Il caso di Gary Ridgway non solo ha segnato la storia criminale americana, ma ha anche influenzato profondamente le tecniche investigative.
Il caso di Gary Leon Ridgway, noto come il Green River Killer, rimane uno dei più inquietanti e significativi nella storia della criminologia moderna.
Condannato per 49 omicidi avvenuti nell’arco di quasi vent’anni nella contea di King, Washington, Ridgway è al centro di uno studio che ha ridefinito le tecniche investigative e l’approccio alle indagini sui serial killer.
Le origini e il profilo di Gary Ridgway
Nato a Salt Lake City nel 1949, Ridgway ha vissuto un’infanzia segnata da un ambiente familiare turbolento e da dinamiche psicologiche complesse. La madre, descritta come autoritaria e provocante, e un padre che frequentava prostitute, hanno influito profondamente sulla sua personalità. Fin da giovane, Ridgway manifestò comportamenti disturbanti, tra cui la tortura di animali e un tentativo di omicidio ai danni di un bambino di sei anni, sopravvissuto.
Durante la giovinezza, Ridgway si arruolò nella Marina, ma la sua vita personale fu caratterizzata da matrimoni falliti e un crescente fanatismo religioso. Lavorava come verniciatore di camion, attività che gli consentiva di muoversi liberamente e di avvicinare le sue vittime, per lo più prostitute giovani, spesso frequentatrici di una strada a luci rosse nota come “lo Strip”, vicino all’aeroporto di SeaTac.
La scia di omicidi e le modalità criminali
Gli omicidi commessi da Ridgway si estendono dal 1982 fino almeno al 1998, con possibili crimini fino al 2001. La sua tecnica preferita era lo strangolamento, praticato a mani nude o con l’uso di lacci, spesso così stretti da lasciare segni profondi. Le vittime venivano attirate nel suo camion con la promessa di denaro o favori sessuali, e in alcuni casi Ridgway usava la foto del figlio per guadagnare la loro fiducia.

Una serie lunghissima di terribili omicidi. Foto: Youtube – misteriditalia.it
Dopo aver ucciso, l’assassino nascondeva i corpi in aree boschive isolate, per poi tornare a compiere atti necrofili, un aspetto che testimonia la sua profonda depravazione. In alcune occasioni, arrivò a mutilare i cadaveri e a diffondere i resti in diverse aree, anche nello stato dell’Oregon, nel tentativo di depistare le autorità.
Le indagini e l’arresto
Il ritrovamento dei primi corpi nel Green River nel 1982 diede il via a una delle più complesse indagini della polizia statunitense. La Green River Task Force, un’unità speciale composta da 25 agenti, lavorò per anni senza riuscire a identificare il colpevole, nonostante vari sospetti e arresti errati. L’uso pionieristico della profilazione criminale e il contributo di esperti come John E. Douglas furono fondamentali, anche se inizialmente portarono a conclusioni sbagliate, come l’ipotesi di più killer.
L’arresto avvenne infine il 30 novembre 2001, grazie ai progressi nella tecnologia del DNA. Un confronto tra campioni biologici raccolti negli anni Ottanta e quelli estratti da nuove analisi permise di collegare definitivamente Ridgway ai crimini. La confessione del killer nel 2003, con l’ammissione di 48 omicidi, aprì la strada al recupero di ulteriori corpi e all’allungamento della lista delle vittime, che arrivò a 71.
Condannato a 48 ergastoli più 480 anni di carcere, Ridgway scongiurò la pena di morte attraverso un patteggiamento, ma rimane detenuto nel penitenziario statale di Washington a Walla Walla. Il processo rappresentò anche un momento di forte impatto emotivo, con testimonianze che evidenziarono la sofferenza delle famiglie delle vittime e, in un caso memorabile, un perdono espresso pubblicamente da un genitore a Ridgway.
Gary Ridgeway, il killer del Green River. Foto: Youtube - misteriditalia.it










