I Misteri

Serena Mollicone, il delitto di Arce: il paese che sapeva e ha taciuto, è (lui) il vero colpevole

Serena MolliconeSerena Mollicone (Ansa)

Una ragazza di diciotto anni, una caserma dei carabinieri e un silenzio lungo più di vent’anni

Il sorriso di una ragazza di provincia

Arce, un piccolo paese del frusinate, in quei giorni di inizio estate del 2001 viveva la quiete tipica dei luoghi che sembrano tagliati fuori dal tempo.
Serena Mollicone aveva diciotto anni, studiava al liceo, amava la musica e sognava di fare la fisioterapista. Una mattina come tante, il primo giugno, uscì di casa dicendo che sarebbe andata in paese per una commissione.
Aveva con sé pochi spiccioli, una maglietta chiara, i capelli raccolti e la leggerezza di chi pensa di tornare per pranzo.

Non tornò più.

Le ricerche, la paura, il silenzio

Quando non rientrò, il papà pensò a un ritardo, poi allarmato cominciò a chiamarla, a chiedere in giro. Nessuno l’aveva vista, nessuno sapeva nulla.
Dopo due giorni di angoscia, il corpo di Serena venne ritrovato in un boschetto vicino ad Anitrella, legato mani e piedi con nastro adesivo e con la testa avvolta in un sacchetto di plastica.

Un dettaglio inquietante che fin da subito fece pensare a un gesto brutale ma non improvvisato, come se chi aveva agito sapesse bene cosa stava facendo.
La ferita alla testa, profonda e precisa, indicava un colpo violento, ma non immediatamente letale. Serena era morta lentamente, probabilmente soffocata.

Una pista che porta in caserma

Le indagini si concentrarono fin da subito su un luogo preciso: la caserma dei carabinieri di Arce.
Serena, quel giorno, aveva con sé un quaderno e un biglietto su cui compariva un appunto: “andare dai carabinieri”. Forse doveva denunciare qualcosa. Forse era lì che si nascondeva la verità.

In caserma, però, nessuno ricordava di averla vista. Tutti dichiararono di non sapere nulla.
Ma alcuni dettagli cominciarono a incrinarsi: una porta danneggiata, una parete appena ridipinta, un clima di inquietudine crescente.
E poi c’era un nome: Marco Mottola, figlio del maresciallo comandante, descritto da molti come arrogante, fragile e ossessionato da Serena.

Un paese diviso

Col passare degli anni, Arce si è trasformata in un paese sospeso, spaccato tra chi chiedeva verità e chi preferiva il silenzio. Ci furono confessioni, ritrattazioni, testimoni che cambiarono versione, documenti mancanti. Ogni volta che sembrava di essere vicini a una svolta, tutto si fermava.

Il padre di Serena, Guglielmo Mollicone, un uomo mite e determinato, divenne il simbolo di una battaglia contro l’omertà. Per anni percorse l’Italia, partecipò a trasmissioni, bussò alle procure, chiedendo una sola cosa: la verità.
Morì nel 2020 senza averla avuta.

La svolta (solo apparente)

Nel 2022, dopo ventun anni, si arriva a un processo. Sul banco degli imputati, tre persone: l’ex maresciallo Franco Mottola, la moglie e il figlio Marco.
L’accusa: omicidio e occultamento di cadavere.
Secondo la ricostruzione, Serena sarebbe stata uccisa all’interno della caserma dopo un alterco, forse per una denuncia che avrebbe potuto compromettere qualcuno.

caserma

La caserma di Arce (Ansa)

Ma la sentenza di primo grado, arrivata nel 2023, assolve tutti gli imputati. Il castello di accuse, costruito su indizi e ricordi lontani, si sgretola.
Il giudice parla di “prove insufficienti”.
Il paese si divide ancora una volta tra chi grida all’ingiustizia e chi tira un sospiro di sollievo.

I segreti di Arce

Oggi, chi attraversa Arce non vede tracce visibili di quella storia, ma la sente. È nei sussurri nei bar, nei muri della vecchia caserma, nelle finestre che si chiudono quando si nomina il cognome “Mollicone”.
Molti in paese sanno che qualcosa, quel giorno, è successo davvero lì dentro. Ma nessuno, per paura o per stanchezza, parla più.

Ogni anniversario, sulla tomba di Serena, qualcuno lascia un biglietto anonimo.
Le parole cambiano, ma il senso è sempre lo stesso:

“Ti abbiamo lasciata sola, ma non ti abbiamo dimenticata.”

Una verità che non trova spazio

La morte di Serena Mollicone è una ferita aperta nel cuore dell’Italia, perché racconta di una giustizia che si ferma sulla soglia, di un muro di omertà che neppure il tempo riesce a scalfire.
Il padre aveva ragione quando diceva: “Serena non è morta per caso, è morta perché ha avuto coraggio.”

E forse è proprio questo il punto: la verità sul delitto di Arce non è solo giudiziaria, è morale.
Un paese intero ha preferito voltarsi dall’altra parte, e quel silenzio, in fondo, è il vero colpevole che nessuno ha mai processato.

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