RINVIO A GIUDIZIO
(Motivazioni)
L’analisi dei fatti compiuta dai giudici istruttori palermitani costituisce l’atto
fondamentale su cui si fonderà il processo di Viterbo e quello che seguirà presso la II
Corte di Appello di Roma.
I materiali d’accusa sono forniti dal Rapporto n. 37 del 4 settembre 1947 del
maresciallo Giovanni Lo Bianco. Si noti come le indagini di polizia giudiziaria non
ebbero l’avallo di nessun ispettore generale di Ps succeduto a Ettore Messana. Questi
mantenne la sua carica in Sicilia praticamente fino ai primi di agosto 1947,
nonostante fosse stato destituito già nelle settimane successive alla strage del 1°
maggio.
Nell’atto non vi è traccia alcuna del delicatissimo compito di bandito-confidente
assegnato dallo stesso ispettore Messana a Salvatore Ferreri e quasi nulla traspare di
altri due importanti confidenti: i fratelli Giuseppe e Fedele Pianello, entrambi di
Montelepre. Saranno tutti eliminati in un conflitto a fuoco avvenuto ad Alcamo la
notte del 26 giugno 1947. Nello stesso giorno saltarono in aria su un ordigno, in
contrada Pitarre di Camporeale, altri personaggi che avevano partecipato alla fase
organizzativa ed esecutiva delle stragi del 22 giugno 1947: Federico Mazzola, Angelo
Taormina e Francesco Passatempo.
I Passatempo, nella vicenda stragista di maggio-giugno, hanno un rilievo non
trascurabile in quanto, secondo alcune testimonianze emerse al processo di Viterbo,
essi erano in rapporti di amicizia col capomafia di Partinico Santo Fleres, che
Gaspare Pisciotta indicava come il principale confidente di Messana. Salvatore e
Giuseppe Passatempo furono sicuramente presenti a Portella della Ginestra il 1°
maggio 1947 e parteciparono, stando alle testimonianze del ‘piccotto’ Giuseppe Di
Lorenzo alla strage di Partinico e agli assalti contro le sedi del Partito comunista e
delle Camere del Lavoro della provincia di Palermo, la sera del 22 giugno ’47.
Sezione Istruttoria della Corte di Appello di Palermo
[Descrizione dei fatti e
motivazione della sentenza di rinvio a giudizio]
27.10.1948
Il 1° maggio del 1947 per solennizzare la festa del lavoro, seguendo una vecchia tradizione,
convenivano, sin dalle prime ore del mattino, in località Portella della Ginestra, a sud-est di Piana
degli Albanesi, sulla vallata circoscritta dai monti Cometa e Pelavet, parecchie centinaia di cittadini
aderenti ai partiti di sinistra dei comuni di Piana degli Albanesi, S. Giuseppe Jato e S. Cipirrello, tra
cui anche donne e bambini. Erano le 10,30 circa quando quella folla si radunò festeggiante attorno
ad un podio costituito da uno sperone di roccia, per ascoltare la parola degli esponenti locali dei
partiti socialista e comunista. Proprio allora dalle pendici del Pelavet, a mezza costa, fu aperto un
fuoco d’armi automatiche su quella massa di convenuti. La folla, pervasa da panico, cercò scampo
nella fuga, rifugiandosi nelle anfrattuosità del terreno mentre alcuni cadevano uccisi e molti altri
feriti. Non furono pochi coloro che rimasero malconci, travolti nella corsa. Gli spari si protrassero
per circa un quarto d’ora. Ad undici assommarono le vittime e a ventisette i feriti.
Il folle, criminale gesto destò l’unanime indignazione in tutta la nazione. Le forze di polizia
accorsero prontamente e si accertò innanzitutto ancora, da parte del Giudice Istruttore, che si era
sparato, a mezza costa, dal Pelavet servendosi di sei postazioni e che le armi usate furono i fucili
mitragliatori Breda 30 cal. 6,5, moschetto modello 91 cal. 6,5, moschetto automatico e mitra Beretta
cal. 9, carabina americana, fucile a ripetizione Enfield, fucile mitragliatrice Bren, tutte armi efficienti
alla distanza di 530 metri, che è quella intercorrente tra le postazioni, ai piedi delle quali vennero
rinvenuti i caricatori e bossoli e il podio attorno al quale era radunata la folla.
Le prime indagini si svolsero in un atmosfera infuocata mentre vivaci erano le polemiche tra le
contrapposte fazioni e vennero operati centinaia di fermi in base a semplici sospetti di carattere
generico. La voce corrente nel pubblico indicava quali autori dell’eccidio «i Romano e i Troia», cioè
gli esponenti dell’anticomunismo. Il grido «sono stati i Romano e i Troia» era stato lanciato dalla
moltitudine ancora sconvolta sulla via del ritorno da Portella della Ginestra. Il giorno 2 maggio il
sindaco di San Giuseppe Jato, Biagio Ferrara segnalava agli organi di Polizia l’opportunità di
assumere in esame il dodicenne Cusimano Rosario che aveva fatto in paese delle importanti
propalazioni circa gli autori dell’eccidio. Il Cusimano dichiarava che il 1° maggio era stato a Portella
della Ginestra e subito dopo la strage, avviatosi da solo attraverso i campi per raggiungere lo stradale
di San Giuseppe Jato, pervenuto nei pressi di un casamento, aveva visto passare a brevissima
distanza, a circa 50 m. («quanta ne intercorre tra il municipio e la caserma dei carabinieri di S.
Giuseppe Jato» — cosi egli poi si espresse) tre individui armati, due di mitra e uno di fucile, che
riconobbe per Troia Giuseppe, Romano Salvatore, e Marino Elia i quali provenivano a suo dire dalle
pendici del Pelavet diretti verso lo stradale. Agli stessi verbalizzanti il giovane Borruso Alberto
riferiva che il 1° maggio si era recato a Portella col suo carro carico di circa duecento razioni di pane
ed altro che avrebbe dovuto essere distribuito dal Comitato organizzatore della riunione ai compagni
poveri; che inoltratosi nei campi verso i costoni del Pelavet per raccogliere l’erba al suo animale,
aveva avuto modo di riconoscere, mentre durante sparatoria si era riparato dietro una roccia, un
individuo che sparava sulla folla, essendosi questi spostato da un posto all’altro del Pelavet, per
Grigoli Benedetto inteso Troia.
Ugo Bellocci, Calogero Caiola, Angelo Randazzo e Rumore Angelo i quali, recatisi a Portella della
Ginestra, si erano appartati ad un chilometro circa dal luogo dove era radunata la folla, assieme alla
prostituta Maria Roccia, dichiaravano alla loro volta che dopo l’eccidio avevano visto allontanarsi
dal Pelavet dodici armati così divisi: due avanti, seguiti da tre, quindi altri tre e poi due e ancora altri
due; tutti individui a loro sconosciuti. Uno di costoro indossava un impermeabile chiaro e si udì una
voce ripetere: «Disgraziati chi facistivu». Avevano successivamente notato nello stradale
un’autovettura e un autocarro diretto a San Giuseppe Jato.
L’undici maggio del 1947 il sedicenne Faraci Menna affermava che avvenuta la strage, di ritorno in
paese, aveva visto Troia Giuseppe, transitare su un’altura rocciosa sita tra lo stradale e i contorni del
Pelavet. Anche il tredicenne Scaduto Alvaro che si trovò in contrada Ginestra il 1° maggio disse
l’indomani, di aver visto mentre si recava alla riunione, tre persone che correvano in direzione di
detta contrada e in una di esse ebbe l’impressione di riconoscere uno dei fratelli Romano di cui non
seppe precisare il nome (f. 38, fasc. A).
Si accertava che il 28 Aprile 1947 in contrada Kaggio si era tenuta una riunione alla quale avevano
partecipato i Troia, Gambino Giovanbattista, Cucchiara Pietro, Bernardo Puleo, Giuseppe Riolo,
Francesco Pardo ed alcuni pastori di S. Cipirrello, Piana e San Giuseppe Jato. Voci correnti nel
pubblico aveva definito quella una riunione di mafiosi nella quale sarebbe stato deciso di consumare
la strage del 1° maggio. Senonché risultò che la riunione era stata tenuta per discutere circa una
questione di estagli.
Molte altre voci correnti nel pubblico si raccolsero. Alcuni riferirono circa larvate minacce contenute
in discorsi di esponenti locali dei partiti di destra. Salvatore Celeste, presunto capo della mafia
locale, in un comizio tenuto a San Cipirrello aveva detto che se il blocco del popolo avesse riportato
una vittoria nelle elezioni regionali molto sangue comunista sarebbe stato sparso.
Maiolo Rosalia in Norcia da San Giuseppe Jato vide la mattina del 1° maggio 1947 i fratelli
Giuseppe e Salvatore Romano conversare con Giuseppe Troia e udì uno dei due Romano dire:
«sarebbe cosa stamattina di pigghiari una mitragliatrice e lasciarli tutti lì».
L’ingegnere Dionisio Masi, oggi defunto, in occasione della raccolta di somme di denaro per i
festeggiamenti in onore di San Giorgio in Piana degli Albanesi, avrebbe detto che i partiti di destra
erano intenzionati a farla finita una buona volta con i comunisti e ad un certo punto avrebbe
soggiunto: «chissà che questi denari raccolti con la festa di San Giorgio non serviranno per comprare
le medicine».
Di seguito a tali primi accertamenti, il 15.5.47, l’Autorità Giudiziaria emetteva un mandato di cattura
a carico di Troia Giuseppe, Romano Salvatore, Marino Elia e Grigoli Pietro che sin dal 1° maggio
erano stati fermati dalla Polizia.
Nella stessa giornata del 1° maggio 1947 era misteriosamente scomparso dall’ex feudo Strasatto di
Monreale, ove prestava servizio di vigilanza, in qualità di campiere, Busellini Emanuele da
Altofonte. Acquaviva Domenico riferiva alla Polizia di avere visto il Busellini, alle ore 13.00 del 1°
maggio, in località Presto tra un gruppo di circa dodici armati e contrariamente al suo solito non
portava il fucile. Li vide scomparire dietro una collina. La località Presto confina con Portella della
Ginestra. Evidentemente quel gruppo di armati, commessa la strage di Portella della Ginestra, aveva
sequestrato il Busellini per eliminare un teste a loro carico. Il 22 giugno del 1947, in località Cozzo
Busino di contrada Cannavera, in una buca profonda circa 80 m. veniva rinvenuto il cadavere del
Busellini. La morte era stata causata da colpi d’arma da fuoco che avevano leso il cuore e risaliva
almeno a 40 giorni avanti.
Il Busellini era un valido collaboratore della Polizia. Addosso al cadavere veniva rinvenuto tra l’altro
un biglietto a firma del brigadiere Buscassera comandante della stazione di Portella della Paglia con
la scritta «Caro Emanuele vi prego venire in caserma che vi debbo parlare. Portella, lì 2.4.47 ore
15.20».
Detto biglietto era riconosciuto dal Brigadiere Buscassera che dichiarava di averlo indirizzato
appunto ad Emanuele Busellini .
L’eccidio di Portella della Ginestra non restava unico episodio, l’unica manifestazione
accompagnata da selvaggia criminalità contro gli aderenti del Partito Comunista.
La sera del 22 giugno 1947 seguivano altri gravi e luttuosi avvenimenti:
a) In Partinico, la sera del 22.6.47, mentre in piazza suonava la musica e i cittadini pacificamente
passeggiavano lungo il corso principale del paese, alcuni sconosciuti, che si erano appostati
all’angolo della via Pozzo del Grillo, dirimpetto alla sede del partito comunista, esplodevano alcune
raffiche di mitra e lanciavano un fiasco di liquido infiammabile ed alcune bombe a mano contro la
sede del Partito predetto. La folla presa dal panico si dileguava, la musica cessava di suonare. La
Polizia, accorsa sul luogo del delitto, trovava nell’interno dei locali del Partito Comunista, sito a
piano terreno, bocconi sul pavimento in una pozza di sangue, il cadavere del nominato Giuseppe
Casarrubea. Presentava ferite prodotte da colpi di mitra e da schegge di bomba a mano, all’emitorace
posteriore sinistro e in altre parti del corpo. Altre cinque persone erano rimaste ferite tra cui Lo
Jacono Vincenzo, che successivamente decedeva. Quasi tutti costoro erano iscritti al partito
comunista. Marzucco Andrea e Mancuso Salvatore, che si erano trovati anche essi davanti la porta
della sede del Partito Comunista, erano rimasti miracolosamente illesi. Furono rinvenute inesplose
due bombe, furono raccolti n. 41 bossoli di fucile mitra cal. 9, n. 8 pallottole di piombo, n. 3
involucri di bombe a mano e frammenti di paglia del rivestimento del fiasco che conteneva il liquido
infiammabile. A terra, in via Pozzo del Grillo, furono trovati due manifesti a stampa contenenti un
appello rivolto ai Siciliani di accorrere al feudo Sagana, quartiere generale della banda di Salvatore
Giuliano onde partecipare alla lotta antibolscevica promossa dallo stesso Giuliano. I manifestini a
stampa recavano dattiloscritte la parola «Sagana» e la firma di Salvatore Giuliano.
b) La stessa sera del 22.6.1947, alle ore 23.00 circa, in Carini altri sconosciuti esplodevano prima
colpi di mitra e lanciavano una bomba a mano e due bottiglie di benzina contro la porta d’ingresso
della sezione del Partito Comunista Italiano. I malfattori, in numero di dieci circa entrati in paese
provenienti dallo stradale di Montelepre, avevano fulmineamente compiuto l’azione dileguandosi
subito dopo. Fortunatamente nessun danno veniva arrecato alle persone. I carabinieri subito accorsi
riuscivano a domare un principio d’incendio. Furono raccolti dei manifestini uguali agli altri
rinvenuti a Partinico.
c) Sempre nella stessa serata del 22.6.1947, alle ore 23.30 circa, due individui vestiti da carabinieri
sparavano una raffica di mitra contro la gente dei locali della sezione del Partito Comunista di
Borgetto siti a pochi metri da quel Comando Stazione Carabinieri. I militari accorsi tentavano la
cattura dei due fuggitivi ma non vi riuscivano. Nessun danno alle persone ebbe a verificarsi.
d) Anche a San Giuseppe Jato, alle ore 23.35 del 22.6.47, quattro individui armati esplodevano
raffiche di mitra e lanciavano delle bombe a mano contro la porta del locale Partito Comunista, sita
al primo piano di quell’abitato. Allontanandosi i malfattori continuavano a sparare e uno dei colpi
feriva certa Benedetta Rizzo che riportava lesioni guarite poi in giorni 15. Le aperture dell’edificio
rimanevano danneggiate e i vetri andavano in frantumi. I carabinieri, accorsi, raccoglievano nel
luogo del delitto 7 cartucce di mitra non esplose, 83 bossoli della stessa arma e 3 bombe a mano pure
inesplose.
e) A Monreale alle ore 2.15 del 23.6.47, ignoti, cosparsa di petrolio la porta d’ingresso della sede del
locale Partito Socialista Italiano, vi appiccavano il fuoco, che veniva estinto dai carabinieri e dai
cittadini accorsi.
f) Alle ore 3.45 del 23.6.47, in Cinisi un ordigno esplodeva davanti la sede del locale Partito
Comunista Italiano, che rimaneva danneggiata.
Le violente e criminali aggressioni alle sedi dei partiti, comunista e socialista, avvenute di seguito
all’eccidio di Portella della Ginestra erano evidentemente collegate a questo detto primo episodio da
unicità di programma criminoso.
Quanto alla strage di Portella della Ginestra, la Polizia era riuscita ad avere qualche nuovo elemento
raccogliendo la dichiarazione di Riolo Damiano, che, dopo alcuni giorni di fermo, finiva col narrare
che il 1° maggio 1947, sui costoni del Pelavet a caccia, si erano trovati assieme i compagni Riolo
Damiano, Sirchia Giorgio, Cuccia Gaetano e Fusco Salvatore, tutti e quattro iscritti al Partito
Comunista Italiano. Costoro quella mattina erano stati catturati da un gruppo di malviventi.
Disarmati dei fucili da caccia, erano stati richiesti se fossero iscritti o non al Partito Comunista ed
avendo loro risposto con furberia negativamente è stata loro risparmiata la vita. Erano stati fatti
mettere da parte, e, guardati a vista da uno dei malviventi, avevano assistito allo svolgimento
dell’eccidio. Successivamente erano stati rimessi in libertà, erano state loro restituite le armi ma non
le munizioni, ed era stato loro imposto di dire in paese d’aver visto che a sparare erano stati in 500
circa.
Il Riolo, il Sirchia, il Cuccia e il Fusco confermavano al Giudice Istruttore i particolari del loro
sequestro, precisando che il capo di quei malviventi indossava un impermeabile bianco. Che il
malfattore incaricato della loro sorveglianza durante l’attesa aveva loro detto: «i comunisti vogliono
togliere la terra e la mafia, gliela diamo noi nelle corna la terra». Mostrata ai quattro una recente
fotografia del noto bandito Salvatore Giuliano, riconoscevano, nella persona ritratta nella fotografia
(f. 180 fasc. A), il capo del gruppo dei malfattori nei quali si erano imbattuti il 1° maggio 1947 sui
costoni del Pelavet.
Intanto gli elementi raccolti dalla Polizia subito dopo l’eccidio Portella della Ginestra a carico di
Troia, Romano, Marino e Grigoli venivano inficiati nella fase giudiziale condotta con la più rigorosa
obiettività. Anzitutto il teste Scaduto Alvaro ritrattò la sua stragiudiziale dichiarazione asserendo
d’averla resa per istigazione della guardia comunale Ricotta.
Fece presente di non avere riconosciuto alcuno dei malfattori, mentre i suoi familiari negarono di
aver appreso alcunché dal loro congiunto in ordine alla strage di Portella della Ginestra. La
ritrattazione del teste è corroborata dalla deposizione del suo coetaneo Licciardi che si trovò in
contrada Ginestra assieme a lui.
Il testimone Faraci Menna aveva asserito di avere riconosciuto il Troia in uno di coloro che avevano
sparato sulla folla. Il Giudice Istruttore lo condusse nel luogo del delitto e ivi il testimone indicò il
punto in cui egli si sarebbe trovato e il punto in cui si sarebbe trovato il Troia. Fu misurata la
distanza con l’ausilio di tecnici periti. Essa risultò di 400 m. circa. Si procedette a giudiziale
esperimento: il Giudice Istruttore restò nel punto indicato dal Faraci Menna come quello ove egli si
sarebbe trovato; si mandarono soldati nell’altro ove si sarebbe trovato il Troia. Quando essi vi furono
giunti s’accertò che un uomo di vista normale qual è il Faraci Menna non riesce a scorgere a quella
distanza non soltanto le fattezze del viso ma neppure la foggia del vestito. Anche Borruso Alberto fu
condotto sul luogo del delitto e fu invitato a precisare il punto ove egli si sarebbe trovato quando
riconobbe il Grigoli e il punto in cui si sarebbe trovato questi. Egli cadde in contraddizione con le
sue stesse precedenti giudiziali dichiarazioni e poiché aveva precisato che nella circostanza di luogo
in cui vide il Grigoli si trovava in ginocchio ed il Grigoli procedeva ricurvo, il Giudice Istruttore
procedette a giudiziale sperimento e stabilì che per potere vedere, dal posto in cui il Borruso si
sarebbe trovato un individuo che si fosse trovato nel posto ove il Grigoli sarebbe stato visto dal
testimone, sarebbe occorso che entrambi gli individui si fossero trovati in piedi.
Durante la giudiziale ricognizione il dichiarante Cusimano a sua volta incorreva in contraddizioni.
Aveva precedentemente detto di essersi nascosto dietro un casamento e di aver visto e riconosciuto il
Troia, il Romano e il Marino, tutti e tre armati, e che questi sarebbero passati a brevissima distanza
da lui e che egli avrebbe lasciato il suo nascondiglio dietro il casamento solo dopo la cessazione
degli spari. Nel corso dell’ispezione, invece, indicava, come posto ove si sarebbe nascosto, un masso
distante 190 m. dal casamento di cui aveva parlato, diceva che due soltanto, e non più tutti e tre gli
imputati, erano armati e che essi sarebbero passati a distanza maggiore di quella di cui aveva in
precedenza parlato e che egli avrebbe lasciato il suo nascondiglio quando ancora gli spari non erano
cessati.
I testi Sirchia, Fusco, Cuccia e Riolo nelle giudiziali ricognizioni escludevano di avere visto il Troia,
il Romano, il Marino e il Grigoli, per il gruppo dei malfattori. D’altra parte gli alibi addotti dai
quattro imputati, ora esaminati, risultarono pienamente provati per concordi deposizioni di
numerosissimi testimoni degni di ogni fiducia, alcuni dei quali appartenenti all’Arma dei
Carabinieri.
Da questo imponente testimoniale, la presenza dei quattro suddetti imputati alle pendici del Pelavet,
la mattina del 1° maggio 1947 rimane inequivocabilmente esclusa.
Gli ulteriori accertamenti della Polizia portavano intanto a ritenere che la strage di Portella della
Ginestra e le aggressioni armate contro le sedi dei partiti di sinistra erano state materialmente
eseguite da numerosi elementi della banda Giuliano capeggiati dallo stesso Salvatore Giuliano.
Il 14 luglio del 1947 veniva fermato Gaglio Francesco di Vincenzo, inteso «Reversino». Il Gaglio,
fidanzato con una nipote della madre del Giuliano e imparentato a mezzo della sorella Marianna coi
banditi fratelli Passatempo di cui la donna aveva sposato altro fratello, finiva col rendere una
interessantissima propalazione in merito alla strage di Portella della Ginestra. Il Gaglio precisava che
chiamato da Mazzola Vito, a nome del Giuliano, nel pomeriggio del 30 aprile 1947 aveva
partecipato in contrada Cippi di Montelepre ad un convegno durante il quale il Giuliano
personalmente ai convenuti aveva tenuto un discorso asserendo che era suo intendimento di lottare a
mano armata contro il comunismo, che minacciava di espandersi nella zona oltre i limiti della sua
tolleranza, e che aveva intanto deciso di impartire senz’altro una lezione agli aderenti a quel partito
che avrebbero l’indomani partecipato al tradizionale raduno di Portella della Ginestra. Furono indi
distribuite le armi ed attraverso le campagne, fuori dalla strada di comunicazione, all’alba del 1°
maggio pervennero al luogo convenuto appostandosi sui costoni del Pelavet. Attesero il momento
opportuno e al segnale del Giuliano, che sparò il primo colpo, aprirono il fuoco sulla folla, fuoco che
fu cessato ad altro ordine del Giuliano. Le armi furono raccolte dai più fidi a lui, che formarono un
gruppo di una decina o poco più che si allontanò per suo conto, mentre agli altri venne ordinato di
avviarsi alla spicciolata verso Montelepre.
Quali concorrenti nell’azione criminosa il Gaglio fece i nomi di:
Mazzola Vito; Antonino Terranova; Rosario Candela inteso Cacagrasso; Russo Angelo inteso
Ancilinazzu; Genovese Giovanni inteso Manfrè; Genovese Giuseppe; Passatempo Salvatore;
Passatempo Giuseppe; Mannino Frank inteso Lampo; Taormina Angelo inteso Vitu Pagliuso;
Pisciotta Francesco inteso Mpompò; Pisciotta Gaspare, inteso Chiaravalle; Sciortino Pasquale inteso
Pino, cognato di Giuliano; Cucinella Giuseppe inteso Porrazzolo; Cucinella Antonino; Sapienza
Giuseppe inteso Bambineddu; Badalamenti Francesco di Giuseppe; Costanza Antonino di Giuseppe;
Tinervia Francesco di Giacomo; Pretti Domenico, inteso figlio di Filippello; Sapienza Vincenzo di
Tommaso.
Il giorno 16 dello stesso luglio 1947 veniva catturato il bandito Di Lorenzo Giuseppe fu Antonino,
già colpito da diversi mandati di cattura emessi dalla Autorità Giudiziaria per gravi delitti comuni
commessi in seno alla banda (vedi procedimento n. 905/46 Sez. Istr. Corte Appello di Palermo). Il
Di Lorenzo confessava ai carabinieri di avere partecipato nella tarda sera del 20 giugno 1947, nel
Piazzale Belvedere, fuori dell’abitato di Montelepre, invitato da Cucinella Giuseppe, inteso
Porrazzolo e da Sciortino Pasquale cognato di Giuliano Salvatore, ad una riunione a cui presero
anche parte: 1) Passatempo Salvatore; 2) Passatempo Giuseppe; 3) Candela Rosario, inteso
Cacagrasso; 4) Pisciotta Francesco inteso Mpompò; 5) Taormina Angelo, inteso Vito Pagliuso; 6)
Mannino Franco, inteso Lampo; 7) Cucinella Antonino; 8) Terranova Antonino; 9) Pianello
Giuseppe; 10) Pianello Filippo; 11) Mazzola Federico; 12) certo Totò inteso U Rizzu; 13) Prtti
Domenico; 14) Sapienza Francesco. Sciortino Pasquale disse ai convenuti che era ormai tempo di
tradurre in atto un piano d’attacco diretto alla distruzione delle sedi del Partito Comunista Italiano
nel territorio ove operava la banda Giuliano, facendo voti che l’esempio che stavano per dare, fosse
seguito in altre provincie della Sicilia. La riunione fu sciolta avvertendo i convenuti che sarebbero
stati singolarmente informati del luogo e della data di prossime riunioni per passare all’azione. Il Di
Lorenzo fu invitato senz’altro dal Terranova Antonino a farsi trovare alle ore 21.00 del 22
successivo in contrada Piano Gallina. Ivi trovò il Terranova, Passatempo Giuseppe, Taormina
Angelo inteso Pagliuso, Mannino Frank inteso Lampo e il Candela Rosario inteso Cacagrasso e
partecipò, dandone i particolari, all’aggressione alla sede del Partito Comunista di Carini.
Le propalazioni del Gaglio Francesco e del Di Lorenzo Giuseppe diedero la possibilità alla polizia di
fare piena luce in merito ai gravissimi delitti di cui al presente procedimento. Oltre il Gaglio e il Di
Lorenzo vennero tratti in arresto: 1) Sapienza Vincenzo; 2) Pretti Domenico; 3) Tinervia Francesco;
4) Sapienza Giuseppe di Tommaso; 5) Gaglio Antonino; 6) Tinervia Giuseppe; 7) Terranova
Antonino, inteso Costanzo, di Salvatore; 8) Buffa Antonino; 9) Musso Gioacchino; 10) Buffa
Vincenzo; 11) Cristiano Giuseppe; 12) Pisciotta Vincenzo; 13) Russo Giovanni; 14) Russo Angelo;
15) Pisciotta Salvatore; 16) Mazzola Vito; 17) Di Misa Giuseppe; 18) Lo Cullo Pietro; 19) Sapienza
Giuseppe di Francesco.
Dei predetti arrestati, Sapienza Vincenzo, Pretti Domenico, Tinervia Francesco, Sapienza Giuseppe
di Tommaso, Tinervia Giuseppe, Terranova Antonino, Buffa Antonino, Musso Gioacchino e
Pisciotta Vincenzo resero ampie giudiziali confessioni, con ricchezza di particolari, specificando
tutte le modalità di preparazione ed esecuzione dell’eccidio di Portella della Ginestra e indicando i
nominativi di coloro che vi ebbero a partecipare. Il Sapienza Vincenzo e il Pretti, dopo la
confessione giudiziaria, condotti sul luogo, indicarono il luogo preciso ove si appostarono,
precisamente quei luoghi ove la Polizia aveva rinvenuto i bossoli dei colpi sparati dai banditi.
Confermarono che era il Giuliano colui che portava addosso un impermeabile chiaro.
Cristiano Giuseppe, Russo Giovanni, Mazzola Vito e Sapienza Giuseppe di Francesco confermarono
alla Polizia, ma al cospetto del Giudice ritrattarono. Di Lorenzo Giuseppe, Buffa Vincenzo, Gaglio
Antonino, Russo Angelo, Pisciotta Salvatore, Di Misa Giuseppe e Lo Cullo Pietro si protestarono
innocenti sia avanti la Polizia che avanti al Giudice.
Gaglio Francesco ritrattò giudizialmente la partecipazione materiale al delitto ammettendo di essere
stato alla riunione di contrada Cippi ma non anche a Portella.
[…]
La riunione indetta dallo Sciortino Pasquale in contrada Belvedere – Testa di Corsa di Montelepre,
nella quale venne concordata l’esecuzione degli assalti alle sedi dei partiti, comunista e socialista, fu
voluta dal Giuliano Salvatore e ad essa parteciparono, oltre allo Sciortino Pasquale, Di Lorenzo
Giuseppe, Cucinella Giuseppe, Passatempo Salvatore, Passatempo Giuseppe, Candela Rosario,
Pisciotta Francesco, Taormina Angelo, Mannino Frank, Cucinella Antonino, Terranova Antonino di
Giuseppe, Pianello Giuseppe, Pianello Fedele, Mazzola Federico, Sapienza Francesco di Gioacchino
e Pretti Domenico.
Durante le azioni furono buttati nel luogo dei manifestini a firma di Giuliano.
Durante l’istruzione si accertò il decesso di Taormina Angelo, Pianello Giuseppe, Pianello Fedele e
Mazzola Federico; Di Lorenzo, Sapienza, Pretti, Buffa Antonino, Musso Gioacchino ritrattarono
successivamente le precedenti dichiarazioni giudiziali.
L’imputato Pisciotta Salvatore venne arrestato e denunziato, avendo fatto sempre parte della banda
Giuliano ed avendo partecipato a tutti i crimini della banda stessa. Il Pisciotta negò la sua
partecipazione alla strage di Portella della Ginestra, ammettendo solo alla Polizia di essere venuto a
conoscenza del delitto perché informato da Passatempo Salvatore.
Si procedette altresì contro Candela Vita per favoreggiamento personale essendo affiorato nel corso
delle indagini che aveva dato ospitalità ai latitanti Terranova Antonino di Giuseppe, Pisciotta
Francesco e Candela Rosario e che ivi costoro avevano dato convegno prima della strage ai giovani
Buffa Antonino e Pisciotta Vincenzo.
Durante il corso della formale istruzione Cucchiara Pietro, deponendo quale teste avanti il Giudice
Istruttore, il 5.6.47, affermò falsamente di essere rimasto in casa il giorno 1° maggio 1947, mentre
attraverso le dichiarazioni rese da Cucchiara Giuseppe, Cocuzza Rosa, Cucchiara Francesco,
Abbadino Egidio e Cocuzza Maria, rimase accertato che egli quel giorno si recò in contrada Kaggio.
A suo carico si procedette per falsa testimonianza.
La compiuta formale istruzione ha fatto piena luce circa gli esecutori materiali della strage di
Portella della Ginestra e delle aggressioni avvenute contro le sedi del Partito Comunista e Socialista.
Numerosi affiliati alla banda, tristemente nota, del Giuliano Salvatore hanno reso ampie confessioni
giudiziali in merito ai due gravissimi delitti che il Giuliano Salvatore stesso — si dice — volle in
odio al comunismo che alla sua mente appariva alla realizzazione dei suoi piani criminosi il
principale nemico. Le confessioni giudiziali sono state anche controllate obiettivamente con i
riscontri sul luogo del delitto di Piana della Ginestra in base alle indicazioni di Sapienza Vincenzo e
Pretti Domenico, al Giudice, dei luoghi di appostamento dei banditi durante l’azione a fuoco.
I cacciatori Sirchia, Fusco, Cuccia e Riolo che rimasero sequestrati durante gli spari hanno
riconosciuto in una fotografia di Giuliano Salvatore, questi per il capo dei malfattori che diresse
l’azione e portava addosso un impermeabile chiaro. L’autenticità della fotografia è stata controllata
con ricognizione da parte dei giovani Formiz Enzo, Trucco Bruno, Celestino Giancarlo che col
Giuliano ebbero modo di intrattenersi essendo incappati per la loro inesperienza per qualche tempo
nelle reti della banda (ff. 368-374, fasc. D).
In base a questi elementi è ormai definitivamente acquisito che i due gravissimi episodi delittuosi
furono opera materiale del Giuliano e dei suoi affiliati.
Ma il Giuliano agì di sua iniziativa o per mandato di altri? Ebbe cooperatori materiali provenienti dal
gruppo dei mandanti ed estranei alla sua banda?
A questi interrogativi le risultanze processuali non hanno acquisito nulla di positivo e di concreto.
Generalmente la prova del mandato non è di facile acquisizione, nella specie ancora più difficile
perché le pressioni di parte portarono agli eccessi, per effetto della concitazione gli animi si accesero
e la prevenzione e la suggestione tolsero ogni serenità alla ricerca della verità. La prima parte delle
indagini risentì infatti di tale stato d’animo della popolazione e sorse in molti il convincimento che
l’eccidio di Portella della Ginestra era stato opera degli esponenti del locale anticomunismo
personificato dai Romano e dai Troia di S. Giuseppe Jato. Tornarono in mente le larvate minacce e
allusioni della campagna elettorale; la fantasia di qualche giovanissimo suggestionato formulò
accuse conciate a carico di Troia Giuseppe, Romano Salvatore, Marino Elia, Grigoli Pietro che ne
determinarono il fermo e l’emissione del relativo mandato di cattura. Ma queste accuse provenienti
dai testi Cusimano Rosario di anni 12, Borruso Alberto di anni 19, Faraci Menna di anni 17 e
Scaduto Alvaro di anni 12 si sgretolavano nel prosieguo della formale istruzione. Come si è già più
specificatamente avanti detto nell’esposizione in fatto il teste Scaduto ritrattò asserendo di avere
calunniato il Romano per istigazione della guardia comunale Ricotta( f. 215 fasc. D ). Egli era
assieme al coetaneo Licciardi Giuseppe al momento dell’eccidio e questi ha confermato che non
videro nessuno del gruppo degli aggressori e che si preoccupò assieme allo Scaduto unicamente di
ripararsi dai colpi (f. 250 fasc. D).
Gli altri furono smentiti dai risultati dei giudiziali esperimenti sul luogo del delitto. Faraci Menna
indicò il luogo ove si sarebbe trovato il Troia, e il posto da dove egli lo vide, la distanza risultò di
metri 400 e si accertò che un uomo di vista normale non riesce a scorgere a quella distanza non
soltanto le fattezze del viso ma neppure la foggia del vestito della persona che si trova a quella
distanza. Anche Borruso Alberto precisò circostanze di luogo che esclusero la possibilità di un
riconoscimento dell’aggressore. Il dodicenne Cusimano, dimentico di quanto aveva già detto al
Giudice, nel corso dell’ispezione dei luoghi faceva delle dichiarazioni in aperto contrasto con le
precedenti dando così la prova del suo mendacio.
Si accertò altresì nel corso del giudiziale esperimento che 55 minuti occorrono per giungere a piedi
e, per l’accidentalità del terreno non si può andare se non a piedi, dalle pendici del Pelavet, luogo
degli spari, allo stradale che conduce a S. Giuseppe Jato; e dieci minuti impiega un automezzo per
giungere alla periferia di S. Giuseppe Jato. La strada a piedi sarebbe riuscita molto disagevole al
Troia Giuseppe affetto da obesità e da ernia ombelicale come si accertò con perizia; egli
evidentemente avrebbe dovuto impiegare un tempo superiore ai 55 minuti per scendere dal Pelavet,
onde è inverosimile che gli automezzi, visti dal Caiola e compagni sullo stradale diretti a S.
Giuseppe Jato poco dopo l’eccidio e il cui arrivo fu accertato in paese dopo 15 o 20 minuti circa dal
teste Napoli Nicolò (f. 113 retro fasc. D), abbiano potuto restituire in paese il gruppo composto dal
Troia, dal Romano, dal Gricoli e dal Marino. Costoro non furono notati affatto dal Sirchia, dal
Fusco, dal Cuccia e dal Riolo cioè dai quattro cacciatori che i malfattori fermarono poco prima
dell’azione criminosa e tennero con loro in stato di sequestro durante la sparatoria. Le giudiziali
ricognizioni in tal senso sono state negative.
L’alibi a favore dei quattro imputati suddetti è imponente ed esclude la presenza di costoro alle
pendici del Pelavet, la mattina del 1° maggio del 1947. I testi sono degni di fiducia alcuni
appartengono all’Arma dei Carabinieri.
(v.ff.104-167-183-189-200-221-222-224-225-229-230-256-258-259a-263-272-274a-276-296-297-
309a-315-323a-325-329-331a-335).
Esclusa la partecipazione materiale del Troia, del Romano, del Gricoli e del Marino all’eccidio,
rimane da esaminare il quesito se in costoro possono ravvisarsi alcuni dei mandanti. Ma anche in tal
senso la compiuta istruzione non ha fornito elementi concreti di sorta. Rimangono le voci correnti
nel pubblico; le larvate minacce contenute in discorsi pubblici e privati da parte di uomini dei partiti
di destra contro la sinistra; la congettura sorta circa pretesi rapporti avuti dal Troia coi banditi di
Montelepre tramite Cucchiara Pietro, figlio del campiere del Troia, oriundi di Montelepre ed
omonimi di affiliati a quella banda, congettura sorta prendendo lo spunto dall’equivoco
atteggiamento del Cucchiara Pietro il quale falsamente attestò al giudice di essere rimasto a casa il 1°
maggio del 1947, mentre fu in contrada Kaggio per ragioni di lavoro come affermato dai numerosi
testi escussi. Nessun rapporto di parentela è emerso tra il Cucchiara, complice del Troia, e gli
omonimi della banda Giuliano. Voci correnti, larvate minacce e congetture, sospetti non sono
elementi di prova come la riunione in contrada Kaggio del 28 aprile 1947 che ebbe però un altro
oggetto: la questione degli estagli.
Queste essendo le risultanze processuali s’impone il proscioglimento del Troia, del Romano, del
Marino e del Grigoli per non avere commesso il fatto, dalle imputazioni loro contestate.
Cucchiara Pietro va rinviato a giudizio per la falsa testimonianza.
Come si è detto gli esecutori materiali del delitto sono stati in massima parte identificati e sufficienti
elementi impongono il loro rinvio a giudizio. Gli elementi a carico di Giuliano Salvatore, Pretti
Domenico e Sapienza Vincenzo sono stati già rilevati avanti. A carico degli imputati Tinervia
Francesco, Sapienza Giuseppe di Tommaso, Tinervia Giuseppe di Giacomo, Terranova Antonino di
Salvatore, Buffa Antonino di Antonino, Musso Gioacchino di Leonardo e Pisciotta Vincenzo di
Francesco stanno le loro giudiziali confessioni rese all’Istruttore che più volte li ammonì che si
trovavano innanzi a Magistrato e che, se avessero voluto modificare e ritrattare le precedenti
dichiarazioni, lo avrebbero potuto liberamente fare.
Sono stati concordi nell’esposizione delle modalità di preparazione ed esecuzione dell’eccidio di
Portella della Ginestra, con dovizia di particolari, senza incorrere in contraddizioni concordando
reciprocamente nelle chiamate in correità giudizialmente mantenute. Le tardive ritrattazioni di alcuni
di essi sono irrilevanti agli effetti delle prove, sono frutto di riflessione e di consiglio negli ambienti
delle carceri giudiziarie, mentre la compiacenza dei testi addetti a discolpa è giustificata dalla
ineluttabile necessità di deporre nel senso voluto dai favoreggiatori della banda che numerosi
ricorrono nella zona di Montelepre e Partinico.
A carico degli imputati Gaglio Francesco, Cristiano Giuseppe, Russo Giovanni, Sapienza Giuseppe
di Francesco, comparsi stragiudizialmente, di Buffa Vincenzo, Gaglio Antonino inteso Costanzo,
Russo Angelo, Di Misa Giuseppe, Lo Cullo Pietro, soprannominato Piddu Pirri, Mazzola Vito, i
quali si sono protestati innocenti sia stragiudizialmente che giudizialmente, di Terranova Antonino
di Giuseppe, Genovese Giovanni, Genovese Giuseppe, Passatempo Salvatore, Passatempo Giuseppe,
Mannino Frank, Pisciotta Francesco, Sciortino Pasquale, Cucinella Giuseppe, Cucinella Antonino,
Sciortino Giuseppe, Pisciotta Gaspare, Candela Rosario di Giuseppe, Badalamenti Nunzio, Motisi
Francesco Paolo e Palma Abbate Francesco di Angelo, tutti latitanti stanno lì le chiamate in correità,
giudizialmente mantenute.
Dallo svolgimento della formale istruzione nessun elemento è emerso invece a carico degli imputati
Abbate Francesco, Pisciotta Salvatore in ordine alla loro partecipazione all’eccidio di Portella della
Ginestra. Contro Abbate Francesco si procedette per errore di persona mentre il vero imputato con
migliori indicazioni fu poi identificato per Palma Abbate Francesco. La partecipazione al crimine di
Pisciotta Salvatore fu ritenuta dai verbalizzanti per presunzione stante che egli aveva fatto parte della
banda sin dalla sua costituzione e aveva attivamente partecipato alle gesta criminose della banda.
La congettura è un vago indizio che porta, in difetto di altri elementi, al proscioglimento con formula
piena.
Insufficienti sono gli elementi a carico di Di Lorenzo Giuseppe per il concorso nell’eccidio di
Portella della Ginestra e reati connessi. Egli partecipò (ed è confesso) all’assalto del Partito
Comunista di Carini, era affiliato alla banda Giuliano e attivamente aveva partecipato ai vari crimini
onde sussiste la presunzione che abbia partecipato anche all’eccidio di Portella della Ginestra. Ma la
prova in un tal senso difetta: le propalazioni di Russo Angelo (f. 461 fasc. A) e di Mazzola Vito (f.
354 fasc. A) non sono state giudizialmente confermate e non ricorre alcun riscontro di sorta, mentre
l’imputato ha sempre negato la sua partecipazione.
Altro imputato della strage di Portella della Ginestra è Madonia Castrenze. A suo carico ricorre la
stragiudiziale propalazione del detenuto Corrao Remo, ma questi non ha confermato giudizialmente
le dichiarazioni rese in merito alla polizia. Il Madonia d’altra parte persiste nella latitanza. In difetto
di altri elementi di riscontro il Madonia va prosciolto pure per insufficienza di prove.
Gli imputati che vennero rinviati a giudizio per l’eccidio di Portella della Ginestra devono altresì
rispondere del sequestro di persona continuato ed aggravato in pregiudizio dei nominati Sirchia,
Fusco, Cuccia e Riolo incontrati dai banditi alle falde del Pelavet ove si trovavano a caccia.
Il sequestro fu operato dal Giuliano (poi riconosciuto in effigie dai quattro) e da coloro che gli
stavano attorno; fu eseguito per portare a termine l’eccidio, i quattro vennero tenuti per quel tempo
dell’azione, immobilizzati sotto la minaccia delle armi.
Del delitto debbono rispondere tutti coloro che sono responsabili di Portella della Ginestra anche se
trovandosi a distanza nelle postazioni e in agguato, non vi presero materialmente parte. Non vi è
dubbio che questo reato diverso fu consumato unicamente per portare a termine l’azione principale
voluta onde vi è un rapporto di causalità tra le due azioni, e del reato diverso ne rispondono tutti i
concorrenti all’azione principale tutte le volte che questo mezzo di causalità non è rotto. Il disposto
dell’articolo 116 C. P. è applicabile nella specie.
Quanto invece al sequestro di persona e all’omicidio del campiere Busellini, detti reati avvenuti
successivamente, quando l’azione di fuoco a Portella della Ginestra era cessata e i banditi, riposte le
armi, si erano avviati a gruppi, ognuno seguendo la sua strada, diretti alle loro case, non possono
addebitarsi che soltanto a quel gruppo di dieci uomini circa, visti dal teste Aquaviva che procedettero
materialmente al sequestro e poi alla soppressione del Busellini. Il fatto fu successivamente e non
trova applicazione l’art. 116, non sussistendo più il nesso di causalità con l’eccidio di contrada
Ginestra. Quel gruppo, il più numeroso, era costituito dal Giuliano e dai suoi più fidi mentre gli altri
si erano allontanati isolatamente. Il Busellini fu sequestrato più tardi, verso le ore tredici e fu poi
soppresso per eliminare un incomodo testimone ma principalmente per vendetta perché egli
attivamente cooperava con la polizia contro la delinquenza, facendo da confidente al brigadiere
Buscassera. Del gruppo, come sappiamo, faceva parte Giuliano Salvatore mentre gli altri sono
rimasti sconosciuti.
Sufficienti elementi ricorrono altresì a carico di Giuliano Salvatore e degli altri indiziati degli assalti
delle sedi dei Partiti Comunisti e Socialisti, che impongono il loro rinvio al giudizio della Corte
d’Assise competente per rispondere dei reati relativi loro rispettivamente ascritti come in epigrafe.
Le risultanze di fatto esposte più avanti sono suffragate dalle stragiudiziali confessioni e chiamate in
correità giudizialmente ripetute di Di Lorenzo Giuseppe, Sapienza Vincenzo, Pretti Domenico,
Musso Gioacchino e dalle giudiziali propalazioni di Buffa Antonino. Le giudiziali confessioni
concordano nei più minuti particolari: dalla narrazione dell’episodio relativo alla riunione di
contrada Belvedere in cui prese la parola Sciortino Pasquale all’esposizione dei singoli episodi; dal
rinvenimento sui luoghi dei delitti di congegni di sicurezza di bombe a mano, di bossoli di proiettili
usati, di resti di bottiglie che contenevano il materiale infiammabile, ai manifestini col proclama del
Giuliano.
Anche l’imputata Candela Vita è raggiunta da sufficienti elementi in ordine al reato di
favoreggiamento personale ascrittole.
Dalle giudiziali dichiarazioni del Buffa e di Pisciotta Vincenzo emerge infatti che essa diede
ospitalità nella sua abitazione ai latitanti Terranova Antonino e Pisciotta Francesco e che nella sua
casa ebbero luogo dei convegni per concertare l’esecuzione di delitti come quello a cui presero parte
Buffa e Pisciotta.
Resta infine da esaminare l’imputazione di partecipazione a banda armata organizzata e capeggiata
dal Giuliano unitamente all’altra di detenzione di armi da guerra di cui sono stati chiamati a
rispondere oltre il Giuliano Salvatore tutti gli altri che alle stragi parteciparono.
A prescindere dall’esistenza di un mandato, ipotizzabile ma non provato, al Giuliano conferito da
altri e da questi accettato per fini di lucro o perché lo trovò consono ai suoi sentimenti di odio verso
il comunismo, è certo che i due gravi delitti, oggetto del presente procedimento, sono stati eseguiti
materialmente da lui e dai suoi associati sopra indicati quale esplicazione dell’attività di quel
sodalizio criminoso precostituito a cui si deve tutta la serie di gravissimi reati comuni consumati
dalla banda dal 1943 ad oggi .
Accanto agli elementi più fidi uniti da tempo da vincolo associativo al Giuliano, altri giovanissimi si
associarono per i nuovi delitti, per dare man forte ai loro congiunti ed amici già affiliati alla banda
dagli stessi sollecitati ed allettati da compensi in denaro promessi e corrisposti in misura varia.
Il vincolo associativo non può essere trascurato e dell’imputazione relativa debbono rispondere
unitamente alla imputazione per la detenzione delle armi anche militari.
Gli imputati ignoti non sono stati identificati.
Badalamenti Francesco, Taormina Angelo, Pianello Giuseppe, Pianello Fedele e Mazzola Federico
sono deceduti giusti certificati in atti.
La competenza per il giudizio è della Corte di Assise di Palermo.
P. Q. M.
La Corte di Appello di Palermo – Sez. istruttoria.
VISTI gli artt. 374, 378, C.P.P. 12 D. L. L. 5.10.45 n. 679;
VISTA la parziale difformità della richiesta del P. M.;
DICHIARATA chiusa la formale istruttoria;
ORDINA
il rinvio a giudizio della Corte di Assise di Palermo di Di Lorenzo Giuseppe per rispondere di strage
commessa in Carini il 22/6/47, di concorso in strage più tentativo di omicidio ed in danneggiamento,
delitti decisi ed organizzati in contrada Belvedere di Montelepre il 20 giugno del 1947, nonché dei
delitti di partecipazione a banda armata e di detenzione di armi e munizioni da guerra, accertati il
22/6/47, e di Candela Vita di Giuseppe, Cucchiara Pietro di Giuseppe, Giuliano Salvatore di
Salvatore, Gaglio Francesco di Vincenzo, Sapienza Giuseppe di Tommaso, Gaglio Antonino di
Giuseppe, Tinervia Francesco di Giacomo, Sapienza Vincenzo di Tommaso, Pretti Domenico di
Filippo, Tinervia Giuseppe di Giacomo, Russo Giovanni fu Salvatore, Terranova Antonino di
Salvatore, Buffa Antonino di Antonino, Buffa Vincenzo di Antonino, Musso Gioacchino di
Leonardo, Cristiano Giuseppe di Giuseppe, Pisciotta Vincenzo di Francesco, Sciortino Pasquale fu
Giuseppe, Terranova Antonino di Giuseppe, Russo Angelo di G. Battista, Genovese Giovanni di
Angelo, Genovese Giuseppe di Angelo, Passatempo Salvatore di Vincenzo, Passatempo Giuseppe di
Vincenzo, Mannino Frank di ignoto, Pisciotta Francesco di Francesco, Cucinella Giuseppe di Biagio,
Cucinella Antonino di Biagio, Sciortino Giuseppe di Emanuele, Pisciotta Gaspare di Salvatore,
Candela Rosario di Giuseppe, Mazzola Vito fu Vito, Badalamenti Nunzio di Salvatore, Motisi
Francesco Paolo di Girolamo, Sapienza Giuseppe di Francesco, Di Misa Giusepe di Michelangelo,
Lo Cullo Pietro di Eugenio, Palma Abbate Francesco di Angelo, per rispondere dei reati
rispettivamente loro ascritti, come in epigrafe, fermo mantenendo lo stato di carcerazione preventiva
in cui si trovano gli imputati Di Lorenzo Giuseppe, Gaglio Francesco di Vincenzo, Sapienza
Giuseppe di Tommaso, Gaglio Antonino di Giuseppe, Tinervia Francesco di Giacomo, Sapienza
Vincenzo di Tommaso, Patti Domenico di Filippo, Tinervia Giuseppe di Giacomo, Russo Giovanni
fu Salvatore, Terranova Antonino di Salvatore, Buffa Antonino di Antonino, Buffa Vincenzo di
Antonino, Musso Gioacchino di Leonardo, Cristiano Giuseppe di Giuseppe, Pisciotta Vincenzo di
Francesco, Sciortino Pasquale fu Giuseppe, Terranova Antonino di Giuseppe, Russo Angelo di G.
Battista, Mazzola Vito fu Vito, Sapienza Giuseppe di Francesco, Di Misa Giuseppe di Michelangelo,
Lo Cullo Pietro di Eugenio; e di mandati di cattura emessi a carico di Giuliano Salvatore di
Salvatore, Terranova Antonino di Giuseppe, Genovese Giovanni di Angelo, Genovese Giuseppe di
Angelo, Passatempo Salvatore di Vincenzo, Passatempo Giuseppe di Vincenzo, Mannino Frank di
ignoto, Pisciotta Francesco di Francesco, Cucinella Giuseppe di Biagio, Cucinella Antonino di
Biagio, Sciortino Giuseppe di Emanuele, Pisciotta Gaspare di Salvatore, Candela Rosario di
Giuseppe, Badalamenti Nunzio di Salvatore, Motisi Francesco Paolo di Girolamo, Palma Abbate
Francesco di Angelo.
DICHIARA
non doversi procedere contro:
– Badalamenti Francesco, Taormina Angelo, Pianello Giuseppe, Pianello Fedele, Mazzola Federico
perché estinti i reati loro ascritti per morte degli stessi;
– Pisciotta Salvatore e Abbate Francesco per i reati loro ascritti per non aver commesso i fatti;
– Madonia Castrenze pure in ordine a tutti i reati ascrittigli;
– Di Lorenzo Giuseppe per il delitto di strage di contrada Portella Ginestra, per il delitto di
partecipazione a banda armata e per detenzione di armi e munizioni da guerra accertate in contrada
Portella della Ginestra il 1° maggio 1947, nonché per il delitto di sequestro di persona in pregiudizio
di Fusco, Cuccia, Sirchia e Riolo per insufficienza di prove;
– gli ignoti perché rimasti tali;
– Romano, Marino, Gricoli e Troia in ordine a tutti i reati a loro ascritti per non aver commesso i
fatti.
ORDINA
l’immediata scarcerazione per Pisciotta Salvatore se non detenuto per altra causa e dispone la revoca
del mandato di cattura emesso contro Madonia Castrenze.
DISPONE
che copia autentica delle dichiarazioni dei testi Cusimano Rosario, Borruso Alberto, Faraci Menna,
Scaduto Alvaro, Licciardi Giuseppe e dei processi verbali di giudiziali esperimenti a cui detti testi
intervennero siano ammessi al Procuratore generale che ha fatto riserva di ulteriori iniziative.
(ff. 34, 38, 67, 68, 174 a 178, 181 a 183 vol. A; ff. 50, 51, 53, 54, 215, 250, 117a, 121 vol. D).
RINVIO A GIUDIZIO
