I Misteri

Strage di Erba, riemerge il dubbio su Rosa e Olindo: chi ha ucciso davvero quella maledetta notte?

rosa e olindoRosa e Olindo Romano (Ansa)

Una delle vicende giudiziarie più discusse d’Italia, un caso chiuso da anni ma che continua a dividere l’opinione pubblica. Cosa accadde davvero quella notte a Erba? E perché, dopo tutto questo tempo, rimangono ancora dubbi così profondi?

Una notte di sangue in un piccolo paese

L’11 dicembre 2006, Erba è un piccolo comune tranquillo della provincia di Como, un luogo dove la vita scorre lenta, tra cortili silenziosi e finestre illuminate di giallo nel freddo invernale.
Ma quella sera, intorno alle otto, un fumo nero si alza da una palazzina del centro: i vicini chiamano i soccorsi, convinti si tratti di un incendio.
Quando i vigili del fuoco entrano nell’appartamento di Raffaella Castagna, la scena che trovano è qualcosa che nessuno avrebbe potuto immaginare.

Sul pavimento giacciono i corpi senza vita di Raffaella Castagna, di suo figlio Youssef Marzouk, appena due anni, di Paola Galli, madre di Raffaella, e di Valeria Cherubini, una vicina accorsa per aiutare.
Solo Mario Frigerio, il marito di Valeria, sopravvive, gravemente ferito alla gola.

È l’inizio di uno dei casi più dolorosi e controversi della storia giudiziaria italiana.

L’arresto e il caso chiuso troppo in fretta

Pochi giorni dopo la strage, le indagini portano a una coppia che viveva nello stesso stabile: Rosa Bazzi e Olindo Romano, coniugi semplici, persone comuni, senza precedenti, conosciuti nel quartiere per la loro riservatezza.
Entrambi vengono interrogati e, dopo lunghe ore, confessano.

Le loro parole sembrano coincidere con i dettagli del delitto, ma la confessione appare da subito fragile, contraddittoria, confusa. Rosa parla di una lite per motivi di vicinato, di insulti, di rancori che covavano da tempo. Olindo conferma, poi nega, poi torna a confermare.
E intanto, i giornali titolano a caratteri cubitali: “Erba, due mostri normali”.

Nel giro di pochi mesi, il processo è già avviato, e, nel 2008, la sentenza arriva come un colpo di martello: ergastolo per entrambi. Caso chiuso, almeno per la giustizia.

Ma fuori dalle aule, le domande cominciano a moltiplicarsi.

Le crepe nella versione ufficiale

Fin da subito, ci sono dettagli che non tornano. Le confessioni, registrate e riascoltate negli anni, appaiono forzate, quasi guidate. Olindo e Rosa cambiano versione più volte, sembrano ripetere ciò che gli investigatori vogliono sentire.

Non c’è una prova scientifica diretta che li colleghi alla scena del crimine. Il DNA trovato non corrisponde, le tracce di sangue sono compatibili ma non definitive.
Il testimone chiave, Mario Frigerio, inizialmente aveva descritto un aggressore diverso: alto, con i capelli lunghi, un volto che non somigliava a Olindo. Solo dopo, mesi più tardi, riconoscerà l’uomo nel suo vicino di casa.

Mario Friggerio

Mario Frigerio (Ansa)

Molti esperti, psicologi e criminologi, hanno sottolineato che le confessioni potrebbero essere il risultato di pressione psicologica, di un meccanismo di suggestione in cui i due, persone semplici e fragili, avrebbero finito per convincersi di essere colpevoli pur non ricordando nulla con chiarezza.

Le ombre sulle indagini

Ci sono anche altri elementi che lasciano spazio ai dubbi. Il movente, innanzitutto: una lite di condominio sembra un motivo troppo piccolo per un massacro di quella brutalità.
E poi la gestione della scena del crimine, giudicata da molti come frettolosa e imprecisa: testimoni ascoltati in ritardo, reperti analizzati solo parzialmente, campioni di sangue dispersi o contaminati.

Alcuni ex investigatori hanno dichiarato negli anni successivi che la pressione mediatica era enorme, che bisognava dare al Paese un colpevole, un volto, una spiegazione.
E quella coppia — anonima, isolata, facilmente percepita come “diversa” — sembrava la risposta perfetta.

Non è un caso se, nel tempo, diversi magistrati e avvocati abbiano chiesto una revisione del processo, sostenendo che troppe prove non furono considerate, troppe piste ignorate, troppi silenzi lasciati cadere nel vuoto.

Le nuove ipotesi e il peso del dubbio

Negli anni successivi, giornalisti investigativi, criminologi e periti indipendenti hanno riaperto il caso mediaticamente, portando alla luce documenti, testimonianze e analisi che mettono in discussione la verità giudiziaria.
Si è parlato di una possibile terza persona presente quella sera, di tracce non compatibili con i due imputati, di testimoni che avrebbero sentito voci o rumori diversi da quelli descritti in aula.

E poi c’è il dettaglio più inquietante di tutti: le ultime parole di Mario Frigerio, prima di morire nel 2014, in cui avrebbe espresso nuovi dubbi sul riconoscimento di Olindo, confessando di non essere più sicuro di nulla.
Parole deboli, arrivate troppo tardi, ma abbastanza da riaccendere la discussione.

Oggi, a quasi vent’anni di distanza, la coppia continua a proclamarsi innocente, assistita da avvocati che chiedono un nuovo processo alla luce delle analisi scientifiche più recenti.

Un Paese diviso tra giustizia e coscienza

La “strage di Erba” non è più solo un caso giudiziario: è uno specchio della fiducia (o sfiducia) nella giustizia italiana.
Da una parte c’è chi ritiene che la vicenda sia chiusa, che la verità sia stata accertata da prove e confessioni.
Dall’altra, cresce il fronte di chi crede che qualcosa non torni, che la fretta, l’emotività, la paura collettiva abbiano costruito un colpevole anziché trovarlo.

E in mezzo, come sempre, restano le vittime, i loro nomi, la loro memoria.
Perché, al di là delle ipotesi e dei processi, quattro vite innocenti furono spezzate quella notte, e il loro ricordo merita rispetto, non spettacolarizzazione.

Ma resta anche il dovere, civile e umano, di non smettere di cercare la verità, soprattutto quando la verità fa comodo a pochi e paura a molti.

A distanza di tanti anni, la “strage di Erba” rimane una ferita aperta nella coscienza del Paese. Ogni volta che il caso torna alla ribalta, riemerge lo stesso interrogativo: è possibile che due persone condannate all’ergastolo siano davvero innocenti?
O, al contrario, che il dubbio sia diventato un alibi per non accettare l’orrore di ciò che accadde davvero?

Forse, come spesso accade nei grandi misteri italiani, la verità non è una sola, ma si è frantumata tra errori, omissioni e silenzi.
Eppure, c’è qualcosa che resta sospeso, come una domanda che nessuno osa più fare: se davvero Olindo e Rosa non sono colpevoli, chi ha ucciso quella notte a Erba?

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