I Misteri

Emanuela Orlandi: le nuove piste che il Vaticano non smentisce

Emanuela OrlandiEmanuela Orlandi, il fratello Pietro a "Chi l'ha visto?" (Screen Rai3)

Da oltre quarant’anni la scomparsa di Emanuela Orlandi è il mistero italiano per eccellenza. Ma negli ultimi mesi, nuovi indizi e silenzi da Oltretevere riaccendono una domanda che non trova pace: cosa sa davvero il Vaticano?

Un mistero lungo quarant’anni

Era il 22 giugno 1983 quando Emanuela Orlandi, 15 anni, cittadina vaticana, figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, sparì nel nulla dopo una lezione di musica in via del Corso. Da allora, la sua storia è diventata una ferita aperta per l’Italia — un enigma che intreccia religione, politica, servizi segreti e criminalità organizzata.

Ogni decennio porta con sé una nuova pista, un testimone, una confessione. Ma oggi, più che mai, è il silenzio del Vaticano a far rumore.

La pista del cimitero teutonico

Nel 2019, un colpo di scena riaccese la speranza: una lettera anonima suggerì di cercare i resti di Emanuela “dove l’angelo indica”, nel piccolo Cimitero Teutonico all’interno delle mura vaticane.
Le autorità aprirono due tombe: erano vuote. Ma sotto quelle tombe, furono trovati resti ossei di almeno due persone, risalenti a un’epoca non precisata. Il Vaticano parlò di “ricerche infruttuose”, ma non pubblicò l’inventario completo dei ritrovamenti.
Secondo fonti vicine all’inchiesta, alcuni frammenti di ossa sarebbero stati prelevati e analizzati “senza conferma di datazione certa”. Un dettaglio mai chiarito del tutto.

I documenti segreti dell’Archivio Apostolico

Nel 2023, la nuova ondata di attenzione mediatica — alimentata anche dalla docu-serie Netflix “Vatican Girl” — spinse il Vaticano ad aprire un dossier interno. Il promotore di giustizia vaticano, Alessandro Diddi, dichiarò di aver “riesaminato documenti precedenti” e di voler “fare luce su ogni aspetto”.

Pochi mesi dopo, la famiglia Orlandi fu ricevuta in Vaticano. Ma non tutto ciò che venne discusso è stato reso pubblico. Fonti interne parlano di nuovi documenti provenienti dall’Archivio Apostolico Vaticano, tra cui note riservate di monsignori degli anni ’80, in cui si accennerebbe a “movimenti di denaro per liberare la giovane”.

Il Vaticano non ha smentito l’esistenza di quei documenti. Si è limitato a dire che “le verifiche sono in corso”. Un linguaggio prudente, ma che lascia intendere che qualcosa, forse, c’è davvero.

L’ombra della Banda della Magliana

Da anni, la pista più discussa collega la scomparsa di Emanuela alla Banda della Magliana, il gruppo criminale che negli anni ’80 intrecciava rapporti con politici, prelati e servizi segreti. Secondo alcuni pentiti, la ragazza sarebbe stata sequestrata per fare pressione sul Vaticano in merito al caso del Banco Ambrosiano e al misterioso banchiere Roberto Calvi, trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra nel 1982. La teoria sostiene che il Vaticano dovesse restituire ingenti somme di denaro alla banda e che Emanuela fosse un “ostaggio di garanzia”.

Negli anni, diverse inchieste giudiziarie hanno sfiorato questa pista, ma nessuna l’ha mai chiusa definitivamente. L’ultima — quella riaperta nel 2023 dalla Procura di Roma — torna proprio su questo punto: i flussi di denaro e i rapporti finanziari tra l’Istituto per le Opere di Religione (IOR) e i conti legati alla criminalità organizzata.

Il ruolo ambiguo dei servizi segreti

Altra zona d’ombra: i servizi segreti italiani e stranieri. Nelle carte desecretate del Sismi (oggi Aise), compaiono rapporti su movimenti sospetti di diplomatici esteri nei giorni successivi al sequestro. C’è chi parla di una pista mediorientale, con presunti legami con l’attentatore turco Ali Ağca, l’uomo che sparò a Giovanni Paolo II nel 1981.

Secondo alcune ricostruzioni, la scomparsa di Emanuela sarebbe servita a ricattare il Papa, chiedendo la liberazione di Ağca o altre concessioni politiche. Ma i servizi italiani, negli anni, hanno più volte negato di aver avuto informazioni operative dirette. Un paradosso difficile da credere, considerando che la ragazza era una cittadina vaticana e che il caso coinvolgeva due Stati sovrani.

I messaggi nascosti e la pista londinese

Nel 2020, un giornalista inglese ricevette una lettera anonima con un riferimento preciso: “Baker Street, Londra. Archivio di una banca.”
La segnalazione portava a un conto cifrato collegato a un istituto britannico riconducibile al Vaticano. Pochi mesi dopo, il promotore Diddi annunciò “indagini su movimentazioni di fondi risalenti agli anni Ottanta”.

Ancora una volta, nessuna smentita. Nessuna conferma. Solo silenzio.

Ma il nome “Baker Street” compare anche in un vecchio appunto della Banda della Magliana, ritrovato nell’abitazione di Enrico De Pedis, il boss poi sepolto (e riesumato) nella Basilica di Sant’Apollinare, a due passi dal Senato.

Perché un criminale di quel calibro fu sepolto in un luogo sacro? E chi lo autorizzò?

Il fratello Pietro: “Non cerchiamo vendetta, solo verità”

Da oltre quarant’anni, Pietro Orlandi continua a chiedere ciò che nessuno Stato — né italiano né vaticano — è mai riuscito a dare: trasparenza. La sua voce è diventata quella di milioni di italiani che vedono nel caso Orlandi un simbolo di tutte le verità negate.

Pietro Orlandi

Pietro Orlandi (IG monicabenoldi)

“Ogni volta che ci avviciniamo alla verità,” ha dichiarato recentemente, “il Vaticano cambia argomento. Ma se non hanno nulla da nascondere, perché non aprono tutti gli archivi?”

Nel frattempo, il promotore di giustizia vaticano ha assicurato che “nessuna pista sarà esclusa”, ma non ha fornito date, né accesso completo ai documenti. Una promessa che somiglia più a un rinvio che a una rivelazione.

I silenzi che pesano più delle parole

Le indagini della Procura di Roma e quelle vaticane corrono su binari paralleli, ma non comunicano davvero tra loro. Ogni volta che un’inchiesta sembra arrivare a un punto, compare un nuovo segreto, una “riservatezza diplomatica”, un fascicolo “non accessibile per motivi di Stato”.

Anche l’ipotesi di un coinvolgimento interno alla Santa Sede — magari un sequestro organizzato da qualcuno che Emanuela conosceva — non è mai stata completamente esclusa. Un’ombra, questa, che nessuno in Vaticano ha mai davvero dissipato.

Il peso della verità

Oggi, dopo decenni, la vicenda Orlandi è diventata un enigma generazionale. Ogni nuova rivelazione apre altre domande: Chi ordinò davvero il rapimento? Che fine fece il corpo di Emanuela? E perché, dopo quarant’anni, il Vaticano non riesce (o non vuole) fornire una versione definitiva?

Forse la risposta si trova proprio nei silenzi. Perché il silenzio, quando dura così a lungo, diventa esso stesso un messaggio.

Un mistero che non si chiude

Oggi il caso Orlandi non è solo cronaca: è un simbolo. Rappresenta il confine sottile tra fede e potere, innocenza e corruzione, verità e paura.

E mentre il Vaticano continua a non smentire — ma neppure a parlare —, resta un’unica certezza: fino a quando il nome di Emanuela sarà pronunciato, il suo mistero non potrà essere sepolto.

Quarant’anni di silenzi, depistaggi e promesse mancate. Eppure, ogni volta che la storia sembra svanire, una nuova pista riemerge. Forse, un giorno, qualcuno aprirà davvero tutte le porte. E in quel momento, l’Italia scoprirà che il più grande mistero non è dove si trovi Emanuela Orlandi, ma chi non ha mai voluto che venisse trovata.

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