News

Rapine, stragi e un’auto anonima: la Banda della Uno Bianca terrorizzò l’Italia

L’arresto dei fratelli Savi, protagonisti della banda della Uno bianca, un’organizzazione criminale che ha seminato terrore tra Emilia-RomagnaLa genesi e le attività criminali della banda(Fonte_Facebook:carabinieri) (www.misteriditalia.it)

Sono passati esattamente trent’anni da uno degli eventi più drammatici e controversi della storia criminale italiana contemporanea.

L’arresto dei fratelli Savi, protagonisti della banda della Uno bianca, un’organizzazione criminale che ha seminato terrore tra Emilia-Romagna e Marche tra il 1987 e il 1994. Quel blitz segnò la fine di una lunga stagione di violenze, rapine e omicidi che avevano profondamente scosso la fiducia nelle istituzioni.

La banda della Uno bianca, così denominata per l’uso di una Fiat Uno bianca in alcune rapine, anche se solo in 17 episodi su oltre cento, si costituì come un gruppo criminale composto principalmente da appartenenti alle forze dell’ordine. Tra questi spiccavano i fratelli Savi: Roberto, assistente capo della Polizia di Stato in servizio alla centrale operativa della Questura di Bologna, e i fratelli Fabio e Alberto, rispettivamente camionista e agente di polizia. Con loro operavano anche altri agenti: Pietro Gugliotta, Luca Vallicelli e Marino Occhipinti.

Dal 1987, la banda mise in atto oltre 100 azioni criminali, tra rapine a mano armata, estorsioni e omicidi, causando 24 morti e oltre 110 feriti. Le loro prime rapine si concentrarono soprattutto sui caselli autostradali lungo l’A14, con un’escalation di violenza che culminò nella strage del Pilastro a Bologna, nel gennaio 1991, quando tre carabinieri furono brutalmente assassinati in un conflitto a fuoco.

L’arresto e le conseguenze giudiziarie

La svolta arrivò nella notte tra il 21 e il 22 novembre 1994, quando Roberto Savi venne arrestato in servizio alla Questura di Bologna. Nei giorni successivi furono catturati gli altri membri della banda: Fabio e Alberto Savi, Pietro Gugliotta, Marino Occhipinti e Luca Vallicelli. L’arresto pose fine a un incubo che aveva terrorizzato intere comunità e scosso profondamente la percezione di sicurezza, soprattutto perché i criminali erano proprio uomini delle forze dell’ordine.

I processi che seguirono furono lunghi e complessi. Le Corti d’assise di Pesaro, Bologna e Rimini condannarono all’ergastolo Roberto, Fabio e Alberto Savi e Marino Occhipinti. Pietro Gugliotta fu condannato a diciotto anni, mentre Luca Vallicelli a poco meno di quattro anni di reclusione.

Nonostante la severità delle pene, il ricordo della banda della Uno bianca continua a vivere, alimentato anche dalle vicende processuali e dai nuovi sviluppi investigativi. Nel 2018 Occhipinti ottenne una scarcerazione anticipata, poi revocata a seguito di un patteggiamento per maltrattamenti in famiglia, mentre Alberto Savi sta seguendo un percorso di riabilitazione usufruendo di permessi carcerari. Roberto e Fabio Savi, detenuti nel carcere di Bollate, hanno visto respingere tutte le richieste di libertà negli ultimi trent’anni.

Il ricordo delle vittime e delle loro famiglie resta vivo attraverso l’impegno dell’associazione presieduta da Alberto Capolungo, figlio di Pietro

Il lascito e le nuove indagini(Fonte_Raiplay.it) (www.misteriditalia.it)

Il ricordo delle vittime e delle loro famiglie resta vivo attraverso l’impegno dell’associazione presieduta da Alberto Capolungo, figlio di Pietro, ex carabiniere ucciso dalla banda. Capolungo ha sottolineato come la cattura dei Savi sia stata «tardiva», denunciando ritardi e omissioni nelle indagini che avrebbero potuto anticipare la fine della banda.

Recentemente, a Bologna è stato riaperto un fascicolo per concorso in omicidio volontario, a seguito di un esposto di alcuni familiari delle vittime. L’obiettivo è far luce su possibili mandanti, complici e coperture rimaste finora nell’ombra. Questi sviluppi testimoniano come, a distanza di decenni, il peso delle responsabilità non sia ancora stato completamente accertato e come il desiderio di giustizia rimanga una priorità per chi ha subito la violenza della banda.

La storia della banda della Uno bianca si intreccia con un clima di diffidenza e paura che segnò profondamente la popolazione, minando la fiducia nelle istituzioni preposte alla sicurezza. La consapevolezza che alcuni membri delle forze dell’ordine fossero a capo di un’organizzazione criminale ha lasciato un segno indelebile nella memoria collettiva.

Change privacy settings
×