La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28365/2025, chiarisce i confini entro cui il datore di lavoro può esercitare il controllo sui pc.
assegnati ai propri dipendenti, senza violare il diritto alla privacy. Il caso esaminato riguarda un uso distorto del notebook aziendale con oltre 54.000 accessi abusivi al sistema informatico e un’ingente fuga di dati sensibili, che ha portato a un licenziamento disciplinare confermato anche in Cassazione.
Secondo la suprema Corte, il controllo dell’attività informatica del lavoratore è lecito se motivato da anomalie rilevate e supportato da una preventiva informativa chiara e trasparente ai dipendenti.
PC aziendale e licenziamento: ecco quando un’email o una chat possono costarti il posto
La sentenza ribadisce che il diritto alla riservatezza non può essere considerato assoluto quando si tratta di prevenire comportamenti illeciti o danni all’immagine e alla sicurezza dell’impresa. Fondamentale, infatti, è il rispetto dello Statuto dei lavoratori e del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR).

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Nel caso specifico, un dipendente aveva compiuto un’attività sistematica di esfiltrazione di dati aziendali, inviando 125 email contenenti, tra l’altro, 133 fatture di clienti a destinatari esterni non autorizzati. Questo comportamento ha configurato non solo una violazione disciplinare grave, ma un vero e proprio danno patrimoniale e reputazionale.
Uno degli aspetti più discussi riguardava la proprietà del notebook utilizzato. Il lavoratore aveva sostenuto che il dispositivo fosse di sua proprietà personale, tentando così di rivendicare una tutela della privacy più stringente. Tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che, essendo il computer di proprietà aziendale e assegnato esclusivamente per lo svolgimento delle mansioni lavorative, il datore di lavoro ha un ampio, ma non illimitato, potere di controllo.
La Corte ha inoltre sottolineato l’importanza dell’informativa preventiva ai dipendenti, che deve specificare chiaramente le modalità di utilizzo degli strumenti informatici, la possibilità di effettuare controlli in caso di anomalie e le conseguenze disciplinari in caso di violazioni. Nel caso in esame, l’azienda aveva adempiuto a tutti questi obblighi, consentendo la legittimità del controllo anche su dati risalenti a un periodo precedente al sospetto (c.d. controllo retroattivo).
La gravità della condotta ha giustificato il licenziamento disciplinare immediato, in quanto il dipendente ha violato in modo consapevole e persistente il vincolo fiduciario che lega lavoratore e datore di lavoro. L’accesso abusivo e la diffusione di dati riservati hanno compromesso irreparabilmente la fiducia necessaria al mantenimento del rapporto di lavoro.
La decisione della Cassazione evidenzia come il bilanciamento tra il diritto alla privacy e la necessità di proteggere il patrimonio aziendale sia imprescindibile. Le verifiche informatiche devono essere proporzionate, necessarie e trasparenti per essere considerate valide; senza questi requisiti, le prove raccolte potrebbero essere inutilizzabili in sede giudiziaria, invalidando il licenziamento.
PC aziendale e licenziamento: ecco quando un’email o una chat possono costarti il posto
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