CARRIERE INARRESTABILI: DE GENNARO DA “COMMISSARIO MONNEZZA” A COORDINATORE DEI SERVIZI SEGRETI  

Casca sempre in piedi il superpoliziotto Gianni De Gennaro, inquisito dalla procura di Genova per i gravi fatti del G8 2001, capo della polizia bipartizan, gradito a destra come a sinistra.
Nominato commissario all’emergenza rifiuti, De Gennaro ha miseramente fallito il suo compito, ma ha avuto l’abilità di salvarsi, considerando che negli ultimi 15 anni tutti quelli che hanno avuto a che fare con l’affaire monnezza in Campania si sono bruciati.
Il 14 giugno De Gennaro ha assunto la guida dei servizi segreti italiani, come direttore del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, l'ex Cesis oggi .Dis, organismo che dovrebbe avere, almeno sulla carta, una funzione di reale coordinamento tra i due servizi, quello militare e quello civile. Subentra al gen. Giuseppe Cucchi, considerato stretto collaboratore dell'ex premier Romano Prodi e ha avuto la meglio su Gianni Castellaneta, ambasciatore italiano negli Stati Uniti (ex consigliere diplomatico di Silvio Berlusconi nel 2001), che fino all'ultimo è stato in pole position per il medesimo incarico.
Calabrese, 59anni, capo della polizia fino all'inizio della scorsa estate, poi capo di gabinetto del ministro Giuliano Amato, De Gennaro esordisce negli anni Ottanta occupandosi di mafia (è lui a “portare a casa” il “pentito” Tommaso Buscetta). Molto vicino a Giovanni Falcone, sempre a De Gennaro viene affidata la guida della neonata direzione investigativa antimafia, all'indomani delle stragi di Capaci e via d'Amelio. Ma come funzionario della Criminalpol era finito nella brutta storia delle lettere anonime del “corvo di Palermo” che lo accusavano di usare un altro “pentito”, Totuccio Contorno, come un killer di Stato. Poi per De Gennaro la direzione della polizia criminale, vice del capo della polizia Ferdinando Masone, fino a sostituirlo nel 2000.
Nominato dal governo Amato, con Bianco ministro dell'Interno, De Gennaro è rimasto in sella anche con il governo Berlusconi e poi con quello Prodi, nonostante fossero non pochi coloro che ne chiedevano la sua testa per la scellerata e disastrosa gestione del G8 di Genova.
Adesso la nomina ai vertici dei servizi segreti: al Dis che con la riforma, ha assunto un ruolo chiave per la sicurezza del Paese perchè è l'unico interlocutore del presidente del Consiglio ed è responsabile del coordinamento di Aisi e Aise (ex Sisde ed ex Sismi).
Staremo a vedere.

MOSTRO DI FIRENZE: L’ENNESIMA BRUTTA FIGURA DELLA PROCURA  

Errare humanum est, perseverare….”.
E’ la massima latina applicabile al pm storico dell’inchiesta sul mostro di Firenze  Paolo Canessa, che dopo la lettura della sentenza che ha assolto l'ex farmacista Francesco Calamandrei, accusato di essere mandante degli ultimi quattro duplici delitti del mostro, ha così incassato l’ennesima smentita alle sue ardite tesi.
Canessa - che ha cominciato ad occuparsi del caso nel lontano 1984 - ed il suo collega Alessandro Crini, avevano chiesto la condanna all'ergastolo per Calamandrei, da ridursi a 30 anni di reclusione per la diminuzione di pena legata al rito abbreviato.
Calamandrei è stato assolto ex articolo 530 del codice di procedura penale, che fa riferimento alla mancanza, insufficienza o contradditorietà della prova. Tutti elementi, evidentemente, imputabili ha chi ha condotto (male) anche questo troncone d’indagine.
Calamandrei era stato accusato da Canessa e Crini di concorso in omicidio con i cosiddetti “compagni di merende” - Pietro Pacciani (deceduto nel 1998), Mario Vanni e Giancarlo Lotti (scomparso nel 2002) - per i delitti di Paolo Mainardi e Antonella Migliorini a Baccaiano nel 1982, dei due giovani tedeschi Horst Meyer e Jens Rusch a Giogoli nel 1983, di Pia Rontini e Claudio Stefanacci a Vicchio nel 1984 e della coppia di turisti francesi, Nadine Mauriot e Jean Kraveichvili,  a Scopeti nel 1983.
Per l'accusa, l'ex farmacista avrebbe pagato Pacciani per ottenere parti di corpo femminile asportate dalle vittime e sarebbe stato anche presente sul luogo dell’omicidio del 1985. Ma la corte non ha creduto a simili facezie, di fatto ispirate dalla fervida fantasia dell’investigatore-scrittore Michele Giuttari.

MOSTRO DI FIRENZE (2): CALAMANDREI ERA STATO ASSOLTO ANCHE A PERUGIA  

L’assoluzione di Francesco Calamandrei, il farmacista di San Casciano Val di Pesa, infligge un duro colpo anche all’altra inchiesta stramba, quella condotta dal pm di Perugia Giuliano Mignini sull'omicidio di Francesco Narducci (presunto sodale del farmacista nei duplici omicidi fiorentini), trovato morto nelle acque del Lago Trasimeno nel 1985.
D’altronde il primo verdetto a favore di Calamandrei era giunto proprio dal capoluogo umbro dove il pm Mignini lo aveva accusato di essere proprio uno dei mandanti dell'omicidio di Narducci, il medico perugino, che secondo alcune testimonianze di prostitute vicine al giro dei “compagni di merende” era intimo del Calamandrei e spesso viveva in una casa di sua proprietà a San Casciano.
Lo stesso pm Mignini alla fine si era visto costretto a prosciogliere Calamandrei perchè non aveva trovato elementi probanti a suo carico.
Secondo la ricostruzione perugina, Narducci avrebbe fatto parte del giro di Calamandrei, avrebbe inoltre partecipato ad alcuni duplici omicidi (tra cui l'ultimo quello degli Scopeti del 8 settembre del 1985). Venne ucciso perchè le voci su di lui si facevano troppo pressanti e voleva dunque togliersi dal giro.
In piedi a Perugia resta il fascicolo di inchiesta sullo scambio di cadavere di Narducci (per occultare la verità dell'omicidio) e sulle coperture presunte massoniche che si mossero tra l’8 e il 13 ottobre del 1985.

DELITTO DELL’OLGIATA:
DNA MASCHILE ISOLATO DA UN FAZZOLETTO  

Spiraglio di luce o ennesimo svarione investigativo?
Si torna a parlare dell’omicidio della contessa Alberica Filo Della Torre, la donna strangolata e colpita alla testa con uno zoccolo nella sua villa dell'Olgiata il 10 luglio 1991.
A quasi 17 anni da quello che rimane uno dei più tanti delitti insoluti della capitale, è stato isolato e prelevato un dna maschile da uno degli oggetti repertati nella stanza da letto in cui avvenne l'omicidio. Il codice genetico - che finalmente potrebbe segnare un punto di svolta nell'inchiesta riavviata dalla procura di Roma nel gennaio dello scorso anno - è stato estrapolato dal muco trovato su un fazzoletto di carta. Il dna è stato già comparato con quello dei due indagati “storici” per il delitto dell’Olgiata, il filippino Manuel Winston, all'epoca alle dipendenze dei coniugi Mattei, e Roberto Iacono, figlio della governante dei figli della contessa, ma è risultato diverso.
Per questo motivo il procuratore aggiunto Italo Ormanni ed il sostituto Settembrino Nebbioso hanno chiesto l’archiviazione delle due posizioni processuali. I nominativi di Manuel e di Iacono, già prosciolti al termine della prima inchiesta, erano stati iscritti nuovamente nel registro degli indagati, come atto dovuto, in seguito alla riapertura delle indagini.
Gli esami svolti dai consulenti della procura, i professori Paolo Arbarello, Carla Vecchiotti e Vincenzo Pascali, non hanno tuttavia soddisfatto il marito della vittima, Pietro Mattei. E a questo punto si palesa una vera e propria persecuzione dal momento che il suo legale, l’avv. Giuseppe Marazzita, ha annunciato di aver presentato opposizione alla richiesta di archiviazione per Manuel e Iacono ed ha lamentato alcune presunte omissioni sugli esami svolti. In particolare, ha detto il legale, gli esperti nominati dalla procura si sarebbero limitati ad un “esame di tracce visibili usando tecnologie antiquate”. Tra gli altri, ha segnalato il legale, non sarebbero stati esaminati l'orologio Rolex della vittima ed altri oggetti come richiesto nell'istanza di riapertura delle indagini.
Era mattina quando l'assassino entrò nella stanza da letto di Alberica Filo Della Torre e la uccise. Proprio quel giorno, nella villa avvolta nel verde, in uno dei quartieri residenziali di Roma, era previsto un party per i dieci anni di matrimonio dei coniugi Mattei. Il delitto fu scoperto da una domestica filippina mentre in casa si trovavano i due piccoli figli che avevano da poco fatto colazione e nella villa erano al lavoro alcuni operai per preparare la festa che si sarebbe tenuta in serata.
Tra i primi ad arrivare sul posto il funzionario del Sisde Michele Finocchi che da lì a poco finirà travolto dall’inchiesta sulle ruberie del servizio segreto civile.

SEQUESTRO MAZZOTTI: DOPO 33 ANNI INDIVIDUATO BANDITO  

Grazie ad un'impronta digitale è stato individuato, dopo 33 anni, uno dei presunti autori materiali del sequestro di Cristina Mazzotti, la giovane rapita la sera del 26 giugno 1975 mentre tornava a casa e poi uccisa. Si tratta di Demetrio Latella, ex esponente della banda di Angelo Epaminonda, che attualmente era in regime di semilibertà dopo essere stato condannato all'ergastolo per altri reati.
A Latella si è giunti grazie all’inchiesta del pm di Torino Onelio Dodero, uno dei magistrati più attivi nelle indagini sulla criminalità organizzata. L'inchiesta avrebbe anche individuato altri tre componenti del commando responsabile del sequestro.
Per il sequestro erano stati scoperti i custodi, il telefonista-ricattatore e altri complici, ma non furono mai identificati gli autori materiali.
Le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Torino sul sequestro di Cristina Mazzotti erano cominciate lo scorso anno. A farle scattare è stata una comunicazione della direzione della polizia scientifica di Roma ai magistrati subalpini: il computer aveva individuato che un’impronta ritrovata sulla Mini Minor su cui viaggiava la ragazza al momento del sequestro era proprio quella di Demetrio Latella.
La competenza della magistratura torinese è legata al fatto che il cadavere della ragazza fu trovato il primo settembre del 1975 in una discarica di Castelletto sopra Ticino, in provincia di Novara.
Il sequestro avvenne verso le 2 di notte: 4 giovani armati, scesero da una Fiat 125 rubata e bloccarono la Mini Minor con a bordo Cristina Mazzotti, all'epoca diciottenne, e due amici nei pressi della villa del padre della Mazzotti, imprenditore commerciale. In un primo momento i banditi chiesero un riscatto di 5 miliardi, ma il padre della giovane, Helios Mazzotti, pagò un miliardo e 50 milioni delle vecchie lire.
Il primo settembre il corpo della giovane fu trovato nella discarica. Era nascosto da quaranta giorni sotto i rifiuti, uccisa dai farmaci somministrati dai rapitori. Nel frattempo in Svizzera era stato arrestato uno dei componenti della banda mentre cercava di riciclare una parte del riscatto. Novanta milioni che avevano generato i sospetti del direttore della filiale. La polizia arrivò così abbastanza velocemente a buona parte della banda. Ma qualcuno ancora mancava.

STRAGE DI BOLOGNA: FINALMENTE I MAGISTRATI IN GERMANIA  

Ce n’è voluta, ma alla fine la magistratura bolognese non ha potuto evitare una trasferta in Germania per approfondire una pista alternativa a quella ostinatamente seguita per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 che provocò 85 morti e 200 feriti.
All’inizio di giugno, dopo anni di inerzia della procura bolognese, il pm Paolo Giovagnoli si è recato a Berlino per interrogare Thomas Kram con un risultato decisamente significativo dal momento che il terrorista tedesco si è avvalso della facoltà di non rispondere, così come hanno fatto altri tre personaggi in passato appartenenti alle Cellule Rivoluzionarie. Anche se non è stato raggiunto alcun risultato processuale, il semplice fatto che i quattro non abbiamo offerto alcun chiarimento la dice lunga sul loro possibile coinvolgimento nella strage. Non va dimenticato, infatti, che Kram, legato al terrorista internazionale Ilich Ramirez Sanchez, detto “Carlos”, la notte precedente la strage si trovava a Bologna.
Anche se Kram non ha risposto alle domande del pm Giovagnoli, il viaggio in Germania ha permesso alla procura bolognese di individuare una corposa documentazione della procura di Berlino di cui ora chiederà l'acquisizione. Si tratta di documenti che testimonierebbero - circostanza sempre negata sia dalla procura che dal presidente dell’associazione dei Familiari, Paolo Bolognesi - dei rapporti esistenti tra le Cellule Rivoluzionarie tedesche e il terrorista “Carlos” e il Fronte popolare di liberazione della Palestina di George Habbash.
Tra questi documenti ci sono una serie di appunti, attribuiti a “Carlos”, che farebbero pensare a contatti tra il suo gruppo e le Br. Ci sarebbero infatti alcune lettere, sequestrate in Ungheria, in cui Carlos farebbe richiesta di armi ai palestinesi, armi che poi sarebbero dovute transitare dall'Italia - e forse proprio da Bologna - anche grazie all'appoggio di brigatisti.
Purtroppo il pm Giovagnoli ha già messo le mani avanti, facendo sapere che dalle carte che la procura di Bologna si farà mandare è esclusa ogni possibilità di attività terroristiche svolte in Italia da parte del gruppo di “Carlos”. Come dire: non illudetevi, la strage di Bologna è fascista e tale deve assolutamente rimanere. Alla faccia della ricerca della verità.
In ogni caso va ricordato che delle cinque persone che il pm Giovagnoli doveva interrogare a Berlino, l'unico a rispondere è stato Rudolf Gunther Schindler. Secondo il quale nelle Cellule Rivoluzionarie tedesche sarebbero esistite due anime, una di respiro nazionale e una internazionale. Quella nazionale, ha detto Schindler, si occupava esclusivamente di organizzare attentati terroristici locali. Quella internazionale, invece, lavorava effettivamente insieme a “Carlos” (anche questa circostanza sempre negata dagli inquirenti bolognesi) , ma, ha detto Schindler, lui se ne teneva lontano perché all'interno del gruppo ci sarebbero state infiltrazioni dei servizi segreti.

STRAGE DI BRESCIA:
DAL 25 NOVEMBRE PROCESSO IN ASSISE  

Nuovo processo per la strage di piazza della Loggia a Brescia che il 28 maggio 1974 provocò otto morti e 108 feriti.
Il Gup Lorenzo Benini, al termine dell'udienza preliminare ha rinviato a giudizio sei imputati accusati di concorso nella strage. Il 25 novembre prossimo la corte d'Assise sarà chiamata a pronunciarsi sull'innocenza o colpevolezza di Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Pino Rauti, il generale dei carabinieri in pensione Francesco Delfino e Giovanni Maifredi.
Fino ad oggi le tre inchieste aperte non hanno consentito di individuare alcun colpevole.
Complessivamente sono state emesse, nei tre gradi di giudizio, 10 sentenze e un'ordinanza-sentenza.
La quarta inchiesta sulla strage ha preso il via da una serie di dichiarazioni che nel 1993 rilasciò Donatella Di Rosa. Da allora le indagini portarono all'iscrizione nel registro degli indagati della Procura di Brescia di una ventina di persone.
La richiesta di rinvio a giudizio venne poi formulata dalla procura per dieci imputati. Per sei di loro l’accusa era di concorso in strage, in altri tre di favoreggiamento di Delfo Zorzi e in uno di riciclaggio. La posizione di questi ultimi quattro imputati è stata però stralciata poiché il gup ha ritenuto fondata l'eccezione d'incompetenza territoriale nei confronti di Martino Siciliano, degli avvocati Gaetano Pecorella e Fausto Maniaci, tutti accusati di favoreggiamento, e di Vittorio Poggi, che invece deve rispondere di riciclaggio. Gli atti relativi alle loro posizioni sono stati trasmessi alla Procura di Milano.
Tra gli imputati molto difficilmente sarà presente l'ex ordinovista Delfo Zorzi, già assolto per la strage di piazza Fontana, che vive in Giappone, nei cui confronti pende una richiesta d'estradizione.
L’ennesimo processo di Brescia parte con un grave handicap che riguarda la scarsa attendibilità di Carlo Digilio, anch'egli indagato, morto tre anni fa, la cui deposizione a Milano per il processo sulla strage di piazza Fontana non ritenuta credibile è stata all’origine dell’assoluzione di tutti gli imputati. Purtroppo le dichiarazioni di Digilio sono fondamentali anche a Brescia. E adesso anche per questo ennesimo processo sulla strage di Brescia si teme un altro flop.

STRAGISMO IN ITALIA:
SCENA MUTA DEGLI UNIVERSITARI DI TORINO  

Cosa è stata la strage dell'Italicus? E quella di piazza della Loggia? E chi era l'agente Lorenzo Cutugno?
Di fronte a queste domande una trentina di studenti universitari, a Torino, ha fatto scena muta. E’ accaduto il 9 maggio scorso ad una cerimonia promossa da Comune e Università nel trentennale dell'uccisione di Aldo Moro.
A sondare le conoscenze dei giovani sugli anni di piombo è stato Giuseppe Castronovo, presidente del consiglio comunale di Torino, all'epoca studente in scienze politiche e operaio della Fiat. Castronovo ha citato la strage del treno Roma-Monaco di Baviera, l'attentato del maggio '74 nella piazza di Brescia, l'assassinio dell'agente di custodia avvenuto nel '78 a Torino. E ha chiesto “Chi sa di cosa parlo, alzi la mano”. Ma nessuno l'ha fatto. “Spero - ha commentato il presidente del consiglio di Torino - che abbiate avuto paura di mostrarvi secchioni, ma temo che il vuoto di memoria dei giovani sia ancora più grave di quanto temessi”.

'NDRANGHETA:
DAL 1999 +667% DI OMICIDI MAFIOSI IN CALABRIA  

Gli omicidi mafiosi in Calabria hanno subito, dal 1999, un incremento del 667%. E' quanto emerge dal Dossier 'ndrangheta 2008 realizzato dall'Eurispes.
I dati disponibili indicano infatti, si legge nel rapporto, che nel periodo compreso tra il 1999 e il 2008, in Calabria, si sono verificati 202 omicidi per motivi di 'Ndrangheta con un incremento nel periodo considerato del 677%.
In provincia di Reggio Calabria, se ne contano 73, ovvero il 36,1% del dato complessivo regionale degli omicidi riconducibili alle guerre interne alle diverse cosche criminali. A seguire la provincia di Catanzaro, la cui quota di omicidi è pari al 24,3% del totale calabrese, dove gli omicidi legati a motivi di 'Ndrangheta sono stati ben 49, i territori provinciali di Crotone con 43 omicidi pari al 21,7% e Cosenza con 30 omicidi pari al 14,9%. Infine Vibo Valentia rispettivamente 7 omicidi (3,5%).
Approfondendo ulteriormente l'analisi e considerando l'incidenza degli omicidi per mafia sul totale degli omicidi volontari commessi, si nota che in Calabria, nel periodo considerato, oltre un omicidio su tre è ascrivibile ai tentacoli della 'Ndrangheta: su 748 omicidi volontari commessi ben 202 (pari al 27%) sono riconducibili alla criminalità organizzata calabrese.

MAFIE:
175 MLD DI EURO IL FATTURATO ANNUO  

L'ascesa della 'Ndrangheta “è un fenomeno che va inserito in un contesto più ampio: nel nostro paese, il giro d'affari delle grandi organizzazioni criminali è stimabile nell'ordine dei 175 miliardi di euro l'anno, 350 mila miliardi delle vecchie lire”.
Ad affermarlo è stato Gian Maria Fara, presidente dell'Eurispes, nella conferenza stampa di presentazione del dossier sulla mafia calabrese.
E' come se il nostro Paese - ha sottolineato Fara - avesse tre Pil diversi: quello ufficiale, attestato per il 2007 a 1.535 miliardi, quello sommerso, pari al 35% di quello ufficiale, e quello criminale: se mettiamo insieme sommerso e criminale, arriviamo ad oltre 720 miliardi di euro. Due economie separate e distinte che camminano in direzioni diverse, con il problema che l'economia criminale finisce inevitabilmente con l'inquinare l'economia sana”.
Fara lamenta “un'attenzione insufficiente da parte dei mass media, dell'opinione pubblica in generale e delle istituzioni per un fenomeno grave come quello della criminalità organizzata; contemporaneamente, c'è stata una spettacolarizzazione di notizie di cronaca meno rilevanti sul piano generale ma in grado di solleticare la morbosità di lettori e telespettatori. Parlare di mafie è complesso, difficile, impegnativo, ma bisogna farlo - ha concluso il presidente dell'Eurispes - visto che una realtà in origine locale come quella della 'Ndrangheta negli ultimi anni ha saputo assumere contorni inquietanti, anche a livello internazionale, forte di un fatturato che contribuisce a farne una sorta di stato nello stato, che da solo produce una ricchezza paragonabile a quella di due stati europei medio piccoli”.

MAFIA:
GIUDICI RESTITUISCONO BENI A FAMILIARI BOSS UCCISO  

I giudici della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo hanno restituito i beni del  boss mafioso Rosario Riccobono, per un valore di oltre dieci milioni di euro, ai familiari del capomafia ucciso con il metodo della lupara bianca il 30 novembre 1982. In questo modo, la società Magis, proprietaria di numerosi immobili è tornata ai formali intestatari: la cognata di Riccobono, Maddalena Palmeri, e i nipoti Giuseppe e Francesco Vitamia.
Per i giudici, nonostante gli intestatari di comodo, il vero proprietario è considerato colui che fu uno dei capimafia più pericolosi e sanguinari di Cosa nostra. Nonostante ciò, per una questione giuridica, lo Stato non ne può acquisire i beni.
Nel decreto di dissequestro i giudici scrivono che il bene è di provenienza illecita, acquistato o portato avanti e fatto crescere grazie a capitali mafiosi: ma la confisca è inammissibile perché, si legge nella decisione, “il procedimento per l'applicazione della misura di prevenzione personale a carico di Riccobono non è mai stato avviato”.
Il decreto di sequestro della Magis è del 26 maggio 1983. La decisione è stata adottata dai giudici presieduti da Cesare Vincenti, a latere Guglielmo Nicastro e Emilio Alparone, che hanno accolto l'istanza presentata dall'avvocato Giuseppe Di Peri, che assiste i Palmeri-Vitamia. Lo stesso legale difende pure la vedova del capocosca, Rosalia Vitamia, e la figlia Margherita Riccobono.

MAFIA (2):
8 ANNI PER SCRIVERE UNA SENTENZA.
A PROCESSO CSM GIUDICE DI GELA PINATTO  

L'ex giudice di Gela Edi Pinatto, finito sotto accusa per aver impiegato otto anni per scrivere una sentenza, un clamoroso ritardo che provocò la scarcerazione di alcuni boss del clan Madonia, verrà processato davanti al Csm.
Il 4 aprile scorso la sezione disciplinare del Csm aveva detto no alla sospensione di Pinatto, oggi pm a Milano, dalle funzioni e dallo stipendio. Sospensione che era stata chiesta a gennaio dall'allora ministro della Giustizia Clemente Mastella. Per la sezione disciplinare del Csm tuttavia questa richiesta non era più urgente perché la sentenza in questione era stata ormai depositata.
In seguito dalla Cassazione è arrivata la decisione del rinvio a giudizio del giudice e l'udienza é stata fissata davanti al Csm.
Il giudice 'ritardatario' rischia una condanna più pesante dopo altre due condanne passate riguardanti altri ritardi.
A marzo del 2006 Pinatto è stato infatti condannato per un ritardo nel deposito di nove sentenze e gli era stata inflitta una pena assai lieve: la perdita di appena sei mesi di anzianità. Altri due mesi di anzianità gli erano stati tolti a giugno del 2007 per il ritardo nel deposito di altre tre sentenze.

ERRORI GIUDIZIARI:
DUE NE AMMETTE IL PROCURATORE DI CALTANISSETTA  

Due omicidi, risalenti al 1998, completamente sfuggiti al controllo della giustizia.
Ad essere uccisi, da due “cani sciolti” della criminalità, un commerciante di Gela, Orazio Sciascio, padre di due carabinieri, che aveva osato ribellarsi a un tentativo di rapina e un minorenne, di appena 16 anni, Fortunato Belladonna, dedito più che altro al furto di motorini, sospettato di essere l'autore del delitto del commerciante. Ora è la stessa procura di Caltanissetta che chiede la revisione del processo.
Un errore giudiziario, come hanno ammesso il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari e il sostituto procuratore della Dda Antonino Patti, con due persone condannate con pena definitiva all'ergastolo, estranei però ai due omicidi. Per quei due omicidi vennero condannati all'ergastolo con pena definitiva, un collaborante di giustizia, Rosario Trubia e Felice Marco Eros Turco. Entrambi sono in galera, ma sono stati riconosciuti estranei ai fatti.
Il commerciante, ucciso all'interno del suo negozio, che si trovava a due passi dall'abitazione del boss Daniele Emmanuello, venne ammazzato - secondo le rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia - da Salvatore Collura e Salvatore Rinella, entrambi di 29 anni, considerati due “cani sciolti”, senza che Cosa nostra ne fosse a conoscenza. Nel momento in cui il numero uno di Cosa nostra di Gela, Daniele Emmanuello chiese spiegazioni ai suoi uomini, si ritenne che ad uccidere il commerciante fosse stato Fortunato Belladonna, all'epoca sedicenne. Scattò quindi la spedizione punitiva anche per lui. Il ragazzino, venne sequestrato, interrogato e poi atrocemente strangolato con un panno di daino infilato nella gola.
In tutto sono state emesse quattro ordinanze di custodia cautelare nei confronti oltre che di Collura e di Rinelli, anche nei confronti di Massimo Billizzi, 33 anni e Gianluca Gammino, di 34.
Tre dei quattro indagati sono stati raggiunti dall'ordinanza di custodia cautelare erano già in carcere. Arrestato poco dopo nella sua abitazione di Gela, Salvatore Collura. Ad emettere le ordinanze il Gip del Tribunale di Caltanissetta, Ottavio Sferlazza, su richiesta del procuratore Sergio Lari, del procuratore aggiunto Renato Di Natale e del sostituto Antonino Patti.

OMICIDIO AGOSTINO:
19 ANNI DOPO INDAGATO UN POLIZIOTTO  

Un poliziotto in pensione, Guido Paolilli, è indagato nell'ambito dell'inchiesta per l'omicidio dell'agente Antonino Agostino e della moglie, che era incinta, avvenuto il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini, nel palermitano.
Paolilli, che oggi vive a Montesilvano (Pescara), indagò sul duplice omicidio ed è accusato di favoreggiamento aggravato e continuato: avrebbe depistato le indagini e favorito la mafia. Del caso si occupano i pm di Palermo Domenico Gozzo e Nino Di Matteo.
La casa di Paolilli è stata perquisita alla ricerca di documenti che lo stesso indagato avrebbe detto (al padre dell'agente e in una relazione ai suoi superiori) di aver trovato nell'abitazione di Agostino dopo l'omicidio. Di quei fogli non vi sarebbe traccia negli atti dell'inchiesta.
Agostino era un agente del commissariato San Lorenzo, ma un suo collega rivelò ai magistrati che avrebbe lavorato anche con i servizi segreti per la cattura di latitanti mafiosi. I Servizi hanno sempre smentito.
L'uccisione dell' agente Agostino e' stata più volte collegata alla scomparsa per lupara bianca, nel marzo 1990, dell' ex agente di polizia Emanuele Piazza, 30 anni, che davvero collaborava col Sisde. 

CASO CONTRADA:
PER LA REVISIONE DEL PROCESSO
UDIENZA IN CASSAZIONE IL 7 O TTOBRE PROSSIMO  

Si terrà il prossimo 7 ottobre davanti alla quinta sezione penale della Cassazione, l'udienza del ricorso presentato dai legali di Bruno Contrada contro la decisione della prima Corte d'appello di Caltanissetta di rigettare sia la richiesta di sospensione della pena per gravi motivi di salute nei suoi confronti, sia la revisione del processo a conclusione del quale il superpoliziotto era stato condannato a 10 anni di reclusione per concorso esterno all'associazione mafiosa.
I due ricorsi saranno discussi nella stessa udienza dall’avv. Giuseppe Lipera.
Bruno Contrada è detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere.

CASO DE MAURO:
IL GIORNALISTA INDAGAVA
SULLE ESATTORIE DEI CUGINI SALVO  

Pochi giorni prima di essere rapito,il giornalista palermitano Mauro De Mauro cercò di parlare con l'ex presidente della Regione siciliana, Giuseppe Alessi, oggi ultracentenario, per riferirgli un fatto “di estrema gravità e molto delicato”.
A riferirlo, è stato Alberto Alessi, figlio del senatore democristiano, ascoltato nel processo per il sequestro e il successivo omicidio del cronista del quotidiano L'Ora, scomparso il 16 settembre 1970.
Alessi, che era già stato sentito durante le indagini, tra il 1973 e il 1974, è stato chiamato a deporre in aula su decisione della Corte d'Assise. “Io - ha detto il teste - spiegai a De Mauro che mio padre si trovava in quei giorni d'estate del '70 a Bruxelles o a Strasburgo, dato che era parlamentare europeo. Gli dissi che se voleva poteva parlare con me e che io poi avrei riferito a mio padre, ma lui non ne volle sapere e preferì rinviare. Addirittura mi disse che aveva pensato di raggiungere mio padre all'estero. Per quel che ne so, l'incontro poi non si tenne”.
Secondo quanto finora emerso dal processo, Mauro De Mauro, pochi giorni prima del colloquio con Alberto Alessi, era andato alla cancelleria fallimentare del Tribunale di
Palermo e aveva esaminato gli atti riguardanti la società Sigert, ossia la Società di gestione esattori ricevitorie imposte e tesorerie, nata nel dicembre del 1956 per la gestione delle esattorie siciliane a Bagheria e nelle province di Ragusa, Messina e Caltanissetta, di cui era presidente Francesco Cambria e segretario Antonino Salvo. Una volta uscito da lì, aveva fatto riferimento a scoperte gravissime da portare a conoscenza di Alessi, che, nella sua carriera parlamentare si era occupato della stessa società, facendo delle denunce circa presunte irregolarità che sarebbero state commesse dagli amministratori.

CASO MORO:
SECONDO IL GIUDICE SALVINI
SERVE UNA COMMISSIONE INDIPENDENTE D’INCHIESTA  

Il caso Moro è stato ricostruito nel dettaglio per quanto riguarda i componenti e “la gestione interamente delle Brigate Rosse” e per quanto riguarda il sequestro e l'uccisione del presidente della Dc. Non così, invece, per il “balletto” del ritrovamento dei memoriali dello statista ucciso, le cui copie furono recuperate in varie occasioni e di cui non si trovarono mai gli originali. Per ricostruire questi aspetti oscuri sarebbe utile una “commissione di storici e giuristi indipendenti”.
E' l'opinione del gip di Milano Guido Salvini che si è occupato delle cosiddette nuove BR del Partito Comunista politico-militare, per il quale è in corso un processo a Milano.

CASO MORO (2):
COSSIGA NON PARTECIPA
ALLA COMMEMORAZIONE DEL PRESIDENTE DELLA DC  

Era mio dovere non essere presente alla solenne celebrazione in Senato per l'anniversario dell'uccisione di Aldo Moro”.
E’ quanto ha deciso il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga - ministro dell’Interno nei 55 giorni del caso Moro - spiegando che la sua assenza è dovuta “al rispetto che a motivo di lui si deve alla sua famiglia. Famiglia che non avrebbe certo avuto piacere di vedere in quell'Aula quello che considera uno degli assassini del congiunto e che, come ha scritto il figlio Giovanni in un recente libro, è stato ricompensato con la presidenza del Consiglio, poi con quella del Senato e infine con quella della Repubblica per aver fatto morire il padre”.
Una volta tanto Cossiga ha mostrato, almeno, buongusto e senso dell’opportunità.

TERRORISMO ITALIANO:
OMICIDIO CONTI.
PERQUISITE LE CELLE DI BRIGATISTI  

Le celle di Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi e Simone Boccaccini, componenti delle Nuove Brigate Rosse, sono state perquisite dagli agenti della digos di Firenze nell'ambito dell'inchiesta sull'omicidio dell'ex sindaco Lando Conti, ucciso dalle Br-Pcc  il 10 febbraio del 1986 a Firenze.
Le perquisizioni sono avvenute nelle carceri dell'Aquila, di Catanzaro e Terni dove i tre sono detenuti per gli omicidi D'Antona e Biagi. Gli investigatori sono alla ricerca di informazioni su mandanti e componenti del commando che uccise Conti, rimasti nell'ombra, e sul nascondiglio delle armi usate dalle Brigate Rosse.
Per l'omicidio dell'ex sindaco di Firenze sono stati condannati all'ergastolo Michele Mazzei, Fabio Ravalli e Maria Cappello, mentre 30 anni di reclusione sono stati inflitti a Marco Venturini.

TERRORISMO ITALIANO (2):
LA FRANCIA CONCEDE
L’ESTRADIZIONE DI MARINA PETRELLA  

Il primo ministro francese Francois Fillon ha firmato il decreto di estradizione in Italia di Marina Petrella anche se, alla luce del ricorso al Consiglio di Stato, l’ex brigatista non può essere ancora consegnata a Roma.
La Petrella, 54 anni, arrestata lo scorso 21 agosto in Francia, è una dei dodici ex brigatisti su cui Parigi deve decidere se accogliere o meno la richiesta di estradizione della giustizia italiana.
54 anni, impiegata come segretaria nell'istituto scolastico Bruno Buozzi, la Petrella era entrata nelle Br nel 1976 e nei sei anni successivi partecipa alle azioni dell'organizzazione terroristica. Imputata nel processo Moro-ter, viene scarcerata per decorrenza dei termini prima della condanna all'ergastolo emessa il 6 marzo '92 dalla corte d'assise di Roma: la giuria la riconosce colpevole dell'omicidio di un agente di polizia, di tentato sequestro e tentato omicidio, di sequestro ai danni del magistrato D’Urso, di rapina a mano armata e di vari attentati.
Il 10 maggio del '93, quando la condanna diventa definitiva, la donna è già latitante in Francia, dove per anni gli ex terroristi sfuggiti al carcere troveranno riparo all'ombra della cosiddetta “dottrina Mitterrand”.
Nel giugno 2003, il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, e il suo collega transalpino Dominque Perben concordano però un giro di vite contro gli ex br riparati in Francia: per 12 di loro, Petrella compresa, la magistratura italiana tre anni più tardi chiede ufficialmente l'estradizione.
Sposata in carcere con il brigatista Luigi Novelli, una figlia di 10 anni nata dalla relazione avuta con un algerino, Marina Petrella cade nella rete della polizia francese il 21 agosto di quest'anno ad Argenteuil, nel dipartimento della Val d'Oise: a tradirla, alla vigilia del compleanno, un controllo stradale.

GLADIO:
ANCHE LADRI DI MATERIALE?  

All'inizio degli anni Sessanta una rete italiana che faceva capo a Gladio rubava materiale tecnologicamente avanzato dalle basi Usa in Spagna e lo rivendeva alla Cecoslovacchia e da qui alla Russia. Un traffico gestito anche grazie all'aereo Dakota C47, nome in codice “Argo 16”, che serviva a portare in giro per l'Italia i gladiatori della rete Stay behind italiana e che misteriosamente precipitò con quattro uomini a bordo.
E’ una vicenda rivelata dalla giornalista Mary Pace, amica di Guido Giannettini, l'informatore del Sid processato e assolto per la strage di Piazza Fontana, nel volume “Piazza Fontana: L'inchiesta: parla  Giannettini”.
Dalla Spagna, tramite l'aereo italiano, il materiale veniva portato a Latina. Quei voli non subivano alcun controllo di tipo doganale. Latina era la “piazzaforte” di Renzo Rocca, il colonnello che gestiva l'ufficio Rei del servizio segreto incaricato di occuparsi dei fondi per l'addestramento di Gladio.
Sia in Spagna che in Italia - rivela il libro - ci si giovava di una struttura denominata “organizzazione Rex” (ma l'ingegner Zanussi, titolare della ditta, ignorava questi traffici). Il tutto serviva per equipaggiare Gladio ed “elargire cifre esose ai politici”. Ad un certo momento si smise di utilizzare i camion della Rex e si passò ad utilizzare i carri ferroviari che partivano dall'Italia per costruire una fabbrica della Fiat a Togliattigrad. Rocca si dimise dal servizio nel '67 e  cominciò a lavorare per la Fiat. Allo staff della Rex la scelta di Rocca non era piaciuta perché arrecava un grave danno. A pagare fu l’ignaro Zanussi - scrive Mary Pace nel libro - il cui aereo personale, sostituito, venne sabotato. E cadde il 18 giugno del 1968.
Subito dopo la morte di Zanussi, Rocca interrogò a lungo Rinaldi, che faceva parte della rete e che era una spia assoldata dal servizio militare sovietico. L'incontro Rocca-Rinaldi “non risultò mai in nessun registro, in nessun dossier. In quella occasione i due fecero un patto. Rocca lo interrogò per 12 ore filate raccogliendo molti nomi. Dopo un po' di tempo Rinaldi si accorse che alcune persone di cui aveva parlato erano morte o scomparse”.
A gestire in Spagna questo traffico erano, oltre a Rinaldi, tre personaggi che Mary Pace indica in Suner, Skorzeny e Cantos, colonnello della Guardia Civil spagnola. Pochi giorni dopo la morte di Zanussi, il 27 giugno '68, sarà lo stesso Rocca a pagare con la vita l'aver “dirottato” il traffico da una direttrice all'altra: il colonnello venne condannato a morte sia dagli spagnoli che dagli italiani. E venne trovato “suicidato” nel suo ufficio a Roma.
A Giannettini si chiese di eseguire l'omicidio ma lui si rifiutò. Entrò nell'ufficio di Rocca quando ancora chi lo aveva ucciso era nella stanza. Giannettini prese carte e documenti e scappò velocemente verso Forte Braschi, la sede del Sid, l’allora servizio segreto militare italiano. Chi aveva ucciso Rocca aveva intimato a Giannettini di non parlare se non voleva fare la stessa fine.
Il libro rivela anche che nell'83 e nell'87 Guido Giannettini, ridotto in Italia a scrivere negli ultimi anni della sua vita le ricette di cucina per i giornali della catena Ciarrapico, venne ingaggiato dai servizi segreti inglesi per risolvere un delicato caso riguardante l'uccisione di 31 scienziati inglesi che stavano lavorando allo sviluppo dello scudo spaziale.

CASO ALPI-HROVATIN:
NUOVI ESAMI SU TRACCE DI SANGUE  

Un esame delle tracce di sangue  trovate sulla Toyota a bordo della quale erano Ilaria Alpi e Miran Horvatin, uccisi a Mogadiscio il 20 marzo del 1994, è stato disposto dal procuratore aggiunto di Roma Franco Ionta.
Il magistrato, dopo la riapertura dell'indagine, ha nominato due periti che dovranno ricavare dalle tracce di sangue il Dna per confrontarlo con quello ricavato da un campione di saliva dei genitori di Ilaria Alpi. L'esame è necessario per stabilire che sulla Toyota ci fossero effettivamente la giornalista del Tg3 ed il suo operatore.
Dalle analisi effettuate fino ad ora, dalla Commissione parlamentare di inchiesta presieduta da Carlo Taormina, che acquistò in Somalia l'auto, era emerso che nel fuoristrada c'erano un uomo e una donna.
Nel dicembre scorso il gip del Tribunale di Roma, Emanuele Cersosimo, aveva respinto la richiesta di archiviazione avanzata dalla procura di Roma. Secondo il gip, da un'analisi complessiva degli elementi indiziari fino ad oggi raccolti dagli inquirenti “la ricostruzione della vicenda più probabile e ragionevole appare essere quella dell'omicidio su commissione”.

DELITTO DI COGNE:
FRA MENO DI CINQUE ANNI LA FRANZONI E’ LIBERA  

I conti sulla detenzione di Annamaria Franzoni sono presto fatti. La sua condanna in Cassazione è stata a 16 anni di detenzione (conferma della sentenza d’Appello). A questi vanno sottratti i 18 giorni che la Franzoni ha già scontato dopo l’arresto del marzo 2002 più i tre anni dell’indulto. E siamo a 12 anni, 11 mesi e 12 giorni.
In caso di buona condotta ogni detenuto ha diritto ad un ulteriore sconto di pena pari a 45 giorni ogni sei mesi di detenzione scontati. In questo modo si arriverebbe a 8 anni, 11 mesi e 12 giorni. Ma la buona condotta in carcere, sulla base della legge Gozzini, quando sia stata scontata la metà della pena, fa scattare altri benefici come il lavoro esterno ed i permessi premio, fino alla semilibertà ed al lavoro esterno.
Su Annamaria Franzoni pendono però ancora le accuse del processo Cogne bis. Ma se tutto dovesse andare per il meglio, fra un massimo di meno di cinque anni, l’assassina del piccolo Samuele potrebbe tornare a casa nei fine settimana e lavorare fuori dal carcere durante il giorno per tornarci solo a dormire.

DELITTO DI COGNE (2):
L’ INCHIESTA BIS  

La decisione della Cassazione di confermare la condanna di Annamaria Franzoni per l’omicidio del figlio Samuele avrà effetto anche su un secondo filone di indagine legato alla vicenda, quello chiamato “Cogne-Bis”.
La procura di Torino, infatti, deve decidere la sorte degli undici indagati, tra cui spicca, accanto alla Franzoni, il suo ex difensore, l'avvocato Carlo Taormina. Ma è la donna a rischiare di più. Per lei è in arrivo una richiesta di rinvio a giudizio per calunnia nei confronti di un valdostano, Ulisse Guichardaz.
Il fascicolo si riferisce a un presunto tentativo di inquinare la scena del delitto: il 31 luglio 2004 un gruppo di consulenti di Taormina (italiani e svizzeri) fece un sopralluogo nella villetta di Cogne in cui due anni prima era stato ucciso il bambino. Trovarono tracce che, qualche giorno dopo, portarono a una denuncia che adombrava il coinvolgimento di Guichardaz. Una denuncia-boomerang, perché le indagini portarono gli inquirenti a sospettare una manipolazione delle prove: da qui l'apertura di un procedimento per calunnia e frode processuale.
I periti del gip, Pier Giorgio Grosso, (compresi degli esperti dell'Fbi) dissero che in alcune delle trentacinque macchie rilevate dalla squadra di Taormina c'era dell'idrossiapatite, sostanza difficilissima da reperire in natura: questo portava a pensare che qualcuno avesse seminato delle macchie per simulare la fuga dell'assassino. Ma questa versione è stata smontata dal medico legale Carlo Torre: è stato lui a dimostrare che, quasi certamente, si trattava di semplici escrementi di cane.
Per il team di Taormina si allontana l'ombra di avere cercato di depistare le indagini: a carico della Franzoni, in caso di colpevolezza, resterebbe però l'accusa di avere indicato come omicida del figlio l'innocente Guichardaz.

DELITTO DI GARLASCO:
ESAMI CAPELLI,
QUELLO CON BULBO E' DI CHIARA  

E' di Chiara Poggi uno dei sette capelli che la giovane stringeva nella mano destra quando lo scorso 13 agosto venne trovata morta nella sua villetta di Garlasco.
E' questo l'esito degli esami dell'unico capello con il bulbo della ciocca che la ragazza stringeva in un pugno.
Le analisi, disposte dal pm Rosa Muscio, titolare delle indagini sull'omicidio, sono state effettuate alla presenza dei consulenti delle parti da due biologi dell'Università di Pavia e riguardano in realtà 36 capelli: sette prelevati dalla mano di Chiara in sede autoptica (dei quali uno con il bulbo e quattro con residui di bulbo) e gli altri 32 spezzati e rinvenuti (eccetto due) sulla scena del crimine.
Dopo gli esiti sull'unico capello con il bulbo il cui Dna è risultato compatibile con quello della vittima, nei prossimi giorni cominceranno gli esami mitocondriali sui capelli spezzati per identificare a chi siano appartenuti.

DELITTO DI PERUGIA:
SECONDO IL GIORNALE DELL’UMBRIA
C’E’ UN ALTRO UOMO  

La mattina del 2 novembre scorso, quando ancora non era stato scoperto il cadavere di Meredith Kercher, un uomo sui 30 anni, con i vestiti e le scarpe sporche di sangue, si aggirava vicino alla abitazione della studentessa inglese uccisa gridando “L’ho ammazzata, l’ho ammazzata”.
E' quanto ha scritto il 24 maggio scorso Il Giornale dell' Umbria, secondo il quale questo giovane, che non è tra le persone indagate per l’omicidio, è stato visto quella mattina da diverse persone.
Si tratta di un tossicodipendente che è stato anche ricoverato in una comunità di recupero e che - scrive ancora il giornale - non sarebbe mai stato sentito dagli inquirenti. “Ne conosciamo nome e cognome che - è detto ancora nell’articolo - ovviamente comunicheremo subito agli inquirenti”.
Ma gli inquirenti, convinti di avere per le mani gli assassini della giovane, hanno fatto per ora spallucce.

DELITTO DI PERUGIA (2):
NON HA COMMESSO IL FATTO,
PROSCIOLTO LUMUMBA  

Aveva passato due settimane in carcere, ma ora Patrick Lumumba Diya esce dall'inchiesta sull'omicidio di Meredith Kercher. Il gip di Perugia ha infatti archiviato il procedimento a suo carico, con la formula “per non avere commesso il fatto”.
Per Lumumba finisce così un incubo che lo aveva visto sbattere in prima pagina dal pm Mignini come il mostro di Perugia.
L’inchiesta nei suoi confronti è stata archiviata dal gip Claudia Matteini Mignini alla fine è stato costretto ad ammettere, davanti all’evidenza, che non c'è nulla che colleghi Lumumba al delitto avvenuto nel casolare di via della Pergola la notte tra il primo e 2 novembre. Nemmeno le dichiarazioni di Amanda Knox, che “nonostante i ricordi confusi” dall'uso dell'hascisc riferì agli inquirenti che era stato proprio Patrick a uccidere Meredith dopo essersi appartato in camera sua.
Secondo Mignini la testimonianza di Amanda era finalizzata a sviare i sospetti da Raffaele Sollecito e da Rudy Guede.
Il magistrato perugino ritiene invece “ormai assodato” che la Knox, Guede e Sollecito fossero sulla scena del delitto e per loro la chiusura dell'inchiesta sembra ormai prossima.
Nel decreto di archiviazione, il gip ha sostenuto che quando venne emessa l'ordinanza di custodia per Lumumba c'erano “tutti i presupposti di legge” per il carcere. Ma Lumumba aveva un alibi di ferro. Non è buona norma, prima di arrestare qualcuno, verificare il suo alibi? Secondo “tutti i presupposti di legge”, invece, il pm Mignini fece il contrario.
Oggi sappiamo - ma era possibile saperlo subito - che Lumumba era nel pub che gestisce a Perugia mentre Meredith veniva uccisa. D’altronde, “sul luogo del delitto non c'era traccia alcuna di Patrick”, come ha sottolineato l’avv. Pacelli, il quale ha definito “calunniose e mendaci” le dichiarazioni della Knox (per lei potrebbe essere ora avviato d'ufficio un procedimento per calunnia).

MASSACRO DEL CIRCEO:
TORNA IN LIBERTA’ GIANNI GUIDO  

Torna libero uno dei killer del massacro del Circeo, Gianni Guido, condannato a 30 anni per aver ucciso, insieme agli amici-camerati Angelo Izzo e Andrea Ghira, Rosaria Lopez e aver ridotto in fin di vita la sua amica Donatella Colasanti.
A oltre 30 anni di distanza si torna a parlare, ancora una volta, del massacro avvenuto sul litorale di Latina, il 30 settembre 1975. Quella sera, in una villa del Circeo, Gianni Guido, 19 anni, Angelo Izzo, 20 anni, e Andrea Ghira, 22 anni, picchiano, violentano e annegano una studentessa di 19anni, Rosaria Lopez, e riducono in fin di vita una sua amica di appena 17 anni, Donatella Colasanti, che riesce a salvarsi solo facendosi
credere morta dai tre massacratori. Proprio credendola morta, infatti, Izzo, Guido e Ghira la chiudono con la Lopez nel bagagliaio della loro auto, una Fiat 127. Sarà la Colasanti a raccontare i dettagli di quelle 36 ore di terrore.
Angelo Izzo e Gianni Guido, arrestati la notte stessa del massacro, vengono condannati all'ergastolo in primo grado, pena che per Guido si riduce in appello a 30 anni, prima che lo stesso evada dal carcere di Volterra per riparare all’estero dove sarà nuovamente catturato. Condanna all'ergastolo anche per Andrea Ghira, che, invece, è rimasto latitante fino alla sua morte.
Il capitolo oscuro del massacro del Circeo si riapre per ben due volte nel corso del 2005. E' il 30 aprile del 2005 quando due corpi vengono trovati parzialmente sepolti all'interno del giardino di una villetta a Campobasso. Si tratta dei cadaveri di madre e figlia, Maria Carmela Limucciano e Valentina Maiorano, rispettivamente moglie e figlia di Giovanni Maiorano, esponente della Sacra Corona Unita. Ad ucciderle è stato Angelo Izzo, divenuto amico del boss in carcere a Palermo, che si trova in libertà perché avventatamente considerato da diverse procure - ed in particolare da quella di Bologna e dal pm Libero Mancuso - un “pentito” affidabile e credibile, mentre Izzo è solo un bugiardo millantatore.
Dall'11 aprile scorso Gianni Guido è affidato ai servizi sociali e quindi non è più un detenuto. Dopo il lavoro non deve tornare in carcere. La sera rientra nella casa dei genitori (a due passi dalla Nomentana).
Secondo il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap) finirà di pagare del tutto il suo conto con la giustizia tra poco più di un anno, nell'agosto 2009.

MASSACRO FAMIGLIA CARRETTA:
FERDINANDO EREDITA LA CASA
DOVE STERMINO’ LA FAMIGLIA  

Come anticipato nella scorsa Newsletter, Ferdinando Carretta, il parmigiano che nell'agosto del 1989 uccise padre, madre e fratello ma che nel '99 fu assolto perché incapace di intendere e di volere e tornò libero dopo un periodo trascorso in ospedale psichiatrico e in comunità, ha ottenuto in eredità proprio la casa dove commise la strage.
Carretta ha trovato un accordo con le zie, chiudendo così la causa civile che si era innescata proprio a proposito dell'eredità della famiglia Carretta. Una conclusione che, al di là del paradosso evidente, corrisponde a ciò che prevede la legge: è vero che l'uomo uccise i suoi familiari, ma in quanto ritenuto incapace di intendere e di volere al momento del triplice omicidio non è stato condannato. E così non ha perso il diritto civile all'eredità dei familiari, che nel frattempo sembrava destinata alle zie.
Carretta venne individuato a Londra da un giornalista della trasmissione televisiva Chi l’ha visto?” e poi arrestato dalla polizia. Ammise le proprie responsabilità e indicò in una cava della provincia di Parma il luogo della sepoltura dei familiari. Ma i corpi, nonostante minuziose ricerche, non sono stati mai trovati.

UNABOMBER DEL TRIVENETO:
PER LA MANOMISSIONE DEL LAMIERINO
UDIENZA IL 30 GIUGNO  

E' stata fissata per il 30 giugno dal Gup di Venezia Stefano Manduzio l'udienza nella quale verrà deciso se rinviare a giudizio o archiviare la posizione di Ezio Zernar, il poliziotto del Lic di Venezia specialista di balistica.
Zernar è indagato per la manomissione del lamierino trovato intatto in un ordigno attribuito ad Unabomber in una chiesa del Veneto. Proprio il piccolo rettangolo di metallo era diventato - prima che si scoprisse la manomissione - la prova principale a carico di Elvo Zornitta, l'ingegnere di Azzano Decimo (Pordenone) tuttora assurdamente indagato dal Tribunale di Trieste.
Il procuratore capo di Venezia, Vittorio Borraccetti e la pm Emma Rizzato, che hanno indagato sull'attività di Zernar, hanno chiesto che il poliziotto venga rinviato a giudizio per le ipotesi di reato di falso, calunnia e deterioramento di corpo di reato. Nel procedimento figura, come parte lesa, Elvo Zornitta che proprio a causa del lamierino ha dovuto sottoporsi a un lungo iter giudiziario.
A Trieste il procuratore distrettuale antimafia Nicola Maria Pace ha assegnato il procedimento relativo agli attentati attribuiti a Unabomber al sostituto procuratore Federico Frezza.

MORTE GABRIELE SANDRI:
SCONTRI A ROMA. 4 CONDANNE.
CROLLA IL TEOREMA SUL TERRORISMO  

Nessun riconoscimento dell’aggravante di terrorismo, ma condanne a pene varianti da cinque a due anni di reclusione sono state inflitte a tifosi di Lazio e Roma accusati di aver preso parte agli incidenti avvenuti nella capitale l'11 novembre scorso, e tra questi gli assalti a due caserme della polizia, dopo la morte, nell’autogrill di Badia del Pino (Arezzo), del tifoso laziale Gabriele Sandri.
La sentenza, al termine del giudizio che si è svolto con il rito abbreviato, è stata emessa dal gup Bruno Azzolini. Le condanne sono state inflitte al laziale Saverio Candamano (cinque anni), al romanista Claudio Gugliotti (quattro anni), a Valerio Minotti e Massimo Mongale (due anni). Ai primi due, accusati di aver preso parte all'assalto alla caserma di polizia di via Guido Reni, i pm Pietro Saviotti e Caterina Caputo avevano contestato anche l'aggravante del terrorismo e per questo motivo avevano sollecitato una condanna a dieci anni di reclusione.

OMICIDIO POLIZIOTTO RACITI:
I CLAMOROSI ERRORI DEL RIS  

La metodologia utilizzata dai carabinieri del Ris di Parma sul giubbotto indossato dall'ispettore Filippo Raciti, morto il 2 febbraio del 2007 a Catania negli scontri con ultras etnei, “appare censurabile” perché “non sono state ricreate le condizioni che sussistevano al momento dell'impatto”.
Lo scrive il  Tribunale del riesame nelle motivazioni della decisione con la quale ha rigettato la richiesta di scarcerazione del secondo indagato per il delitto, Daniele Natale Micale, di 21 anni.
Così la perizia del Ris torna ad essere al centro dell’inchiesta sulla morte di Raciti, dopo le motivazioni con le quali la Cassazione aveva annullato senza rinvio l'arresto di Antonino Speziale, l'altro giovane indagato per l'omicidio, spiegando che per l'Alta corte, in base agli esami del Ris, “non è possibile stabilire che il lavello sia lo strumento che ha cagionato le lesioni mortali” all'ispettore Raciti.

DIROTTAMENTI AEREI:
DIROTTATORE AFGHANO LAVORA
ALL’AEROPORTO DI LONDRA  

Nel 2000 dirottò un Boeing 727 su Stansted e insieme ad altri afghani minacciò di farlo saltare in aria se il Regno Unito non gli avesse dato asilo politico. L’assedio all’aereo durò quattro giorni fino alla resa dei dirottatori. Oggi Nazamuddin Mohammidy, 34 anni, lavora come addetto alle pulizie nei locali della British Airways a Heathrow, uno degli aeroporti di Londra.
Mohammidy, residente nel Middlesex, è stato fermato da una pattuglia della polizia presso lo scalo londinese. Gli agenti pensavano fosse un tassista abusivo, visto che passava ripetutamente davanti all'ingresso degli arrivi. Sono invece rimasti sorpresi quando hanno visto che aveva un pass come addetto delle pulizie in aeroporto.
L'uomo, che per il dirottamento fu condannato a 30 mesi di carcere nel 2002, venne poi assolto in appello, quando la corte riconobbe “la durezza del regime dei talebani” da cui era fuggito. Nel 2004 il tribunale dell'immigrazione bloccò la sua espulsione e nel 2006 tutti i dirottatori ottennero il diritto di restare in Gran Bretagna, vivendo a spese dello Stato.

ATTENTATO ANTIEBRAICO IN ARGENTINA:
RICHIESTO ARRESTO MENEM  

Un magistrato ha chiesto alla magistratura federale argentina di ordinare l'arresto dell'ex presidente Carlos Menem e di altre personalità per presunta responsabilità in “irregolarità nelle indagini” per l'attentato contro la sede dell'Associazione di mutua assistenza israelo-argentina (Amia) che il 18 luglio 1994 causò a Buenos Aires la morte di 85 persone ed il ferimento di moltissime altre.
Lo scrive l'agenzia di stampa argentina Telam.
Il pm federale Alberto Nisman ha presentato un rapporto di 120 pagine in cui sostiene che Menem diede ordine, nell'ambito delle indagini per risalire ai responsabili dell'attentato, di non percorrere la “pista siriana”.
Fra le altre persone di cui si chiede l'arresto, oltre a Menem, vi sono il fratello dell'ex presidente, Munir Menem, l'ex titolare dei servizi di informazione Side, Hugo Anzorreguy, e l'ex giudice federale Juan Galeano.
In un comunicato, Menem, la cui famiglia è di origine siriana, ha denunciato che l'iniziativa del pm Nisman è frutto dell'attività del governo della presidente Cristina Fernandez de Kirchner che “sa bene come fabbricare fumo e cortine di fumo”.
Il rapporto sarà ora trasmesso al magistrato che si occupa da anni del caso Amia, Patricio Evers, che dovrà esprimersi sull'opportunità di aprire effettivamente un fascicolo di inchiesta, e quindi deciderà se chiedere la revoca dell'immunità per Menem, che attualmente è senatore per la provincia della Rioja.
Da 14 anni, l'inchiesta sul caso Amia non ha per ora portato frutti e tempo fa la magistratura argentina ha spiccato mandati di cattura contro cinque iraniani ed un libanese, fra cui l'ex responsabile dell'intelligence di Teheran, Ali Fallahian e l'ex capo dei Pasdaran (Guardiani della Rivoluzione Islamica), Mohsen Rezaei. Il libanese è invece Imad Mughnieh, membro dell'ala militare di Hezbollah.

DOCUMENTAZIONE

DELITTO DI PERUGIA.
LE TAPPE DELL’INCHIESTA 

Una ragazza straniera uccisa, quattro fermati di diverse nazionalità, coltelli, impronte,
macchie di sangue, confusi memoriali, accuse reciproche, versioni contrastanti più volte ritrattate. E in mezzo una caterva di errori della polizia scientifica.
E questo il modo in cui è possibile riassumere il giallo di Perugia, da quasi sette mesi al centro dell'attenzione degli inquirenti locali.

Ecco le tappe principali della vicenda.

1 novembre 2007: Meredith Kercher, studentessa inglese di 22 anni, in Italia con una borsa di studio Erasmus, viene uccisa in serata con una coltellata alla gola nel proprio appartamento di Perugia. Il corpo viene trovato il 2 novembre in camera da letto, coperto da un piumone. 

6 novembre: In carcere finiscono Amanda Marie Knox, Raffaele Sollecito e Patrick Lumumba Diya. Amanda, 20 anni, americana (di Seattle), è la coinquilina di Meredith e studia all'Università per stranieri di Perugia. Sollecito, 24 anni, pugliese, laureando in ingegneria, ha da un paio di settimane una storia con Amanda. Lumumba, 38 anni, originario dell'ex Zaire, è dal 1988 vive in Umbria dove gestisce un pub in cui lavora Amanda. Musicista a tempo perso, ha una compagna polacca dalla quale ha avuto un figlio. Tutti e tre si dichiarano estranei all'omicidio. Contro Patrick ci sono le dichiarazioni di Amanda. Ma la magistratura non controlla il suo alibi prima di arrestarlo.

9 novembre: Il gip convalida i fermi. Lumumba sostiene che si trovava nel suo locale, cosa che viene confermata da un professore universitario rintracciato in Svizzera, gli altri due cambiano più volte la loro versione dei fatti.

15 novembre: Tracce del dna di Meredith e Amanda vengono rilevate su un coltello da cucina sequestrato a casa di Sollecito.

19 novembre: Rudy Hermann Guede, 21 anni, ivoriano, vissuto a lungo a Perugia dove è stato in affidamento presso una famiglia perugina e ha giocato nella squadra di basket, è ricercato per omicidio aggravato in concorso e violenza sessuale.

20 novembre: Patrick Lumumba viene rimesso in libertà, mentre Rudy è bloccato dalla polizia a Magonza, in Germania.

21 novembre: Guede, davanti al viceprocuratore generale di Coblenza, nega la violenza sessuale e l'omicidio e accusa un italiano che non conosce e che avrebbe visto fuggire.

28 novembre: Per i periti del gip, si può procedere sulla base degli atti già svolti, senza esaminare di nuovo il corpo di Mez, già trasferito in Inghilterra.

6 dicembre: Rudy viene trasferito in Italia.

Marzo 2008: A quattro mesi dall’omicidio investigatori e periti continuano a pestare acqua nel mortaio. Lo stesso fanno i periti. Si sa, ad esempio, che Meredith è stata accoltellata brutalmente. Ma, stando al medico legale Luca Lalli non è possibile definire le caratteristiche dell'arma con la quale Meredith è stata colpita.
Nella relazione depositata, il consulente del pubblico ministero sostiene che non è possibile, ad esempio, stabilire lunghezza e larghezza dell'arma.
Anche sulla causa del decesso, Lalli stabilisce che la morte di Mez è stata provocata da un meccanismo combinato, legato allo shock emorragico dovuto a una lesione alla carotide e all'asfissia indotta dall'avere inalato il suo stesso sangue. L'esame non porta alla luce traumi tali da far ipotizzare che qualcuno abbia afferrato per il collo la Kercher. E allora come si fa a sostenere, come ha da sempre fatto la procura, che il delitto sia un delitto di gruppo?
Incertezze gravi anche sull’ora della morte di Meredith. La giovane è morta non più di due o tre ore dopo aver consumato il suo ultimo pasto, cioè intorno alle 23 di quel 1° novembre? Oppure in un intervallo che va dalle 20 del 1° novembre alle 4 del giorno successivo? Insomma Meredith a che ora è morta?
Dagli esami svolti emerge che la studentessa aveva fatto quella sera un modesto uso di alcol e ha escluso la presenza di droghe o sostanze psicotrope nel sangue. Inoltre, nonostante quanto sostenuto dalla procura - che contesta agli indagati anche il reato di violenza sessuale - sul corpo della ragazza, sempre stando al medico legale, non ci traumi esterni riconducibili a violenza carnale.
Come se non bastasse per il medico legale “i dati biologici a disposizione non consentono di fornire sicure indicazioni circa la possibile dinamica dei fatti”. E non è neanche “possibile indicare” se l'aggressione a Meredith Kercher “fu perpetrata da una o più persone”. Infine non è neppure possibile “indicare con certezza la successione dei colpi né la rispettiva posizione di vittima ed aggressore”.
Tutti i dati acquisiti - scrive ancora Lalli nella sua relazione - inducono a ricomprendere la morte di Meredith Kercher nel novero delle morti violente di natura omicidiaria”.
Come dire: di certo c’è solo che Meredith è stata uccisa.

31 marzo: Polemiche dopo che Telenorba7 manda in onda immagini troppo crude del cadavere di Mez.

1 aprile: La Cassazione respinge i ricorsi presentati dagli avvocati di Amanda Knox, Raffaele Sollecito e Rudy Guede. Per tutti e tre sussistono pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato.

24 maggio: Il pm Giuliano Mignini sente la cronista del Giornale dell'Umbria, una degli autori dell'articolo che parla di un quarto uomo che sarebbe stato visto con i vestiti e le scarpe sporche di sangue vicino all'abitazione del delitto prima che il cadavere fosse scoperto. Per gli inquirenti si tratta di una ricostruzione priva di riscontri.

27 maggio: Il gip del tribunale di Perugia, Claudia Matteini, dispone l'archiviazione del procedimento penale nei confronti di Patrick Lumumba Diya.

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