative. I periti sono rimasti colpiti dallo stato di
decomposizione. Essi non dovrebbero essere nuovi ad esami di questi stati. Se, come si
vedrà, sono periti di fiducia della Procura, spesso saranno stati chiamati ad autopsie di
uccisi rinvenuti nelle campagne o di riesumati. Non dovrebbero perciò essere
impreparati sul fenomeno della decomposizione. Essi a un primo giudizio già scrivono
avanzato, cioè più progredito che nella norma per un corpo a cinque giorni dalla morte –
d’altra parte anche il medico condotto dell’ispezione, ad appena sei ore dall’asserito
decesso aveva notato, e s’era ritenuto in dovere di scriverlo, un incipiente stato di
decomposizione.
La particolare decomposizione cioè, particolare è ovvio rispetto alle ore o ai
giorni dalla morte, colpisce e viene verbalizzata. Ma nei due periti della Procura avviene
addirittura che essi correggano la prima verbalizzazione. La prima stesura, “avanzato”,
viene modificata in “avanzatissimo”. I due sono immediatamente ritornati sul loro
primo giudizio, perché presi dai dubbi derivanti dalle loro osservazioni e
particolarmente impressionati da quello stato di decomposizione. Proprio
quell’immediato giudizio e quell’altrettanta immediata correzione – di sicuro prima
della firma, perché l’inchiostro è sempre lo stesso – fa giustizia di quelle voci,
certamente calunniose che hanno attribuito il ripensamento a legami di amicizia tra il
prof.Zurlo e l’ing.Davanzali dell’Itavia. E proprio quello scrupolo e la volontà di
adempiere all’incarico della Procura li indurrà a redigere il supplemento di perizia di cui
si dirà più oltre.
La sezione del cadavere quindi accerta cuore e reni di volume inferiore alla
norma, e miocardio assottigliato specie a carico della parete ventricolare sinistra.
Infine così i periti rispondono ai quattro quesiti loro posti dal magistrato
inquirente: “1. Anamnesticamente la morte si può far risalire a cinque giorni prima e
cioè al venerdì 18 luglio 80 e la causa della morte è verosimilmente da attribuirsi alle
gravi lesioni traumatiche riportate; 2. Non esistono elementi che possono indurre ad
ipotizzare una morte precedente alla caduta dell’aereo; 3. Pur non osservandosi a carico
del cuore lesioni di tipo infartuale è da sottolineare le ridotte dimensioni del cuore stesso
e il diminuito spessore del miocardio. Per l’assenza dell’encefalo e per le condizioni
generali del cadavere non è possibile indagare su lesioni tipo ictus cerebrale, anossia o
altra patologia non traumatica; 4. Il cadavere appartiene a soggetto di sesso maschile
dell’apparente età di circa 30 anni dell’altezza di circa mt.1,80 di razza bianca con
caratteristiche indo-europee, che per caratteri peculiari possono essere riferibili a razza
araba mediterranea. Le condizioni generali del cadavere non permettono di dare una
valutazione sulle condizioni psico-fisiche generali prima della morte”.
Questa autopsia darà luogo a innumerevoli questioni, e non di rado la si
criticherà come se fosse stata scritta da incompetenti – a dir il vero le critiche maggiori
saranno rivolte a quel supplemento non ritrovato con il quale si retrodatava la morte.
Qui si deve dire che essa non fu compiuta da medici generici ma da due primari, l’uno
4078
patologo l’altro medico legale cardiologo, particolarmente esperti perché periti di quella
Procura, che per essere in area ad alta presenza di criminalità organizzata e non, sarà
dovuta ricorrere sovente ai loro servizi.
A questa autopsia partecipano, oltre ovviamente il Pubblico Ministero che l’ha
disposta ed i due periti, il già menzionato dottor Scalise quale ufficiale sanitario,
l’assistente dei periti Scerra Ercole, il maresciallo dei Carabinieri Lo Giacco Giuseppe,
altri militari dell’Arma ed altri ancora non identificati. Non tutti sono rimasti per l’intera
durata dell’atto nella saletta, di anguste dimensioni e già invasa dai miasmi del
cadavere; la maggior parte entrava, restava per brevissimo tempo ed usciva, alcuni
partecipavano sostando all’ingresso o nei pressi.
Al proposito si deve dire che di tutte queste presenze e andirivieni non v’è
traccia nel verbale dell’atto. Indipendentemente dalle omissioni che possono essersi
verificate in una situazione di confusione e quasi di calca in un locale angusto, di certo
vi erano dei fotografi di cui nulla si sa; ovvero si sa che non erano dei Carabinieri. Ma
di questo oltre. Qui bisogna rilevare che c’erano “altri non identificati”. In effetti
rilevanti erano gli interessi su quella autopsia. E non può assolutamente escludersi – ma
più approfonditamente oltre – che vi fossero militari, diversi da quelli di PG, dei
Carabinieri, dell’AM, dei Servizi.
L’ufficiale sanitario Scalise ricorda che dovettero usare le maschere a causa
dell’eccessivo fetore, che il cadavere era gonfio, alterato nell’aspetto, in stato di
colliquazione, che presentava larve di decomposizione visibili ad occhio nudo e
raggruppate nella zona degli organi genitali. Ricorda, in particolare sull’autopsia, che la
pelle delle mani, quando i periti provvidero al prelievo, si sfilò “come un guanto”.
Questo teste ricorda anche le vicende relative alla preparazione della salma, cui
egli dovette provvedere come ufficiale sanitario. Il giorno precedente l’autopsia era
stato abbattuto alla sua presenza il muretto del loculo. In quella occasione tutti i presenti
dovettero allontanarsi per il cattivo odore. Solo dopo qualche tempo era stato possibile
trasportare la cassa alla camera mortuaria del cimitero, e dopo che era stata scoperchiata
dallo stesso Scalise s’era notato che la salma era in stato di colliquazione. Sempre
Scalise precisa che la cassa era in semplice legno giacchè in quel paese, essendo
consueta l’inumazione, non vi era disponibilità di casse di zinco – ma tale affermazione
è contraddetta dalla presenza della costruzione per loculi fuori terra. Ricorda infine
anche che qualcuno, dopo la ricognizione la sera del 18, aveva proposto di congelare la
salma ove fosse stato necessario portarla a Crotone, ma quel suggerimento era stato
superato da una disposizione, non si sa data da chi, di seppellire la salma a Castelsilano.
Di somma importanza questa testimonianza dello Scalise il quale sempre rileva
la anormalità del cadavere. In sede di ispezione, lo si è visto, ne aveva già notato
l’incipiente stato di decomposizione, al punto tale da temere che divenisse
intrasportabile e da consigliare l’AG per l’immediato seppellimento. Ma
contemporaneamente attesta che si presentava “fresco” e che nei pressi vi erano altre
parti, come un bulbo oculare e un piede anch’essi “freschi”. (v. esame Scalise
Francesco, GI 12.12.86 e segg.).
Anche i due periti hanno reso dichiarazioni sulle modalità di svolgimento della
perizia. Il prof.Rondanelli conferma che la cute delle mani si sfilava a mo’ di guanto per
la colliquazione quasi totale dei tessuti sottocutanei, cosicché era stato possibile
consegnare la cute di più dita di entrambe le mani per gli esami dattiloscopici. Ricorda
anche che i vari organi via via che venivano esaminati, erano fotografati da un
sottufficiale dei Carabinieri presente all’autopsia. Precisa che egli stesso provvedeva a
4079
sollevare con le pinze quegli organi di volta in volta per consentirne la ripresa
fotografica. Il carabiniere che compiva queste operazioni non era, secondo le sue
conoscenze, del Reparto di Crotone. Era aiutato da un collega. Il professore non è sicuro
se fossero o meno militari dell’Arma; li ritiene tali perché ad ogni sua autopsia erano
sempre presenti sottufficiali dei Carabinieri. I due scattarono una ventina di fotografie
con una macchina professionale che conservavano in una sorta di custodia con obiettivi
ed altro materiale fotografico. Nella sala non v’era illuminazione elettrica, ma durante il
tempo dell’autopsia vi era stata forte illuminazione solare. Colui che scattava le
fotografie appariva particolarmente esperto di documentazione anatomica, giacché
usava una terminologia appropriata sulle varie parti del cadavere (v. esami Rondanelli
Erasmo, GI 06.11.86, 02.08.88, 01.03.91).
Sostanzialmente concorde su questi punti l’altro perito, che in merito è stato a
lungo escusso dinanzi alla Commissione Stragi. (v. audizione Commissione Stragi
Zurlo Anselmo, 26.07.89).
Anche l’assistente Scerra conferma le fasi dell’autopsia, in particolare quella
delle fotografie; anzi su alcuni punti appare più preciso dei due periti. Fu usato anche il
flash, riferisce; anche lui ha mostrato le varie parti del corpo che dovevano essere
fotografate, tenendole a seconda della necessità con le pinze o con le mani ed usando un
foglio di garza per evitare che al contatto con i guanti di plastica potessero scivolare.
Ritiene che siano state fatte anche fotografie dell’intera salma. Non ricorda chi fossero i
fotografi, ma afferma che in genere quando quei professori facevano con lui delle
autopsie, erano sempre assistiti dai Carabinieri. Ricorda che non si poté iniziare
l’autopsia sino a quando non giunse, con un elicottero “un pezzo grosso” in divisa,
probabilmente un generale o un colonnello (v. esame Scerra Ercole, GI 15.03.91).
Da queste testimonianze emerge una circostanza di rilievo. Durante l’autopsia
furono scattate numerose fotografie. Dell’intera salma come di singoli organi. Con il
flash e l’ausilio di attrezzatura tecnica. Queste fotografie non sono state mai più
rinvenute. Di certo non sono state scattate dai Carabinieri, nè di Crotone nè di
Catanzaro, come emergerà dalle loro testimonianze. Gli operatori fotografici non sono
stati riconosciuti dai periti, i quali ben conoscevano i Carabinieri che in genere li
seguivano nelle ispezioni e nelle autopsie. Nessuno dei partecipi all’autopsia, almeno
quelli di cui si è a conoscenza, ha saputo dire chi fossero i fotografi. La presenza del
S.I.S.MI non è provata; è perciò probabile che si trattasse di uomini del Servizio
dell’AM. Sta di fatto che l’occultamento o la distruzione di queste riprese fotografiche
ha sottratto all’inchiesta una prova preziosa, se non l’unica, del reale stato di quel
cadavere, che avrebbe impedito le polemiche e le incertezze che sono seguite a
quell’autopsia. Si sarebbe potuto rilevare la situazione di decomposizione dell’intera
salma, come dei singoli organi che venivano prelevati con pinze e garze e fotografati al
flash. Ma una mano tempestiva ha impedito queste verifiche.
Dalle dichiarazioni suddette anche un altro atto di rilievo: che le operazioni
peritali subirono ritardo a causa dell’attesa di un “pezzo grosso” senza il quale non si
poteva iniziare. “Pezzo grosso” che ovviamente non compare nel verbale, ma che
sicuramente avrà visto, presenziato ed osservato; altrimenti non ci sarebbe stata ragione
di attenderlo. “Pezzo grosso” che sicuramente era un militare; un colonnello se non
addirittura un generale. “Pezzo grosso” che con sicurezza non è del luogo – se così fosse
stato, forse non sarebbe stato nemmeno definito “grosso” – perché si muove in
elicottero, prelevato con tale mezzo da Crotone o Lamezia, ove era giunto da Roma. Più
4080
in là si tenterà di dare un nome a questa persona, il cui potere, e l’interesse all’atto, è
tale da ritardare persino l’attività dell’AG.
Il maresciallo Lo Giacco, già menzionato sopra, che pure prese parte
all’autopsia, afferma di non avere scattato fotografie. Il sottufficiale ricorda anche di
aver portato l’occorrente per il rilievo delle impronte, giacchè s’era sparsa la notizia che
il velivolo fosse stato pilotato dal terrorista Carlos, e di averle rilevate appoggiando la
pelle asportata sui propri polpastrelli. Dopo quella operazione aveva gettato la pelle
usata di nuovo nella bara (v. esame Lo Giacco Domenico, GI 18.03.91).
L’altro sottufficiale, all’epoca presso il Nucleo Operativo del Gruppo di
Catanzaro con mansioni di addetto ai rilievi tecnici, il brigadiere Cisaria Gaetano, che
pure ammette di avere compiuto le riprese fotografiche del giorno del rinvenimento del
velivolo e del cadavere – ma nessuna a colori – afferma di non aver partecipato alle
operazioni autoptiche (v. esame Cisaria Gaetano, GI 18.03.91).
L’altro sottufficiale comandante interinale all’epoca del detto Nucleo, il
maresciallo Casalino Salvatore, afferma di essere stato in ferie quell’anno dal 2 luglio al
3 agosto (v. esame Casalino Salvatore, GI 18.03.91).
Ai periti fu detto dall’Ufficio di non prelevare organi e non procedere ad esami
istologici, e di concludere velocemente le operazioni perché per le 13.30 presso
l’ospedale di Crotone, era previsto un appuntamento telefonico con “Roma”, al fine di
comunicare immediatamente i risultati dell’atto. Fu detto anche, subito dopo il
compimento dell’autopsia, che era necessario procedere immediatamente alla stesura
della relazione scritta.
Per questa ragione e per il collegamento telefonico con Roma i due furono
subito accompagnati all’ospedale civile di Crotone. Qui mentre si trovavano nel reparto
di Medicina Patologica con il procuratore della Repubblica, il suo segretario, e la
segretaria del prof. Rondanelli, il magistrato specificò che la telefonata sarebbe stata
fatta da un ufficiale di un Ministero, interessato “con una certa urgenza” alle risultanze
dell’esame autoptico.
Di lì a poco, tra le 13.00 e le 13.30, infatti giunse una telefonata da Roma, e
all’ufficiale all’altro capo rispose personalmente il Rondanelli. L’ufficiale pose una
serie di quesiti in modo quasi automatico, apparentemente “su di una falsariga di
schema già prefissato”, diversi dei quali non coincidenti con quelli del Giudice.
Rondanelli rispose dettando le osservazioni del collegio; ad alcuni come quelli relativi
al ritrovamento del cadavere, non poté però rispondere, perché non afferenti al caso.
Subito dopo questa telefonata, verso le 13.30 i due periti compilarono le risposte
ai quesiti giudiziari, dettandole al segretario del magistrato, che ne curò la
dattiloscrittura con la macchina dell’ospedale. All’esito sottoscrissero la relazione e la
consegnarono all’ufficio del Pubblico Ministero che era rimasto nel reparto
dell’ospedale.
Quindi ai periti furono date delle precise indicazioni: di non prelevare organi, di
non procedere ad esami istologici, di concludere entro le 13.30 di quello stesso giorno.
Poiché non vi sono verbalizzazione in tal senso e poiché tra i tanti difetti
dell’amministrazione della giustizia non vi è quello della fretta, si deve presumere che
queste indicazioni – vere e proprie direttive – venissero da persone diverse dall’AG.
D’altra parte l’appuntamento per le 13.30 era con un ufficiale al Ministero. L’interesse
palesemente era dell’AM. A tal punto interessata, che sottopone attraverso
4081
l’interlocutore a Roma i periti a un questionario molto più vasto e dettagliato di quello
peritale.

Change privacy settings
×