DOVEVA MORIRE.
Chi ha ucciso Aldo Moro.
Il giudice dell’inchiesta racconta. 

Trent'anni dal rapimento di Aldo Moro.
Una nuova ricostruzione nel libro di
Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato.

DOVEVA MORIRE. Chi ha ucciso Aldo Moro

Con testimonianze e commenti inediti e decisivi

"Sono stato io, lo confesso, a preparare la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Aldo Moro."
Steve Pieczenik, membro del Comitato di crisi.

"Aldo Moro era politicamente morto fin dal giorno della sua prima lettera dalla prigionia. E, dal punto di vista del governo, è stato meglio che l'incidente di Moro sia finito come è finito."
Franco Ferracuti, criminologo, membro del Comitato di crisi.

"Moretti ha stabilito con qualcuno una convenienza reciproca per la gestione del sequestro e ha potuto viaggiare tranquillo per l'Italia senza che nessuno lo fermasse.
Nessuno ha avuto interesse a trovare Moro.
Io dico che c'è stata una voluta determinazione:
'Facciamo un gioco di squadra, noi fino a qui, voi fino a lì'."

Corrado Guerzoni, Atti Commissione Moro

... E allora era stata segnalata questa tipografia: si doveva andare a fare un sopralluogo, visto che si sapeva che c'erano queste cose; si doveva prendere le persone, le persone che c'erano dentro e vedere che cosa vi era di documenti.
Questa data era stata fissata pochi giorni prima che mio marito morisse; poi era stata rimandata al 9 maggio; poi ancora dopo. Perché?
Se si sospettava che c'era qualcosa, perché non mettersi alla ricerca per vedere se c'era qualche dato per cui si potesse recuperare questo poverino?

Eleonora Moro, Atti Commissione Moro

ibs

Ferdinando Imposimato è uno dei magistrati che ha maggiormente lavorato sul caso Moro. Si è occupato anche della lotta ai sequestri di persona e a terrorismo, mafia e camorra, oltre che dell'attentato al Papa. Ha lavorato per conto dell'Unione europea e dell'Onu. Parlamentare della sinistra indipendente per tre legislature, docente universitario, ha scritto per diversi quotidiani e settimanali. Attualmente è avvocato penalista.

Sandro Provvisionato, giornalista professionista, già direttore di Radio Città Futura, ha lavorato per dodici anni all'Ansa (da praticante a capo della redazione politica), per poi passare come inviato speciale al settimanale L'Europeo e diventare in seguito capo della cronaca del Tg5. Per questa testata ha lavorato anche nella redazione inchieste ed è stato conduttore del Tg della notte e inviato di guerra (Kosovo e Iraq). Dal 2000 è curatore del settimanale TERRA! di cui è anche conduttore. È il responsabile degli Speciali del Tg5. Direttore del sito www.misteriditalia.it

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RIFIUTI IN CAMPANIA:
DE GENNARO VERSO IL FALLIMENTO  

L’esperienza del supercommissario Gianni De Gennaro si avvia ad un clamoroso, quanto prevedibile, fallimento. Fin dalla presentazione del piano, nello scorso gennaio, si era intuito che il compito dell’ex capo della polizia non solo era arduo, ma puntava ad un obiettivo troppo limitato: ripulire le strade della regione dai rifiuti, cercando di trovare un luogo qualsiasi dove mettere tutti i rifiuti accumulati negli ultimi mesi. In altre parole De Gennaro non è mai sembrato l’uomo incaricato di risolvere il problema, ma solo l’uomo tappa buchi (letteralmente). Ma a quasi due mesi di distanza il “buco” non è stato predisposto, dal momento che lo stesso De Gennaro ha dovuto ammettere che le discariche indicate nel suo piano non possono essere riaperte. Un errore di pianificazione? Probabile.
Emblematico della solita disorganizzazione i casi delle discariche di Treponti a Montesarchio e di Difesa Grande vicino ad Ariano Irpino: i dati forniti dai tecnici, che offrivano piene rassicurazioni sulla staticità del terreno e sulla sua messa in sicurezza, erano in realtà del tutto inventati. Ma c’è di più: i controlli eseguiti dal genio militare hanno trovato infiltrazioni di percolato nel terreno, con rischi in aggiunta all’inquinamento generato. Come dire che le vecchie discariche sono pericolose, non riutilizzabili e, se riutilizzate, si trasformerebbero in vere e proprie bombe ecologiche.
De Gennaro è stato così costretto ad ammettere che i cittadini “avevano ragione”, scoprendo quanto aveva già affermato uno dei suoi predecessori, il direttore della Protezione civile Guido Bertolaso.

Ora mancano meno di tre mesi alla fine del mandato assegnato a De Gennaro e la ricerca di nuovi  siti deve ancora cominciare, visto che già altre due discariche sono state nel frattempo cancellate dal piano (quelle di Caserta e Villaricca, in provincia di Napoli). E l’unica soluzione sembra essere il trasferimento dei rifiuti all’estero, come dire nulla di nuovo dal momento che i rifiuti della Campania sono quotidianamente inviati nel nord Europa. Se fossero confermati i dati trapelati dalla Ecolog (una divisione delle Ferrovie Italiane impegnata nel trasporto dei rifiuti campani), per i quali ogni giorno lo Stato italiano spende circa 200mila euro per due treni che trasportano circa mille tonnellate di rifiuti, equivalente a un settimo del quantitativo prodotto quotidianamente in tutta la regione (stimato in 7200 tonnellate, dati del commissariato ai rifiuti), il costo per lo smaltimento dei rifiuti campani raggiungerebbe livelli stratosferici.

CARRIERE DI STATO:
GLI UOMINI DEL G8? TUTTI PROMOSSI  

La sequenza fotografica pubblicata sul Corriere della Sera all’indomani delle giornate del G8 di Genova del luglio 2001 è impressionante. E a pochi sarà sfuggita. Vi si vede un giovane a terra preso a calci da poliziotti in divisa che lo circondano e da altri in borghese, ma riconoscibili come appartenenti alle forse dell’ordine perché indossano il casco ed impugnano il manganello.
Per solerzia, ferocia e determinazione tra tutti si distingue però un uomo in borghese: jeans, camicia bianca e scarpe di camoscio. Sulle prime sembra essere un altro poliziotto in borghese, ma il suo ruolo nella polizia è molto più elevato: all’epoca era il numero due della Digos genovese. Il suo nome? Alessandro Perugini. E’ lui nella sequenza che sembra prendere addirittura la rincorsa per assestare i calci più violenti. Ad un manifestante - è bene ricordarlo - che è a terra, ormai inerme e preda della violenza dei suoi aggressori e che oltretutto non è un energumeno, ma un minorenne, un ragazzo di appena 16 anni.
Alessandro Perugini - che per i fatti di Genova è imputato anche per il lager di Bolzaneto (era il massimo responsabile della Polizia nella caserma delle sevizie) - per quel pestaggio, assieme ai quattro suoi sottoposti, è sotto processo a Genova con le accuse di lesioni personali aggravate, falso ideologico, calunnia, abuso d’ufficio, minacce e danneggiamenti, roba da dieci anni di reclusione. Nell’udienza del processo in cui è stato interrogato, con sommo sprezzo del ridicolo, ha avuto però il coraggio di negare ogni addebito, sostenendo di non aver colpito il giovane. Nonostante questo suo comportamento - che in entrambe le vicende, pestaggio e testimonianza al processo, non fa onore alla Polizia - Alessandro Perugini già da tempo è stato promosso vice-questore.
E’ questo tema delle promozioni ciò che nel dopo Genova 2001 più solleva indignazione. Innanzitutto perché ribadisce che il nostro è il Paese dell’impunità: a sette anni da quei fatti l’unica condanna riguarda i no global. In secondo luogo perché quelle promozioni sanciscono il diritto alla violenza e al sopruso di quelle che dovrebbero essere le forze dell’ordine.
Grazie al prezioso lavoro di Enrica Bartesaghi, del Comitato Verità e Giustizia per Genova, ora abbiamo la ricostruzione completa delle brillanti carriere dei poliziotti inquisiti per Genova. La semplice lettura dell’elenco è un colpo allo stomaco.

Fabio Ciccimarra è l’ultimo dei poliziotti imputati a Genova ad essere stato promosso. Di lui sembravano essersi dimenticati. E così il 30 dicembre dello scorso anno da vice questore aggiunto (già commissario a Napoli), Ciccimarra è diventato capo della squadra mobile di Cosenza. Eppure per i fatti di Genova, in particolare per la spedizione punitiva alla Diaz, risulta tra gli imputati, mentre a Napoli, per le violenze nella caserma Raniero (marzo 2001) deve rispondere di reati gravissimi come sequestro di persona, violenza e lesioni.
Ma nel proporvi questo elenco di promossi è bene cominciare dall’inizio, cioè da lui, Gianni De Gennaro, il capo della polizia buono per tutte le stagioni, gradito al centro-sinistra come al centro-destra, il quale - nonostante sia indagato a Genova per induzione alla false testimonianza in un procedimento correlato all’assalto dei suoi uomini alla Diaz - è diventato prima Capo di Gabinetto del ministro Amato all’Interno e poi supercommissario per le immondizie a Napoli. Se uscirà indenne dai rifiuti napoletani, De Gennaro può tranquillamente aspirare a diventare il capo del servizio segreto civile.
Ha fatto un doppio salto di carriera anche Gilberto Caldarozzi, un altro dei 29 imputati per la Diaz, che da numero due dello Sco, il servizio centrale operativo, prima ne ha assunto la direzione e poi è diventato dirigente superiore “per meriti straordinari” per aver partecipato alla cattura del boss Bernardo Provenzano.
Bella carriera (doppia) anche per Francesco Gratteri, anche lui tra gli accusati per i pestaggi alla Diaz: era direttore dello Sco è diventato prima questore di Bari ed ora è responsabile della Direzione anticrimine centrale, il Dac.
E che dire di Giovanni Luperi: il trampolino di lancio del sangue versato alla Diaz lo ha lanciato da vice direttore dell’Ucigos ad un prestigioso incarico europeo per poi farlo atterrare in un settore molto delicato: il Dipartimento analisi del nuovo servizio segreto civile.
Dalla graticola del processo per la Diaz (era il capo della Digos genovese) a vice questore vicario a Torino: anche a Spartaco Mortola non è andata affatto male. 
Salto di qualità anche per Filippo Ferri, anche lui implicato per i fatti della Diaz, che dalla guida della squadra mobile di La Spezia e passato a quella, certamente più importante, di Firenze.

Accusato di concorso in lesioni, falso e calunnia per la Diaz, Vincenzo Canterini, comandante del VII Nucleo sperimentale antisommossa del primo Reparto Mobile di Roma. A Genova è imputato anche in un altro processo con le accuse di lesioni personali aggravate e violenza privata per aver lanciato una bomboletta spray di gas urticante (assolutamente illegale) contro tre dimostranti. Per le sue gesta, Canterini è stato ampiamente ricompensato. Addirittura due volte: prima è diventato questore e ora presta servizio a Bucarest, in Romania, in un organismo internazionale: il  SECI (South East Cooperation and Investigation).

Ma, ovviamente, non hanno fatto carriera solo i poliziotti. Anche per gli agenti della polizia penitenziaria (ex agenti di custodia, secondini insomma) i premi per il lavoro svolto a Bolzaneto non sono mancati. Figurano tra i gratificati il colonnello Oronzo Doria, diventato generale, ed i capitani Ernesto Cimino e Bruno Pelliccia, entrambi promossi di grado a maggiori.

Ora si attendono le promozioni degli altri imputati delle forze dell’ordine nei processi di Genova.

CARRIERE DI STATO:
GUIDÒ IL MASSACRO A NAPOLI ADESSO È NUMERO 2 DELLA POLIZIA  

Di Anubi D'Avossa Lussurgiu

Ci sono notizie che, in Italia, non sono notizie. Il 22 scorso è stato il giorno di una di queste: la nomina del nuovo vice direttore generale della Pubblica Sicurezza con funzioni vicarie. Il nuovo numero 2 della polizia di Stato. Una nomina decisa e firmata dal ministro competente, il titolare del dicastero dell'Interno del governo Prodi dimissionario, Giuliano Amato. La nomina è avvenuta, come di prammatica, su indicazione del capo della Polizia in carica, Antonio Manganelli. Ed è avvenuta giocoforza, perché sino a quel giorno l'incarico di vicecapo vicario era stato svolto dal prefetto Luigi De Sena: nel frattempo pensionatosi, per candidarsi capolista in Calabria per il Pd alle prossime elezioni politiche. Il successore così nominato è Nicola Izzo: cinquantottenne, già capo della segreteria generale del Dipartimento di Pubblica Sicurezza dall'agosto del 2007, ossia poco dopo la nomina di Manganelli come successore (da questi suggerito e già suo vice) di Gianni De Gennaro.
Dunque, Nicola Izzo: chiamato poco meno di sei anni fa a alla carica di direttore interregionale per Lazio, Abruzzo e Sardegna, poi per Lombardia ed Emilia Romagna, quindi nel 2005 prefetto di Lodi. Ma prima? Prima del "salto" al grado prefettizio e prima ancora di quegli incarichi di "coordinamento"? Prima era stato questore, nel senso di titolare di Questure: quella di Verona, quella di Torino. Ma soprattutto e infine, sino al 2002, quella di Napoli. Lo era il 17 marzo del 2001: il giorno della prova generale della repressione del luglio successivo, al G8 di Genova .
Sarà un caso, certo. Sarà di sicuro una distrazione di tutti i media, con gli occhi comprensibilmente rivolti alla campagna elettorale. Sarà come si vuole, venerdì scorso la notizia della nomina di Nicola Izzo a nuovo vicecapo della Polizia è stata, per tutti, la tipica non notizia. Cui non dedicare un solo titolo visibile nelle pagine nazionali dei quotidiani.
Eppure, è strano. Perché di Nicola Izzo si parlò moltissimo, sei anni fa: prima che fosse trasferito dall'incarico di Questore di Napoli. Come lui stesso aveva pubblicamente invocato quale suo «maggiore desiderio». Non fu trasferito, in realtà: fu promosso, a quel vago incarico di "direzione interregionale", dall'allora governo Berlusconi. Dall'allora - e sino all'anno passato, dopo il primo anno di governo Prodi - capo della polizia: Antonio De Gennaro. Lui, Izzo, per la verità "sognava" Milano, per ricongiungersi alla famiglia: almeno questa era stata la motivazione che aveva dato pubblicamente. Nelle settimane di aprile e maggio, le più dure per lui: quando cioè la Procura di Napoli aveva indagato cento fra dirigenti e poliziotti, persino arrestandone otto. Tra i quali, appunto, due dirigenti: uno era il famoso Ciccimarra, inquisito poi anche a Genova per i fatti della scuola Diaz, la «macelleria messicana» - parola del vicecapo dei "celerini" del primo reparto mobile, Michelangelo Fournier.
L'azione della Procura napoletana era stata lanciata con una serie impressionante di reati contestati: fra i quali uno solo era il sequestro di persona, l'unico poi derubricato nelle vicissitudini dell'indagine. Gli altri, gravi reati erano l'anticipazione di quanto, precisamente, anche a Genova sarebbe stato contestato ad altri poliziotti e ben altri dirigenti: per l'irruzione-massacro della notte del 21 luglio 2001. E per le sevizie di Bolzaneto.
L'indagine napoletana era, invece, per qualcosa che aveva preceduto l'insanguinato G8 genovese. (...) Quel giorno, il 17 marzo, nell'occasione di un appuntamento "minore", al termine d'una manifestazione relativamente "piccola", la repressione si abbatté su Piazza Municipio, in un crescendo di violenza rapidissimo, appena la "testa" del variopinto corteo NoGlobal, fornita di improvvisate "autoprotezioni", inscenò un'altrettanto improvvisata "sfida", un contatto fisico, con lo schieramento di forze dell'ordine in assetto antisommossa che presidiava un'invenzione inedita: la zona proibita a "difesa" del Forum ufficiale, la "zona rossa".
Ci furono incidenti, una manciata di secondi di baruffa. Poi, fu nient'altro che una serie ininterrotta di cariche senza distinzione di manifestanti e passanti, senza risparmio di gas lagrimogeni, manganellate, costizione di "sacche" di contestatori e non massacrati sui marciapiedi, sui recinti dei cantieri intorno al Castello Angioino e poi, via via, per ore, in tutto il centro storico di Napoli. Il peggio, però, doveva ancora venire: arrivò a sera, di notte e dove nessuno avrebbe potuto crederlo possibile.
Il peggio di una repressione che annunciava quella ancora peggiore nella quale a Genova ci sarebbe anche "scappato il morto", Carlo Giuliani ucciso in Piazza Alimonda da un proiettile di Stato (deviato da un sasso metafisico, come da sentenza d'archiviazione per quell'omicidio senza giustizia), a Napoli il 17 marzo arrivò nelle sale di pronto soccorso degli ospedali. Dov'erano ricoverati tanti dei feriti nella caccia all'uomo della giornata. Erano stati 200, i feriti. E decine, un centinaio anzi, la stessa polizia andò a prenderli nei letti, nelle brandine delle corsie ospedaliere. Per tradurli nel designato «centro di raccolta» dei «fermati» perché «individuati tra i violenti» cui l'autorità pubblica addossò, sul momento, la responsabilità degli scontri. Quel centro era la caserma Raniero.
(...) Ebbene, quanto avvenuto dentro Bolzaneto e che anche i pm genovesi hanno nei giorni appena scorsi ripercorso con la loro requisitoria (altrettanto relegata a non notizia, o quasi: ben diversamente dalla "salomonica" condanna nei confronti dei manifestanti anti-G8, l'unica finora emessa), avvenne già a Napoli, in quel marzo di sette anni fa. Nella caserma Raniero fu sperimentato per intero tutto il repertorio di abusi innominabili che poi colpì l'opinione pubblica internazionale con Bolzaneto, dove vittime furono anche tante e tanti manifestanti non italiani. Nella caserma Raniero la gente "fermata" fu pestata ulteriormente, minacciata di morte, umiliata fisicamente e psicologicamente, costretta a subire intimidazioni sessuali, obbligata ad assistere a inneggiamenti al fascismo o persino ad inscenarle forzosamente. Tutto questo avvenne, nella caserma Raniero. E lo fece la forza pubblica.
Il problema è che la Questura stessa mise agli atti, in quella primavera del 2002, che operare i fermi negli ospedali e tradurre i fermati alla Raniero fu un'operazione frutto d'un ordine. D'una disposizione della Questura stessa. Sulla quale, d'altra parte, non si è mai ottenuto l'indicazione d'un responsabile ultimo. Tanto meno in sede giudiziaria. Resta, al di là anzi al di qua dell'ambito penale - e d'ogni formalità - che la Questura c'era.
E il questore era, fu Nicola Izzo. Che sei anni fa fu difeso a spada tratta, anche con l'appoggio a incredibili presidi della Questura da parte dei poliziotti "in rivolta", anche fra minacce pubbliche di morte ai pm dell'inchiesta, dalla destra: da Alleanza Nazionale. E peraltro lui stesso, Izzo, affiliato al sindacato Sap, aveva pubblicamente evidenziato la sua professione politica «di destra».
Adesso Izzo è il numero 2 della Polizia di Stato. Appunto, non è questione formale.
La domanda è un'altra: qual è l'opportunità politica d'una simile nomina? Sono forse iniziate al Viminale le prove della Grande Coalizione che tutti negano? Comunque, è una non notizia.

Fonte: Liberazione, 28 febbraio 2008

MAFIA:
CHIESTO PROCESSO PER MORI E OBINU. FAVORIRONO PROVENZANO  

Il pm di Palermo Nino Di Matteo ha chiesto al gup il rinvio a giudizio del prefetto Mario Mori e del colonnello dei carabinieri Mauro Obinu con l'accusa di aver favorito la mafia per il mancato arresto di Bernardo Provenzano nel 1995. Chiesta, invece, l'archiviazione per il colonnello dell'Arma, Michele Riccio e per il generale Antonio Subranni.
Il processo è stato chiesto per Mori e Obinu che, nell'ottobre 1995 ricoprivano rispettivamente l'incarico di vice comandante operativo del Ros dei carabinieri e di comandante del reparto criminalità organizzata del Raggruppamento.
Per gli inquirenti i due investigatori, che sono in seguito passati al servizio segreto civile, “hanno omesso di organizzare un adeguato servizio che consentisse l'arresto di Provenzano in occasione dell'incontro con il boss Luigi Ilardo, il 31 ottobre 1995 a Mezzojuso. Ciò nonostante - sottolinea il pm - la preventiva conoscenza della programmazione dell'incontro”.

Ilardo era un confidente che venne ucciso alla vigilia del suo ingresso nel programma di protezione.

DELITTO DI PERUGIA:
DI SICURO C’E’ SOLO CHE MEREDITH E’ MORTA  

Parafrasando il grande cronista Tommaso Besozzi, si potrebbe dire che l’unica certezza nel delitto di Perugia è che Meredith è stata uccisa.
A quattro mesi dall’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, avvenuto a Perugia il 1° novembre scorso, gli investigatori e i periti continuano, infatti, a pestare acqua nel mortaio. E, tanto per restare alla cronaca del tempo che fu, gli inquirenti brancolano nel buio. E si potrebbe perfino aggiungere che le indagini si svolgono a 360 gradi. Pazzesco!
Ci sarebbe da ridere, se non si trattasse di una tragedia, ma il delitto di Perugia più che un rebus sembra quello che è: un’inchiesta superficiale e approssimativa.
Procediamo con ordine, elemento per elemento.

L’ARMA DEL DELITTO: si sa che Meredith è stata accoltellata brutalmente. Ma, stando al medico legale Luca Lalli non è possibile definire le caratteristiche dell'arma con la quale Meredith è stata colpita.
Nella relazione depositata il 13 febbraio scorso, il consulente del pubblico ministero ha sostenuto che non è possibile, ad esempio, stabilire lunghezza e larghezza dell'arma. L'esperto ha quindi rilevato che il profilo tagliente non era comunque dotato di particolari asperità o grossolane seghettature.

LA CAUSA DEL DECESSO: Lalli ha stabilito che la morte di Mez venne provocata da un meccanismo combinato, legato allo shock emorragico dovuto a una lesione alla carotide e all'asfissia indotta dall'avere inalato il suo stesso sangue. L'esame non ha inoltre portato alla luce traumi tali da far ipotizzare che qualcuno abbia afferrato per il collo la Kercher. E allora come si fa a sostenere, come ha da sempre fatto la procura, che il delitto sia un delitto di gruppo?

L’ORA DEL DELITTO: Meredith morì non più di due o tre ore dopo che aveva consumato il suo ultimo pasto, cioè intorno alle 23 di quel 1° novembre. Ma ipotizza un arco di tempo più largo, in un intervallo che va dalle 20 del 1° novembre alle 4 del giorno successivo. Insomma Meredith quando è morta?

SESSO, DROGA E ALCOL: dagli esami svolti è emerso che la studentessa aveva fatto quella sera un modesto uso di alcol e ha escluso la presenza di droghe o sostanze psicotrope nel sangue. Inoltre, nonostante quanto sostenuto dalla procura - che ha contestato agli indagati anche il reato i violenza sessuale - sul corpo della ragazza, sempre stando al medico legale, non sono stati trovati traumi esterni riconducibili a violenza carnale.

MEREDITH E’ STATA AGGREDITA DA PIU’ PERSONE?: Per il medico legale “i dati biologici a disposizione non consentono di fornire sicure indicazioni circa la possibile dinamica dei fatti”. E non è neanche “possibile indicare” se l'aggressione a Meredith Kercher “fu perpetrata da una o più persone”. Infine non è neppure possibile “indicare con certezza la successione dei colpi né la rispettiva posizione di vittima ed aggressore”.
Tutti i dati acquisiti - scrive ancora Lalli nella sua relazione - inducono a ricomprendere la morte di Meredith Kercher nel novero delle morti violente di natura omicidiaria”.

Appunto, come dicevamo: di certo c’è solo che Meredith è stata uccisa.

DELITTO DI PERUGIA:
IL PRIMO APRILE LA CASSAZIONE DECIDE  

La prima sezione penale della Cassazione deciderà il prossimo primo aprile se confermare o meno la custodia cautelare in carcere per Amanda Knox, Raffaele Sollecito e Rudy Hermann Guede, indagati per concorso nell'omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, trovata morta a Perugia il 2 novembre scorso.

OMICIDIO DI GARLASCO:
PER CRIMINOLOGO BRUNO POCHI ELEMENTI CONTRO ALBERTO STASI  

Troppo poco per una condanna, forse poco persino per arrivare ad un processo”.
Lo afferma il criminologo Francesco Bruno a proposito delle accuse mosse dalla procura di Vigevano contro Alberto Stasi, 24 anni, a tuttoggi unico indagato per l'omicidio della fidanzata Chiara Poggi, la ragazza di 26 anni uccisa lo scorso 13 agosto nella sua villa di Garlasco.

Bruno, in una intervista alla Provincia Pavese, invita gli investigatori a “seguire anche altre piste, anche se ormai potrebbe essere troppo tardi per scoprire il killer. Ritengo - continua il criminologo - che non ci siano stati sviluppi clamorosi e mi sembra che gli elementi contro l'unico indagato siano pochi addirittura per ottenere un rinvio a giudizio. Ma nel caso in cui si andasse a un processo, sarà estremamente difficile dimostrare la responsabilità di Alberto Stasi

MAFIA:
IL PROCESSO NON SI FA E IL FIGLIO DI RIINA TORNA LIBERO  

Ha suscitato scandalo e polemiche la decisione della Cassazione che ha ordinato la scarcerazione del terzogenito del boss mafioso Totò Riina, Giuseppe Salvatore Riina, detenuto dal 2002 con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. Per Riina jr erano scaduti i termini di carcerazione preventiva.
Il figlio del boss era stato condannato in Appello a 8 anni e 10 mesi di carcere ed era in attesa della sentenza della Cassazione che non è arrivata entro i tempi stabiliti dalla legge. Inevitabile, quindi, la scarcerazione.

Al di là delle polemiche, il problema è sempre lo stesso: ogni imputato, di qualsiasi reato, ha diritto ad essere giudicato in tempi ragionevoli. Siccome la macchina della Giustizia continua ad essere lenta e farraginosa, il risultato è sotto gli occhi di tutti.

MORTE GABRIELE SANDRI:
LA PROCURA CONFERMA L’ACCUSA DI OMICIDIO VOLONTARIO  

Omicidio volontario. Chiuse le indagini preliminari, la procura di Arezzo ha confermato il capo di accusa per Luigi Spaccarotella, il poliziotto colpevole di aver esploso il colpo di pistola che ha ucciso il giovane tifoso laziale Gabriele Sandri, l’11 novembre scorso nell’area di un autogrill vicino ad Arezzo.
Un’accusa più che motivata anche se l’agente-Rambo continua ostinatamente a negare, nonostante le evidenze, di aver preso la mira per sparare

Contro il poliziotto, oltre alle perizie balistiche, ci sono anche numerose testimonianze oculari. Il colpo è stato orizzontale e, anche ipotizzando eventuali deviazioni i testimoni hanno parlato di braccia tese che miravano in direzione della macchina.

CASO CONTRADA:
CORTE D’APPELLO RIGETTA REVISIONE PROCESSO  

La prima Corte d’Appello di Caltanissetta ha rigettato la richiesta di revisione della condanna a 10 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa inflitta a Bruno Contrada il 25 gennaio del 2006 dalla Corte d’Appello di Palermo e confermata dalla Cassazione il 10 maggio del 2007.

CASO CONTRADA:
SECONDO LA CASSAZIONE DIFFAMAZIONE DAL REGISTA FERRARA  

Bruno Contrada, ex numero tre del Sisde, condannato definitivamente nel maggio scorso a dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, dovrà essere risarcito con 25 mila euro dal regista Giuseppe Ferrara per essere stato diffamato nel film Giovanni Falcone.
Lo ha deciso la Terza sezione civile della Cassazione che ha confermato la condanna al risarcimento nei confronti della società produttrice della pellicola che è del 1993, del regista e della cosceneggiatrice.
La Suprema Corte, riconfermando la decisione della Corte d'appello di Roma del luglio 2002, ha ritenuto che definire Contrada come “u dutturi” rappresentò una “lesione dell'identità personale”.
La vicenda nasce dalla denuncia dell'ex poliziotto a Ferrara poiché, “in occasione dell'anteprima del film riservata ai giornalisti, tra i vari personaggi solo uno di essi non era stato indicato nominativamente bensì con l'appellativo di ‘u dutturi’” ma era risultato identificabile “grazie ad una didascalia che appariva nei titoli di coda del film con il tenore: il numero tre del Sisde già capo della squadra mobile di Palermo, arrestato per concorso in associazione mafiosa”.

La Cassazione, sottolineando che il film di Giuseppe Ferrara aveva un carattere di docu-film e non di film-denuncia e che dunque andava inserito nell'ambito del diritto di cronaca e non di quello di critica, si è allineata alla decisione di merito che aveva evidenziato come “il personaggio di ‘u dutturi’ era coinvolto in una serie di fatti che lo dipingevano in senso estremamente negativo”. In particolare il film di Ferrara mostrava un attore che impersonava Contrada mentre si muoveva in via D’Amelio subito dopo la strage in cui persero la vita Paolo Borsellino e la sua scorta.

MAFIA:
COSTITUITA A PALERMO ASSOCIAZIONE FAMILIARI DELLE VITTIME  

Si è costituita a Palermo l’associazione tra i familiari delle vittime della mafia. Ne fanno parte 41 persone, tra cui i figli di Beppe Alfano, il giornalista ucciso dalla mafia e Giuseppe Ciminisi, il cui padre venne assassinato a San Giovanni Gemini, nell'Agrigentino, nel 1981.
Molte persone - ha spiegato il portavoce dell'associazione Nicolò Conti - non sono a conoscenza dei sussidi e degli aiuti che la legge statale e regionale garantisce loro in qualità di  familiari di vittime. Noi, tra le altre cose, vorremmo metterli a conoscenza della normativa”.

In una nota i componenti dell'associazione rivolgono un  appello a tutti i familiari di vittime della mafia interessati  ad aderire all'iniziativa: potranno contattare il 334. 3728133 per avere informazioni.

STRAGE DI VIA D’AMELIO:
INDAGINI SULL’ AGENDA SCOMPARSA DI PAOLO BORSELLINO  

Potrebbe aprirsi uno spiraglio sul mistero che per 16 anni ha avvolto la scomparsa dell'agenda rossa in cui il giudice Paolo Borsellino, negli ultimi giorni della sua vita, annotava convulsamente appuntamenti, riflessioni e pensieri, ritenuta la chiave dei tanti misteri che circondano ancora la strage di via D'Amelio.
Il gip di Caltanissetta Ottavio Sferlazza ha ordinato alla direzione antimafia del capoluogo l'iscrizione nel registro degli indagati, con l'accusa di furto aggravato dall'avere agevolato l'associazione mafiosa, del tenente colonnello Giovanni Arcangioli, nel 1992 comandante della sezione del nucleo operativo del gruppo Palermo I, ora insegnante nella scuola allievi carabinieri di Roma. 
All'imputazione coatta, in un'inchiesta rimasta per anni a  carico di ignoti e di cui per due volte la procura ha chiesto l'archiviazione, dopo il no del gip è seguito l'avviso di  chiusura delle indagini a carico del militare, atto che precede  la richiesta di rinvio a giudizio.
Nella vicenda relativa alla scomparsa dell'agenda, Arcangioli entra grazie alle immagini girate dagli operatori tv negli istanti successivi la strage di via d'Amelio. L'ufficiale viene ripreso, intorno alle 17.30, mentre si allontana velocemente dall'auto della vittima con in mano l'inseparabile valigetta di cuoio del giudice. La borsa ricompare nella macchina successivamente, circa un'ora dopo; viene sequestrata e repertata: dentro, però, l'agenda non c'è più. “Sono convinto che il diario contenga la chiave della strage”, dichiara subito il pm Antonio Ingroia, allievo del magistrato. E la vedova, Agnese Borsellino, racconta agli investigatori di avere visto il marito prendere appunti sulle date di interrogatorio di un pentito da sentire in Germania, durante il pranzo organizzato nella casa al mare il 19 luglio, giorno della strage.
Cosa è accaduto tra le 17.30 e la redazione del verbale di sequestro dei reperti che non fa cenno al documento? Arcangioli ha sempre sostenuto di non avere aperto l'agenda e di averla mostrata a Giuseppe Ayala, ex collega di Borsellino, nel '92 deputato, tra i primi ad accorrere in via D'Amelio. Ma la versione del militare non ha mai convinto i magistrati che inizialmente l'hanno indagato per false informazioni. Ayala nega di avere ricevuto la borsa dal capitano e sostiene di averla vista nell'auto, di averne parlato con l'ufficiale e di averla consegnata ad un altro carabiniere.      
Di certo c'è che, quando la borsa vuota viene ritrovata nella blindata di Borsellino, presenta bruciature che prima non c'erano. Nel frattempo la macchina aveva preso fuoco: ciò confermerebbe che la valigia era stata tolta e poi rimessa dentro. Inoltre, elemento che più insospettisce i magistrati: nelle immagini si vede Arcangioli allontanarsi velocemente dal luogo della strage con la borsa, in una direzione, che secondo gli inquirenti, non sarebbe giustificata né dalla presenza di soggetti istituzionali, né da motivi investigativi.

Il dubbio è che l'ufficiale si sia recato in un punto preciso per consegnare l'agenda a qualcuno.

STRAGI DEL ’93:
CHIESTA ARCHIVIAZIONE DELL’INCHIESTA SUI MANDANTI ESTERNI  

La procura di Firenze ha chiesto l'archiviazione per l'ultima inchiesta, la quarta, aperta sui cosiddetti mandanti esterni per le stragi mafiose con autobombe della primavera-estate 1993 a Firenze, Roma e Milano.
Per andare avanti avremmo bisogno di un input che al momento non c’è” ha detto il sostituto procuratore di Firenze Giuseppe Nicolosi che, fin dall'inizio, si è occupato delle indagini sugli attentati che hanno portato alla condanna di esecutori e mandanti interni a Cosa nostra, fra i quali Totò Riina e Bernardo Provenzano.

Per Giovanna Maggiani Chelli, dell’associazione che raccoglie i familiari delle vittime, “siamo di nuovo nelle mani della mafia. Lo Stato archivia le indagini sui mandanti e contemporaneamente non fa fronte ai sui impegni, non risarcisce le vittime delle cifre riconosciute da un tribunale civile”.

SEQUESTRO SOFFIANTINI:
AGENTE DONATONI UCCISO DA “FUOCO AMICO”  

Non fu il bandito Mario Moro ad  uccidere l'ispettore dei Nocs Samuele Donatoni nel conflitto a  fuoco con i rapitori dell'imprenditore bresciano Giuseppe Soffiantini, avvenuto il 17 ottobre 1997 a Riofreddo. Il proiettile che provocò la morte del poliziotto non fu sparato da una distanza di 20-25 metri (dove di trovavano i sequestratori), ma da una posizione ravvicinata.
E£’ quanto argomentano in modo inoppugnabile i giudici della Corte di Assise di Appello di Roma nelle motivazioni alla sentenza emessa il 16 novembre scorso e che ha confermato l'assoluzione di Giovanni Farina dall'accusa di concorso morale nell'omicidio dell'ispettore.

La tesi secondo la quale l'ispettore dei Nocs è stato raggiunto da “fuoco amico” era stata fatta da un collegio di esperti nominati nel processo di primo grado contro Farina. Quelle conclusioni ribaltarono precedenti esami balistici sfociati nella tesi del “fuoco nemico” e per i quali sono già stati condannati i banditi Giorgio Sergio, Osvaldo Broccoli (entrambi a 25 anni) ed il latitante Attilio Cubeddu (ergastolo). Se la Cassazione confermerà le risultanze del processo di Appello di Roma, anche le posizioni di Sergio, Broccoli e Cubeddu dovranno essere riviste.

TERRORISMO NERO:
CIAVARDINI ASSOLTO DA ACCUSA DI RAPINA  

L'ex esponente dei Nar Luigi Ciavardini è stato assolto dalla seconda corte di Appello di Roma per “non aver commesso il fatto” dall'accusa di rapina. Ciavardini, nel febbraio dello scorso anno, era stato condannato a sette anni e quattro mesi di reclusione perché ritenuto responsabile della rapina compiuta il 15 settembre 2005 all’agenzia della Unicredit nel quartiere Balduina, a Roma. La sentenza era stata emessa dal gup Adele Rando che aveva giudicato l'imputato con rito abbreviato.

Ciavardini è attualmente detenuto nel carcere di Poggioreale dove sta scontando una condanna a 30 anni in relazione alla strage di Bologna.

KOSOVO INDIPENDENTE:
UNO STATO MAFIOSO SENZA ECONOMIA  

Un ex militante marxista-leninista, trasformatosi prima in trafficante di armi e droga, poi in terrorista e quindi in paramilitare al servizio degli Stati Uniti. Questo è Hashim Tachi, il nuovo premier del Kosovo che dal 17 febbraio scorso si è autoproclamato indipendente.
Il Kosovo è oggi uno stato senza economia. Quel poco che consente la sopravvivenza della popolazione è basato quasi unicamente su traffici illegali. E tutto questo dopo avere ricevuto dall’Unione Europea  due miliardi di euro in assistenza dal 1999 ad oggi.
Oggi la bilancia commericale del Kosovo parla chiaro: entrate da traffici vari (droga e armi soprattutto, ma anche automobili e marchi contraffatti): circa 80%. Aiuti internazionali: poco meno del 20%.
Stando alle stime dell'Interpol, è dal Kosovo che passa l'80% del traffico di eroina del vecchio continente. Si parla di un volume d'affari totale pari a due miliardi di dollari e di un flusso mensile compreso tra le 4 e le 6 tonnellate di droga. E una buona fetta dei proventi rientra poi in Kosovo, finendo anche nelle casse dei principali partiti.
Secondo la Banca mondiale, il 40% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno. Il Kosovo ha il Pil più basso d'Europa. La disoccupazione è stimata al 60%, l’analfabetismo è vicino al 10% tra gli uomini e al 20% fra le donne, cifre dieci volte superiori alla media regionale. E, attenzione, a confermare che il Kosovo “praticamente non ha un'economia” è stato il segretario di Stato Usa Condoleeza Rice.
Anche il curriculum della classe politica di Pristina solleva perplessità. Il premier Hashim Thaci, nome di battaglia “Serpente” - ex comandante dell'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck)- appartiene ad un clan familiare che controlla i traffici nella valle della Drenica. Sua sorella ha sposato il capo della mafia albanese in Macedonia e suo fratello, Hamdi, è una figura chiave per i traffici nell'area di Klina.
Scorrendo la lista dei premier, Thaci è stato preceduto da Agim Ceku, soprannominato “il macellaio della Krajna” per aver portato a termine i suoi più straordinari exploit militari quando era un ufficiale dell’erercito croato e combatteva contro i civili serbi.
Altro volto di spicco dell'Uck è ancora oggi Ramush Haradinaj, sotto processo davanti al Tribunale penale internazionale dell'Aja: l'accusa ha chiesto per lui una condanna di 25 anni per crimini di guerra. Tra le imputazioni aver massacrato albanesi ritenuti “collaborazionisti”.  

Sfruttando la sovrastruttura militare-criminale creata durante gli anni della guerra, gli uomini dell'Uck si sono impadroniti del Kosovo sia a livello politico che economico. E l'organizzazione affonda le proprie radici nel Kanun, il codice di condotta medievale, particolarmente efferato, che regola ogni aspetto della vita sociale.

OMICIDIO POLITKOVSKAIA:
MANCA IL MANDANTE  

Manca il mandante, non è stato ancora individuato chi ha ordinato l'omicidio”.
Lo sostiene Dimitri Muratov, direttore della rivista Novaia Gazeta, il giornale per il  quale lavorava la giornalista russa di opposizione Anna Politkovskaia, freddata a colpi di pistola sotto casa sua a Mosca il 7 ottobre 2006.

Le ricerche e gli interrogatori continuano, si sa chi sono i killer ma resta ancora sconosciuto chi è il mandante - afferma Muratov - Vi posso dire al cento per cento che Poltikovskaia è stata eliminata da agenti del Fsb, dei servizi di sicurezza della Federazione russa, erede del Kgb, che hanno agito nel loro tempo libero”. Parlando dell'inchiesta in corso sull'omicidio Politkovskaia, Muratov è sembrato piuttosto scettico che possa arrivare un vero risultato, anche se considera gli ultimi avvenimenti con qualche ottimismo: “Io penso che il presidente Vladimir Putin questa volta sia interessato a mandare avanti l’inchiesta anche per capire che tipo di Fsb egli abbia creato”.

TERRORISMO INTERNAZIONALE:
GLI USA E IL WATERBOARDING  

La Casa Bianca non esclude in futuro il ricorso al waterboarding - una tecnica di annegamento simulato - negli interrogatori di presunti terroristi, ribadendo che nono si tratta di una forma di tortura, ma di un mezzo legale che “ha salvato vite di americani”.
Sarà il presidente George W.Bush, secondo il suo portavoce Tony Fratto, a valutare i casi in cui possa essere necessario ricorrere al waterboarding, in base alle valutazioni dell’intelligence.
Il 5 febbraio scorso, il direttore della Cia, Michael Hayden, durante un'audizione davanti al Congresso per la prima volta aveva ufficialmente riferito sull'uso del waterboarding tra il 2002 e il 2003 su tre presunti alti esponenti di Al Qaida.
Il Direttore nazionale dell’intelligence, Mike McConnell, a sua volta aveva spiegato che si tratta di una tecnica che resta a disposizione dell' antiterrorismo americano e che può venir autorizzata dal presidente e dal ministro della Giustizia.

Dopo la deposizione di Hayden, i democratici in Senato hanno chiesto l'avvio di un'inchiesta giudiziaria sull'uso da parte della Cia del contestato metodo di interrogatorio.

ROMANIA:
IL GOVERNO APRE L’ACCESSO AGLI ARCHIVI DELLA SECURITATE  

Il governo romeno ha approvato un’ordinanza d'urgenza che sblocca il funzionamento del Consiglio nazionale per lo studio degli archivi della Securitate (Cnsas), l'ex polizia politica comunista.
In precedenza la Corte Costituzionale aveva dichiarato incostituzionali alcuni articoli della legge sul funzionamento del Cnsas, ammettendo l'eccezione di incostituzionalità chiesta dall'ex senatore conservatore Dan Voiculescu, che contestava l'accusa di collaboratore della Securitate mossagli nel 2006 dal Cnsas. La decisione della Corte costituzionale aveva provocato proteste da parte di chi la riteneva una forma di “restaurazione del comunismo”.

Secondo la nuova ordinanza, le prerogative del Cnsas saranno limitate. Se finora esso indicava se un dirigente o un candidato a una carica pubblica aveva collaborato o meno con la Securitate, il premier liberale Calin Popescu Tariceanu ha annunciato che d'ora in poi sarà la giustizia a decidere se una persona è stata o meno informatore della Securitate, in base ai documenti ricevuti dal Cnsas.

storia in rete

DOCUMENTAZIONE

CRIMINALITA’:
I 30 LATITANTI PIU' PERICOLOSI  

Con l'arresto di Pasquale Condello, boss della ‘Ndrangheta, si accorcia la lista dei 30 latitanti di “massima pericolosità” selezionati dal Gruppo integrato interforze ricerca latitanti della Direzione centrale della polizia criminale.
Ecco la lista:

MAFIA:

  • VITO BADALAMENTI, ricercato dal 1995, per associazione di tipo mafioso, ed altro.
  • GIUSEPPE FALSONE, ricercato dal 1999 per associazione di  tipo mafioso, omicidi e traffico internazionale di sostanze stupefacenti.
  • MATTEO MESSINA DENARO, ricercato dal 1993, per associazione di tipo mafioso, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materie esplodenti, furto ed altro.
  • GERLANDINO MESSINA, ricercato dal 1999, per associazione di tipo mafioso e vari omicidi.
  • SALVATORE MICELI, ricercato dal 2001 per associazione di tipo mafioso finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti ed altro.
  • GIOVANNI MOTISI, ricercato dal 1998 per omicidi, dal 2001 per associazione di tipo mafioso ed altro, dal 2002 per strage  ed altro.
  • GIOVANI NICCHI, ricercato dal 2006 per associazione di tipo mafioso, estorsione ed altro.
  • DOMENICO RACCUGLIA, ricercato dal 1996 per omicidi, associazione di tipo mafioso, rapina, estorsione ed altro.
  • MICHELE ZAGARIA, ricercato dal 1995, per associazione di tipo mafioso, omicidio, estorsione, rapina ed altro.

'NDRANGHETA:

  • CARMELO BARBARO, ricercato dal 2001 per associazione di tipo mafioso, omicidio ed altro.
  • DOMENICO CONDELLO, ricercato dal 1993 per omicidio, associazione di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti,  rapina, armi, ed altro.
  • GIOVANNI STRANGIO, tra i ricercati per la strage di Duisburg dell'agosto scorso.
  • GIUSEPPE COLUCCIO, ricercato dal 2005 per associazione di tipo mafioso, traffico internazionale di stupefacenti ed altro.
  • PIETRO CRIACO, ricercato dal 1997 per associazione di tipo mafioso, omicidio, armi ed altro.
  • GIUSEPPE DE STEFANO, ricercato dal 2003 per associazione di tipo mafioso, spaccio di sostanze stupefacenti ed altro.
  • GIOVANNI TEGANO, ricercato dal 1993 per omicidi ed associazione di tipo mafioso, ed altro.
  • MICHELE ANTONIO VARANO, ricercato dal 2000 per associazione  di tipo mafioso, associazione per delinquere, contrabbando di  tabacchi lavorati esteri, ed altri gravi reati finanziari ed economici.
  • ANTONIO PELLE, ricercato dal 2000 per associazione di tipo mafioso finalizzata al traffico Internazionale di armi, sostanze stupefacenti ed altro.

CAMORRA:

  • PATRIZIO BOSTI, ricercato dal 2005 per concorso in omicidio ed altro.
  • ANTONIO IOVINE, ricercato dal 1996 e dal 2002 per omicidio ed altro.
  • GIUSEPPE GIORGI, ricercato dal 1995 per associazione di tipo mafioso finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, armi, estorsioni ed omicidi.
  • MARCO DI LAURO, ricercato dal 2005, per associazione di tipo mafioso ed altro.
  • SEBASTIANO PELLE, ricercato dal 1995 per associazione per delinquere finalizzata al traffico Internazionale di armi e sostanze stupefacenti ed altro.
  • PASQUALE RUSSO, ricercato dal 1995, per associazione di tipo mafioso, omicidio, occultamento di cadavere, concorso in omicidio plurimo ed altro.
  • SALVATORE RUSSO, ricercato dal 1995, per associazione di tipo mafioso, omicidio, occultamento di cadavere ed altro.
  • PASQUALE SCOTTI, ricercato dal 1985, per omicidio ed occultamento di cadavere ed altro.

ALTRO:

  • ATTILIO CUBEDDU, ricercato dal 1997, per non aver fatto rientro, al termine di un permesso, nella Casa Circondariale di Badu e Carros (Nuoro), dove era ristretto, per sequestro di persona, omicidio e lesioni gravissime.
  • RAFFAELE ARZU, ricercato dal 2002 per rapina.
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