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STRAGE DI BOLOGNA:
LA CASSAZIONE CONFERMA
CONDANNA A CIAVARDINI 

Con la sentenza della seconda  sezione penale della Cassazione, che ha confermato la condanna a 30 anni per l'ex terrorista nero Luigi Ciavardini, si conclude - almeno per ora - la lunghissima vicenda giudiziaria sulla strage di Bologna.

La Suprema Corte, dopo oltre 4 ore di camera di consiglio, ha riconosciuto che l'ex Nar Ciavardini, all'epoca minorenne (in primo grado il Tribunale dei minori lo aveva assolto per la strage, condannandolo solo per banda armata a tre anni e sei mesi di reclusione), il 2 agosto del 1980 prese parte all'eccidio, che provocò 85 morti e 200 feriti insieme a Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, già condannati all'ergastolo il 23 novembre 1995.

Ma, di fatto, sull'eccidio non c’è ancora una verità definitiva: manca il movente, mancano i mandanti, ci sono piste alternative, ignorate dagli inquirenti, che spuntano continuamente. Insomma la strage di Bologna, nonostante almeno formalmente il capitolo giudiziario si sia chiuso, resta a 27 anni di distanza uno dei grandi misteri italiani.

La vera inchiesta giudiziaria, quella che potrebbe finalmente dare una svolta al mistero di Bologna, sta nella pur sempre tardiva richiesta di rogatoria dei magistrati bolognesi per ascoltare, come persona informata sui fatti, il terrorista tedesco Thomas Kram, che si è costituito alle autorità della Repubblica federale tedesca nel dicembre scorso e di cui è ormai palese ed accertata l’inquietante presenza a Bologna proprio nel giorno dell'eccidio.

Kram, dirigente dell'organizzazione Cellule Rivoluzionarie, era un membro attivo del gruppo Separat di Carlos, detto “lo Sciacallo”.

Ciavardini, ex membro dei Nuclei armati rivoluzionari di Mambro e Fioravanti, che ha già scontato le condanne per l'omicidio di “Serpico”, l'agente di polizia Franco Evangelisti, e per l'uccisione del giudice Mario Amato, in libertà in attesa del giudizio della Cassazione, era tornato in carcere il 9 ottobre scorso quando venne arrestato per una rapina in banca messo a segno nella capitale il 15 settembre del 2005. Il 20 febbraio scorso, per questo episodio, gli era stata inflitta la pena di sette anni e 4 mesi, a conclusione del rito abbreviato.

Ciavardini, 44 anni, 18 dei quali trascorsi tra carcere e semilibertà, si è sempre dichiarato estraneo alla strage di Bologna.

Con l'aiuto del giornalista di Sky Gianluca Semprini ha scritto un libro, La strage di Bologna. Luigi Ciavardini: il terrorista sconosciuto, edito dalla Società Editrice Barbarossa, per raccontare la storia di quel processo. Una vicenda complessa e piena di contraddizioni, il cui primo tassello venne messo, nel lontano 1986, da Angelo Izzo, uno dei tre massacratori del Circeo, un “pentito” fasullo, ma molto amato da alcuni magistrati italiani, quelli di Bologna in particolare che arrivarono a dargli spago quando divenne perfino un “collaboratore di giustizia” per fatti di mafia. Per fortuna a sbugiardare Izzo ci pensò Giovanni Falcone.

All’epoca, siamo nel 1986, sei anni dopo la strage, il “pentito” Izzo dice ai magistrati di Bologna: “Io deduco (sic!) che Ciavardini è coinvolto perché nell'ambiente si parla di ragazzini quali esecutori materiali della strage di Bologna e indiscutibilmente il capofila dei ragazzini della banda Nar-Fioravanti è Luigi Ciavardini”. Un affermazione vaga e discutibile che però, neanche troppo misteriosamente, diventa la base per costruire un teorema inquisitorio pieno di buchi.

L’avv. Alessandro Pellegrini, difensore di Ciavardini, così ha commentato la sentenza: “E’ una condanna basata solo su congetture nei confronti di una persona alla quale non viene attribuito il compimento di alcun fatto specifico relativo alla strage del 2 agosto 1980”.

AMERICANI IN ITALIA:
ARRIVA DAL LAGER DI GUANTANAMO
IL NUOVO COMANDANTE DI SIGONELLA 

Dallo scorso 11 maggio è Thomas J. Queen il nuovo comandante della base di Sigonella (Sicilia). L’ufficiale proviene da Guantanamo, la stazione aeronavale occupata dagli Stati Uniti nell’isola di Cuba. Il militare era in funzione presso il famigerato Ufficio che decide le sorti dei “nemici combattenti”, ossia di centinaia di prigionieri sequestrati illegalmente dalle forze armate americane e dalla Cia in Afghanistan, Medio Oriente, Europa ed Africa.

(Antonio Mazzeo)

FATTI DI GENOVA:
ERA LORENZO MURGOLO (OGGI AL SISMI)
IL RESPONSABILE DELL’ IRRUZIONE ALLA DIAZ 

A coordinare l'irruzione dei poliziotti nella scuola Diaz, durante le tremende giornate del G8, era Lorenzo Murgolo, all’epoca vicequestore vicario di Bologna, nel frattempo promosso - nonostante imputato nel capoluogo ligure - vice direttore di divisione al Sismi, il servizio segreto militare.

La novità è emersa nell’udienza del 3 maggio scorso nel processo da tempo in svolgimento a Genova, durante la deposizione di Francesco Colucci, all’epoca questore del capoluogo ligure, teste dell’accusa per i fatti accaduti nelle scuole Diaz-Pascoli in cui sono imputati 29 poliziotti.

Murgolo era stato indicato da Ansoino Andreassi, all’epoca vicecapo della polizia, quale coordinatore e responsabile dell’ordine pubblico, con funzioni anche di polizia giudiziaria. In quelle giornate Andreassi era il dirigente di polizia con il grado più alto assieme al prefetto Arnaldo La Barbera.

Colucci, nel corso della sua deposizione in commissione parlamentare, aveva già fatto il nome di Murgolo, “ma la cosa - ha spiegato - venne sorvolata”.

Mugolo, un poliziotto molto considerato a Bologna, in passato come investigatore aveva avuto però qualche incertezza. Si era occupato dei delitti della Uno bianca (suo il blitz nell’albergo di Gaeta che nulla aveva a che fare con la banda dei fratelli Savi) e della strage del Pilastro che vide finire alla sbarra per anni degli innocenti. 

FATTI DI GENOVA (2):
POLIZIOTTI INDAGATI PER MOLOTOV SCOMPARSE 

Alcuni poliziotti sarebbero indagati per la sparizione delle due bottiglie molotov, fonte di prova a carico di alcuni loro colleghi imputati, di falso e calunnia nel processo per la sanguinosa irruzione della polizia nella scuola Diaz, durante il G8.

Le due bottiglie incendiarie vennero trovate il 21 luglio del 2001 in una aiuola di corso Italia dal vicequestore pugliese Pasquale Guaglione che le consegnò al gen.Valerio Donnini. Le molotov finirono a bordo di un furgone Magnum della polizia, guidato da Michele Burgio, autista del vicequestore romano Pietro Troiani che, secondo l'accusa, in serata le avrebbe introdotte nella scuola.

A gennaio, nel corso del processo per i fatti accaduti nell'istituto Diaz, emerse che le due bottiglie molotov - fonte di prova - forse erano state erroneamente distrutte. La questura, su richiesta della procura, aveva spiegato nella sua relazione ai pubblici ministeri che “le due bottiglie non sono più nella disponibilità del nucleo regionale Artificieri Liguria”.

Il giudice Gabrio Barone ordinò quindi alla procura di avviare un’inchiesta per la sparizione delle due bottiglie incendiarie, poi affidata al pm Patrizia Petruzziello.

FATTI DI GENOVA (3):
INFERMIERA DI BOLZANETO
RISCHIA ACCUSA DI FALSA TESTIMONIANZA 

Un'infermiera, Maddalena Ferrara, in servizio nella caserma della Polizia di Bolzaneto durante il G8 del 2001, sentita come teste della difesa nel processo a carico di 45 persone, rischia di venire incriminata dai pm per falsa testimonianza.

Dopo la sua deposizione, infatti, i pubblici ministeri Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati hanno chiesto al tribunale la trasmissione del verbale d’udienza al loro ufficio per iniziare l'azione penale. I giudici si sono riservati di decidere.

La Ferrara era stata a suo tempo indagata per omissione di denuncia per aver assistito ad un pestaggio di un detenuto nella stanza dei medici. Ma i pm avevano chiesto nei suoi confronti l'archiviazione, poi concessa dal Gip.

La teste, che era in servizio in quei giorni nella caserma insieme alla dottoressa Adriana Mazzoleni, imputata nel processo, nel corso dell’interrogatorio, ha raccontato cose diverse dagli altri testi, sostenendo che nella caserma tutto era filato liscio e che non c‘erano stati soprusi e violenze a carico dei detenuti.

L’infermiera ha anche negato fatti ormai acclarati: ad esempio che nella stanza dei medici fossero presenti anche agenti di polizia penitenziaria, che i detenuti venissero visitati nudi e obbligati a fare flessioni e che molti arrestati fossero feriti. La teste non ricordava neppure di aver visto una ragazza con i denti e la mascella rotta e che era stato soccorso un detenuto a cui era stato spruzzato in viso del gas urticante.

MAFIA:
CONDANNA DEFINITIVA PER BRUNO CONTRADA 

Il 10 maggio scorso i cinque giudici della sesta sezione penale della corte di Cassazione - presieduta da Giorgio Lattanzi - hanno condannato Bruno Contrada, ex capo della squadra mobile di Palermo, a dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, un reato quanto mai infamante per un poliziotto diventato il “numero tre” del Sisde, il servizio segreto civile.

Contrada dovrà ora scontare la pena nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere.

Si chiude così una vicenda giudiziaria durata quasi 15 anni e con ogni probabilità un nuovo errore giudiziario viene commesso.

La suprema corte ha infatti convalidato la sentenza del secondo processo di appello (25 febbraio 2006), dopo l'annullamento della Cassazione (12 dicembre 2002) dell'assoluzione decisa nel primo appello (il 4 maggio 2001). Ma alla base della condanna definitiva di Contrada nessuna prova tangibile, se non la parola di alcuni “collaboratori di giustizia”, alcuni dei quali ritenuti inattendibili da altre corti di giustizia.

Contrada era già stato condannato ancora prima del processo”, ha commentato l'avvocato Piero Milio che insieme a Gioacchino Sbacchi ha difeso l'ex funzionario di polizia.

Contrada - che oggi ha 77 anni - ha già scontato 31 mese di carcerazione preventiva.

MAFIA (2):
NO ALL’ARCHIVIAZIONE
DEGLI OMICIDI AGOSTINO-CASTELLUCCI 

Il Gip Maria Pino ha autorizzato la prosecuzione dell'indagine contro ignoti sull'uccisione di Antonino Agostino, il giovane poliziotto assassinato con la moglie Ida Castellucci, il 5 agosto 1989 a Palermo in circostanze a tuttoggi misteriose.

Recentemente Vincenzo Agostino, il padre dell'agente ucciso, avrebbe riconosciuto in una foto pubblicata da un giornale nell'imprenditore Gaetano Scotto, il misterioso inseguitore che per diversi giorni avrebbe pedinato lui, il figlio e la nuora durante il viaggio di nozze del giovane poliziotto. Su Scotto, la cui posizione era stata archiviata nell'ambito della stessa inchiesta nel 2003, il Gip ha però respinto la richiesta della difesa dei familiari di Agostino di autorizzare nuove indagini sulla cosiddetta “pista canadese” che coinvolge anche l'imprenditore.

L'autorizzazione a proseguire le indagini era stata richiesta dal pm Nico Gozzo, titolare dell'inchiesta, che adesso ha altri sei mesi di tempo per indagare.

MAFIA (3):
MANCATA CATTURA PROVENZANO,
GUP RIGETTA ARCHIVIAZIONE 

La richiesta di archiviazione avanzata dalla Dda di Palermo per l’ex direttore del Sisde Mario Mori e di altri due ufficiali dei carabinieri, Antonio Subranni e Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento, ma anche per il colonnello Michele Riccio, accusato di calunnia, è stata rigettata dal Gup del Tribunale di Palermo, Maria Pino.

L'inchiesta ruota attorno al mancato blitz del 31 ottobre del '95 a Mezzojuso, piccolo centro del palermitano, che avrebbe potuto portare all'arresto dell'allora boss latitante Bernardo Provenzano.

L'indagine prese il via in seguito alle dichiarazioni rese dal col. Michele Riccio nel 2001 il quale aveva appreso la notizia di un summit che si sarebbe svolto proprio a Mezzojuso con Provenzano. Secondo Riccio, sarebbero stati informati della possibilità di arrestare Provenzano i suoi superiori del Ros, cioè Subranni, Mori e Obinu. Ma i tre, sempre secondo Riccio, si sarebbero rifiutati di intervenire per la mancanza di mezzi tecnici. Mori e Obinu, dal canto loro, hanno immediatamente presentato querela nei confronti del colonnello Riccio.

Sarà adesso il gup Maria Pino a decidere se riterrà opportune ulteriori indagini da indicare al pm Antonino Di Matteo.

MOBY PRINCE:
NUOVI DOCUMENTI SULLA TRAGEDIA 

Prove mai esaminate nel corso delle inchieste e che svelerebbero particolari inediti sulla vicenda Moby Price, il traghetto che il 10 aprile del 1991 si scontrò con la petroliera Agip Abruzzo, nel porto di Livorno. Morirono 140 persone. A trovarle l’avvocato di parte civile Carlo Palermo.

In base alle nuove prove sette navi militari americane più una francese avrebbero portato fuori dalla base americana di Camp Derby ingenti quantità di materiale bellico (fra cui esplosivo). Un’operazione che non risulta autorizzata dalla prefettura, come prevedono la legge italiana e le norme sulla sicurezza portuale. Un’operazione, quindi, assolutamente illecita.

Quella sera, quando il Moby Prince esce dal porto di Livorno trova una serie di navi militari in operazione e altre navi fantasma che si muovono con nomi di copertura che sono dove non dovrebbero essere e probabilmente fanno cose che non dovrebbero fare.

Intanto la procura di Livorno ha acquisto l’attività informativa svolta sulla tragedia dal Sisde, il servizio segreto civile.

Il procuratore non ha però voluto rivelare quale sia il contenuto della documentazione acquisita. Gli inquirenti livornesi hanno fatto anche molti interrogatori e tra le persone ascoltate c’era anche Alessandro Massari, il perito chimico esplosivistico che per primo parlò della possibilità che a bordo del Moby Prince vi fosse stata una bomba nascosta nel locale delle eliche di prua.

STRAGE DI PIAZZA LOGGIA:
RICHIESTE DI RINVIO A GIUDIZIO
PER SETTE INDAGATI 

La Procura di Brescia ha depositato il provvedimento con le richieste di rinvio a giudizio per la strage di piazza della Loggia, dove il 28 maggio 1974, durante una manifestazione sindacale, l'esplosione di un ordigno nascosto in un cestino dei rifiuti uccise otto persone e ne ferì 104.

Le richieste riguardano sette indagati: gli ordinovisti Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Maurizio Tramonte, accusati di aver organizzato materialmente il massacro - un'accusa che sarebbe a carico anche di Carlo Digilio, deceduto - oltre al senatore di Forza Italia Gaetano Pecorella, legale di Zorzi, il “pentito” Martino Siciliano con il rispettivo avvocato Fausto Maniaci, e Vittorio Poggi. Gli ultimi quattro sono sospettati a vario titolo chi di favoreggiamento personale e chi di riciclaggio e ricettazione.

Le indagini, condotte dal procuratore aggiunto Roberto Di Martino e dal sostituto Francesco Piantoni, e chiuse formalmente a fine ottobre, hanno beneficiato di 4 proroghe speciali concesse dal Parlamento.

Una seconda tranche dell'inchiesta - nel cui ambito sarebbe indagato un altro gruppo di persone, tra cui il fondatore di Ordine nuovo Pino Rauti e l'ex generale dei carabinieri Francesco Delfino - è pure alle battute finali.

ANNI DI PIOMBO:
BRUCIATA LA LAPIDE CHE RICORDA
VALERIO VERBANO 

La lapide bruciata, così come la corona di fiori e la bandiera deposte dal Comune di Roma: così appariva il 19 maggio scorso il luogo che, in via Monte Bianco, nel quartiere Monte Sacro a Roma, ricorda l'uccisione di Valerio Verbano, il giovane militante di Autonomia operaia, che  27 anni fa, venne ucciso, all'età di 18 anni, da un commando dei Nar che lo aveva atteso nella sua abitazione, dove aver immobilizzato i suoi genitori.

A scoprire l'insulto alla lapide è stata la mamma di Valerio che oggi ha 83 anni e  non ha ancora perso la speranza che gli assassini di suoi figlio possano essere scoperti.

Il 25 febbraio 2006, nell'anniversario della morte di Valerio, il sindaco di Roma, Walter Veltroni, aveva intitolato a Valerio Verbano un viale nel Parco delle Valli, nel cuore di Montesacro, il quartiere dove viveva.

ANNI DI PIOMBO (2):
FERRANDI E LA FIGLIA DELLA SUA VITTIMA 

Mario Ferrandi, già militante dell’Autonomia operaia milanese, che il 14 maggio 1977 uccise, durante la battaglia tra autonomi e polizia, il vicebrigadiere Antonio Custra, ha chiesto di poter incontrare Antonia, figlia dell’agente, nata orfana un mese e mezzo più tardi.

Portavamo le armi alle manifestazioni ed io ero il capo di quella struttura - ha detto Ferranti in un’intervista al Giornale - Di quello che accadde io porto tutta la responsabilità. Il punto è che quel giorno la situazione degenerò come mai era successo e Via De Amicis diventò un teatro di guerra, come se Milano fosse Beirut. Fu una maledetta fatalità. Noi eravamo andati a protestare davanti a san Vittore. Eravamo due o tremila. Accadde un'altra circostanza imprevedibile. Una molotov, spenta, piovve proprio a Memeo. Probabilmente Memeo perse la testa e cominciò a sparare ad altezza d'uomo con la sua calibro 22. Si usciva a turno allo scoperto, si sparava, si rientrava in posizione coperta. Quando fu il momento sparai ad altezza d'uomo due o tre proiettili con la mia calibro 7.65. Non vidi cadere nessuno, ma occorreva tenere presente che i poliziotti erano a centotrenta metri di distanza. Non voglio assolutamente sminuire il mio ruolo per quella tragedia. So che finalmente quando la calma tornò io ero convinto che fosse morto qualcuno di noi”.

Ci rimasi di sasso - ha aggiunto Ferrandi - quando scoprii, la sera, che a terra era rimasto un agente. Scappammo via tutti. Pensavo che ci avrebbero preso. Io mi rifugiai vicino a Roma”.

Mario Ferrandi è uscito dal carcere nel 1991. Ha lavorato per cinque anni con don Mazzi per liberare il Parco Lambro dagli spacciatori. Ora lavora come informatico precario.

Ora sono qua. Pronto a rispondere alle domande di Antonia Custra e di chi ha perso il padre. E vuole sapere perché una generazione ha imbracciato il fucile”.

TERRORISMO ITALIANO:
ARRESTATI NUOVE BR CHIEDONO SCARCERAZIONE 

A poco più di 3 mesi dal blitz disposto dalla procura di Milano sulle presunte Nuove Brigate Rosse si prepara una lunga serie di richieste di scarcerazione da parte dei difensori delle persone finite in carcere quel giorno.

I primi a presentare un’istanza di revoca della misura cautelare in carcere sono stati i legali di Amarilli Caprio, che hanno depositato la loro richiesta al Gip Guido Salvini.

I difensori hanno motivato la loro istanza con la mancanza di gravi indizi di colpevolezza.

Amarilli Caprio è stata accusata di associazione sovversiva, banda armata e detenzione delle armi poi sequestrate nel corso dell'inchiesta in Piemonte e nel Veneto. Nei prossimi giorni i legali degli altri coindagati, ad eccezione di quelli che si sono dichiarati prigionieri politici, presenteranno al Gip analoghe istanze.

OMICIDIO AVERSA:
ROSETTA CERMINARA
CONDANNATA DEFINITIVAMENTE PER CALUNNIA 

Additata come esempio di coraggio ed insignita della medaglia d’oro dal presidente della Repubblica, Rosetta Cerminara, la falsa collaboratrice della magistratura calabrese, è stata condannata definitivamente a 2 anni e 2 mesi di reclusione dalla corte di Cassazione per calunnia e truffa aggravata ai danni dello Stato.

La Cerminara era stata “testimone di giustizia” nel processo per l'assassinio dell'ispettore di polizia Salvatore Aversa e della moglie, Lucia Precenzano, uccisi il 4 gennaio 1992 a Lamezia Terme in un agguato di stampo mafioso.

La suprema corte ha rigettato il ricorso presentato dalla Cerminara contro il verdetto emesso il 4 aprile 2006 dalla corte d'Appello di Catanzaro. Parti lese del processo - ai quali la donna deve rifondere i danni subiti - erano Giuseppe Rizzardi  e Renato Molinaro (nel frattempo deceduto), indicati dalla teste come esecutori del delitto dei coniugi Aversa.

Rizzardi e Molinaro sono stati completamente assolti  dalla corte d’Appello di Catanzaro dopo una tormentata e complessa vicenda giudiziaria che ha dato luogo anche a procedimenti nei confronti dei magistrati requirenti e giudicanti che si sono occupati delle false dichiarazioni della donna, rivelatasi teste inattendibile.

In primo grado la  donna era stata condannata anche per il reato di falsa testimonianza, riportando una condanna - emessa dal Gup con rito abbreviato - a 3 anni e 4 mesi, poi diminuiti in secondo grado.

Nei confronti della Cerminara si e costituito parte lesa anche  lo Stato in quanto la Cerminara ha indebitamente percepito delle somme di denaro in qualità di “testimone di giustizia”.

In  Cassazione la donna è stata difesa dall’avv. Taormina.

Si conclude così una sgradevole vicenda che dimostra ancora una volta come in tema di “pentiti”, “collaboratori di giusitizia” e “testimoni” la cautela dei media debba sempre essere al massimo livello.

OMICIDIO CONIUGI DONEGANI:
ERGASTOLO E ISOLAMENTO PER IL NIPOTE 

Condanna all’ergastolo e a tre anni di isolamento diurno nel processo di primo grado per Guglielmo Gatti, ritenuto colpevole dalla corte d’Assise di Brescia del duplice omicidio degli zii Aldo Donegani e Luisa De Leo.

La scomparsa dei due coniugi venne denunciata nei primi giorni d'agosto del 2005. A scoprirla fu Michele De Leo, nipote di Luisa che, giunto dalle Marche dove vive e lavora come carabiniere, non trovò ad attenderlo, a differenza di quanto concordato, gli zii.

Gugliemo Gatti - secondo la ricostruzione dell’accusa - li aveva già uccisi e fatti a pezzi. I corpi erano stati gettati in parte a Provaglio d’Iseo, in parte al passo del Vivione, in parte in luoghi ancora sconosciuti. Ma proprio quell’appuntamento saltato, secondo l'accusa, fece saltare i piani di Gatti.

Gatti era stato arrestato il 17 agosto 2005, giorno del ritrovamento al passo del Vivione di parte dei corpi dei due coniugi. Le teste di Aldo Donegani e Luisa de Leo vennero invece rinvenute nel gennaio e nel novembre del 2006.

Il presidente della corte d’Assise, Enrico Fischetti, ha disposto la confisca dei beni di Guglielmo Gatti ad eccezione del suo appartamento e della mansarda di via Ugolini. Gatti dovrà inoltre versare 80.000 euro a ognuna delle cinque  parti civili, i quattro fratelli di Luisa De Leo e il figlio del quinto, deceduto.

Rimane fiducioso nell'appello il difensore di Gatti,  l’avv. Luca Broli.

STRAGE DI ERBA:
CHIUSA L’INCHIESTA SENZA PERIZIA PSICHIATRICA 

A cinque mesi dalla strage di Erba e a quattro mesi dall'arresto dei coniugi Olindo Romano e Rosa  Bazzi, la procura di Como ha chiuso l'inchiesta sul quadruplice omicidio avvenuto la sera dell’11 dicembre scorso in via Diaz: l’assassinio di Raffaella Castagna, 30 anni; del piccolo Youssef Marzouk, 2 anni: della madre di lei, Paola Galli, 57 anni e della vicina di casa, Valeria Cherubini, 55 anni, nonché il tentato omicidio del marito della Cherubini, Mario Frigerio, 65 anni.

Il pubblico ministero Massimo Astori ha depositato l'avviso di chiusura indagini senza la richiesta di alcun tipo di perizia psichiatrica su Olindo Romano e Rosa Bazzi, contestando ai due coniugi, 45 anni lui, 43 lei, reati che prevedono la pena dell'ergastolo.

Nelle contestazioni dei magistrati comaschi (oltre al pm Astori, le indagini sono state condotte dai colleghi Mariano Fadda, Antonio Nalesso e Simone Pizzotti) emerge il concorso pieno dei coniugi Romano nell'ideazione della strage, nella sua esecuzione e nell'occultamento delle prove, tanto che non separa in alcun modo i ruoli tra marito e moglie in tutte le fasi dell'accaduto. Non solo: la storia stessa della vicenda, così come raccontata dagli stessi indagati, con la premeditazione, i tentativi già fatti nelle settimane precedenti, e con l’occultamento delle prove, secondo i pm comaschi rende superfluo ogni tipo di approfondimento tecnico sulla capacità di agire dei due coniugi al momento della commissione del reato.

Tanto che le indagini sono state chiuse senza la richiesta di alcun tipo di perizia psichiatrica su Olindo Romano e Rosa Bazzi.

MORTE MOANA POZZI:
INDAGATO IL MARITO 

La procura di Roma ha iscritto nel registro degli indagati Antonio Di Ciesco, già marito della pornostar Moana Pozzi, per il reato di “omicidio del consenziente”.

Di Ciesco aveva raccontato al quotidiano Il Messaggero che era stata la stessa pornodiva a chiedergli di porre fine alle sue sofferenze. E l'uomo aveva fatto entrare nella flebo alcune bolle d'aria che ne avrebbero provocato l'arresto cardiaco.

I dubbi su questa ricostruzione degli ultimi giorni di vita della pornostar sono venuti da più parti. Sia a livello medico-scientifico sia a livello giudiziario. Il biografo di Moana, lo scrittore Brunetto Fantauzzi, ha sempre sostenuto che la morte della donna rimane circondata da troppi aspetti misteriosi, al punto che potrebbe anche prendere corpo l'ipotesi di una Moana stanca della vita che andava conducendo e desiderosa soltanto di scomparire senza lasciar traccia.

Lo stesso Fantauzzi aveva apertamente dichiarato che, se la ricostruzione di Di Ciesco fosse stata confermata, ci sarebbe stato per lui il rischio di un'incriminazione. Anche perché, favorendo la morte della moglie, ne ottenne di fatto l'eredità.

Fonte: Il velino

DELITTO DI VIA POMA:
CONFRONTO IN PROCURA
TRA SORELLA SIMONETTA E VOLPONI 

A quasi 17 anni dall'omicidio di Via Poma, Paola Cesaroni, sorella di Simonetta, e Salvatore Volponi, datore di lavoro dell'impiegata uccisa con 30 coltellate il 9 agosto 1990, si sono ritrovati faccia a faccia per un confronto davanti al pubblico ministero Roberto Cavallone.

L'atto istruttorio, tuttavia, non ha avuto esito in quanto Volponi si à avvalso della facoltà di non rispondere. Posizione questa consentita al testimone che per l'omicidio di Via Poma fu indagato a suo tempo.

Volponi e Paola Cesaroni sono le due persone che trovarono il cadavere di Simonetta.

Al centro del confronto, stando alle indiscrezioni, dovevano esserci alcune precisazioni riguardo le modalità di ricerca, la sera del 9 agosto 1990, dell'indirizzo dell'associazione degli ostelli della gioventù, da parte dei due, nella cui sede fu massacrata Simonetta Cesaroni.

L'iniziativa del pubblico ministero Cavallone rientra nell'ambito di un riesame di tutti i verbali di interrogatorio eseguiti durante le indagini sul delitto.

DELITTO FALCIDIA:
PER IL TRIBUNALE DEL RIESAME
NESSUN INDIZIO CONTRO IL MARITO 

Non vi sono gravi indizi di colpevolezza. Vincenzo Morici non doveva essere arrestato.

E' questa in sintesi la motivazione dell'ordinanza del tribunale del Riesame di Catania, presieduto da Antonino Giurato, che ha annullato l'ordinanza di custodia cautelare in carcere richiesta dalla procura di Catania e firmata dal Gip Santino Mirabella nei confronti di Vincenzo Morici, indagato dell'omicidio della moglie, la professoressa Antonella Falcidia, avvenuto 13 anni fa.

Nelle motivazioni il tribunale del Riesame entra nel merito del provvedimento del giudice dell’udienza preliminare ritenendo che la ”pur imponente mole di accertamenti espletati non abbia consentito ‘acquisizione di elementi idonei a superare la soglia della gravità”.

Secondo i giudici la “complessiva ricostruzione dell’episodio è infatti basata su una serie di assunti la cui dimostrazione se sottoposta ad attento e scrupoloso vaglio lascia ampi margini di dubbio e che solo attraverso mere supposizioni possono essere convogliati verso un quadro unitario”.

Insomma, nell’arrestare dopo tanto tempo il marito della donna trovata morta a casa sua nel 1994, i magistrati hanno preso un abbaglio o forse, assieme ai carabinieri del RIS, si sono fatti suggestionare da troppa letteratura gialla scadente.

Vincenzo Morici, primario del reparto di chirurgia generale dell'ospedale di Taormina, era finito in manette il 14 marzo scorso con l'accusa di omicidio.

L'inchiesta sul delitto era stata riaperta dalla procura di Catania nel febbraio dello scorso anno. La presunta svolta era arrivata dopo che uno scanner in uso nell'università di Trieste - durante esami del Ris su una macchia di sangue, confusa, ai bordi inferiori di un divano con tappezzeria fiorata - aveva evidenziato, secondo l'accusa, le prime tre lettere a stampatello maiuscolo del nome del marito, “ENZ”, che sarebbero state scritte dalla vittima, che avrebbe così indicato nel coniuge l'omicida.

Per la procura il movente sarebbe stato quello classico: la gelosia.

ANGELO IZZO:
LA DIFESA CHIEDE NUOVA PERIZIA PSICHIATRICA 

I legali di Angelo Izzo - il massacratore del Circeo, “pentito” buono per ogni stagione e, di recente, condannato nuovamente all'ergastolo per il duplice omicidio di Ferrazzano - hanno presentato un ricorso contro la sentenza, chiedendo una nuova perizia psichiatrica del condannato che ha anche presentato una '”memoria'” sul processo.

Il penalista Giuseppe Mileti insiste infatti sullo stato mentale di Izzo che, a suo avviso, necessita di altri approfonditi accertamenti.

Il pluriomicida ha preparato una nuova memoria inviata alla corte d'Assise di Campobasso.

DELITTO GUCCI:
PATRIZIA REGGIANI VERSO LA SEMILIBERTA' 

Un'istanza per chiedere l'ammissione del regime di semilibertà è in via di valutazione da parte del legale di Patrizia Reggiani, vedova dell'imprenditore Maurizio Gucci, ucciso nel marzo del '95 a Milano e per il cui delitto la donna è stata condannata in via definitiva a 26 anni di carcere.

Il suo avvocato, Danilo Buongiorno, ha spiegato che vi sarebbero le condizioni per l'ammissione alla semilibertà: l'aver scontato metà della pena, unitamente ai 45 giorni ogni semestre concessi per via della buona condotta e vi sono anche delle possibilità di lavoro esterno.

Patrizia Reggiani ha ora il permesso di vedere saltuariamente le figlie e la madre.

MOSTRO FIRENZE:
DOPO 12 ANNI PER GIUTTARI FINISCE LA CACCIA 

Dopo 12 anni di indagini il poliziotto-scrittore Michele Giuttari, primo dirigente della polizia, ha smesso di dare la caccia al mostro di Firenze.

In attesa di un nuovo incarico Giuttari è stato assegnato all'ufficio centrale del ministero dell'Interno.

Dei duplici omicidi avvenuti in Toscana tra la fine degli anni Sessanta e il 1985 aveva cominciato a occuparsi nel 1995 come dirigente della squadra mobile di Firenze su incarico dell'allora procuratore Piero Luigi Vigna. Fu lui, stravolgendo tutte le indagini fin lì condotte, ad “ideare” con un grande sforzo di fantasia la famosa cooperativa di mostri capeggiata da Pacciani e composta da Vanni e Lotti.

Fu ancora lui, con altro svolazzo di fantasia, a ipotizzare il collegamento tra la morte del medico Francesco Narducci, avvenuto a Perugia, e le vicende del mostro (o mostri) di Firenze. Secondo gli inquirenti perugini il medico venne infatti ucciso perchè coinvolto nel gruppo responsabile dei delitti toscani (ma la famiglia ha sempre parlato di un incidente estraneo a quella vicenda).

Dalla sua il fatto che l'inchiesta sui compagni di merende è stata confermata dalla sentenza di condanna definitiva a carico di Mario Vanni e Giancarlo Lotti, una condanna più che discutibile sotto il profilo della logica.

In attesa di conoscere il nuovo incarico, Giuttari avrà tempo di affinare la sua scrittura.

MOSTRO FIRENZE (2):
AVVISO DI FINE INDAGINE A PM PERUGIA 

Si avvia a conclusione l’inchiesta per abuso d’ufficio dei magistrati fiorentini nei confronti del sostituto procuratore di Perugia Giuliano Mignini, per intenderci l’assertore della setta satanica che avrebbe agito attorno alle imprese delittuose del mostro di Firenze in cui sarebbe da annoverare anche la morte del medico perugino Francesco Narducci.

Indagato per lo stesso reato anche il poliziotto-scrittore Michele Giuttari, ex capo del Gides, il gruppo investigativo creato per indagare sui delitti di Perugia e Firenze.

Sulla base della ricostruzione fatta dai magistrati toscani, il pm perugino avrebbe svolto una sorta di indagine parallela per aiutare Giuttari, all'epoca dei fatti indagato a Genova, quest'ultimo procedimento è stato poi archiviato).

OMICIDIO BISI:
NUOVO PROCESSO DI APPELLO PER LUCA DELLI 

Dovrà essere rifatto il processo d'appello a Luca Delli, 29 anni, fiorentino, accusato dell’omicidio e dell'occultamento del cadavere di Margherita Bisi, la 37enne bolognese scomparsa dal 13 marzo 2002 e il cui cadavere non è mai stato ritrovato.

Lo ha stabilito la corte di Cassazione che ha accolto il ricorso presentato dai difensori di Delli, gli avvocati Paolo Florio e Nicola Muncibì, contro la sentenza della corte d’Appello di Firenze che l’11 maggio del 2006 aveva confermato la condanna a 23 anni di reclusione per Delli.  

Nel corso delle indagini, i carabinieri risalirono a Delli seguendo le tracce dei due cellulari della Bisi. I due telefonini, venne dimostrato, immediatamente dopo la scomparsa della donna si trovavano in possesso del fiorentino. Quest’ultimo ammise di essersi incontrato con la Bisi in un'area di servizio a Firenze, sostenendo però di aver lasciato la donna dopo un incontro durato pochi minuti. Una ricostruzione ritenuta inattendibile sia dai giudici di primo grado, sia da quelli di secondo.

ECOMAFIE:
IL LIBRO BIANCO DI LEGAMBIENTE 

Una montagna di rifiuti alta come il Gran Sasso che sparisce nel nulla ogni anno, tre reati contro l’ambiente ogni ora, un traffico di animali selvatici per oltre 3 miliardi ogni anno, migliaia di case abusive (30 mila solo nel 2006) e un giro d’affari di 23 miliardi di euro.

Questa la fotografia di Legambiente nel Rapporto Ecomafia 2007.

Nel 2006 sono state accertate dalle forze dell’ordine 23.668 infrazioni e le quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Sicilia, Calabria, Puglia e Campania) sono stabilmente ai primi quattro posti della classifica con il 45,9 per cento dei reati ambientali.

Le notizie più preoccupanti arrivano dai rifiuti soprattutto quelli speciali, pericolosi e non, e si conta che quelli fatti sparire nel nulla sono almeno 26 milioni di tonnellate, circa il 25 per cento del totale prodotto, mentre il business della “Rifiuti Spa” cresce in un anno del 38 per cento.

Oltrepassando il confine nazionale la situazione rifiuti non è delle migliori, l’agenzia delle dogane ha infatti sequestrato nel solo 2006 circa 286 container con oltre 9 mila tonnellate di rifiuti e la Cina si conferma la meta privilegiata dei traffici illeciti provenienti dai paesi industrializzati, come anche India, Siria, Croazia, Austria, Norvegia, Francia e alcuni paesi del Nordafrica.

Il libro bianco dell’associazione ambientalista sui traffici di rifiuti e l’abusivismo edilizio analizza anche luci e ombre del sistema del saccheggio dei beni archeologici, il commercio illegale di specie protette, le corse clandestine di cavalli e i combattimenti tra cani.

TERRORISMO TEDESCO:
PROCESSO A EX MILITANTE ZORA LA ROSSA 

Una ex militante dell'organizzazione terrorista Rote Zora (Zora la Rossa, dal titolo di un libro per bambine) ha ammesso in tribunale la sua partecipazione a due falliti attentati dinamitardi negli anni 80.

Adrienne Gerhaeuser, che ha 58 anni, si è costituita volontariamente alla fine dello scorso anno, ha ammesso di avere procurato consapevolmente i timer usati per gli ordigni esplosivi negli attentati contro l'Istituto di genetica di Berlino nell’ottobre 1986 e contro una fabbrica di abbigliamento vicino a Aschaffenburg, in Baviera nel giugno 1987. In ambedue i casi un difetto tecnico ha impedito le esplosioni.

La donna è accusata di partecipazione ad associazione terroristica.

Rote Zora è stata una organizzazione composta in prevalenza da donne e femministe di sinistra affiliata alle Cellule rivoluzionarie (Rz), ora disciolte.

ARGENTINA:
TRIPLA A,
PROCURA MADRID PER ESTRADIZIONE ALMIRON 

La procura spagnola si è detta favorevole all'estradizione in Argentina di Rodolfo Almiron per crimini di “lesa umanità” commessi dall'organizzazione paramilitare clandestina Tripla A durante gli anni Settanta.

Alla Tripla A (Alleanza Anticomunista Argentina) sono attribuiti 1500 attentati e assassini di oppositori di sinistra fra il 1973-75 e fu diretta dal segretario e ministro del presidente Juan Domingo Peron, Josè Lopez Rega i cui servizi furono poi ereditati dalla vedova del dittatore, Isabel Peron, “Isabelita”. Anche nei confronti di quest’ultima è stata chiesta l'estradizione.

Lopez Rega, un ex poliziotto, era conosciuto come “el Brujo”, lo Stregone, per il suo interesse all'esoterismo e alla magia nera che condivideva con Isabelita.

Si racconta che quando Peron morì, tentò di resuscitarlo tirandogli i piedi e gridando “avanti Faraone, alzati!”.

Lopez Rega è morto nel 1989 mentre aspettava di essere processato dopo l'arresto avvenuto negli Stati Uniti.

RADDOPPIO AUTOSTRADA DEL SOLE:
FAMIGLIA FRANZONI SI AGGIUDICA LAVORI LOTTO 

Sarà la famiglia di Annamaria Franzoni a effettuare gli ultimi lavori necessari alla variante di valico, il raddoppio dell'Autostrada del sole tra Bologna e Firenze.

A vincere la commessa qualche mese fa è stata infatti la Man.ter., una società di San Benedetto di Val di Sambro con appena 10.400 euro di capitale sociale equamente diviso fra due fratelli di Annamaria, la donna condannata in secondo grado a 16 anni di reclusione per aver ucciso il figlio Samuele.

Come riferisce il quotidiano Italia Oggi, le quote della Man.ter. sono suddivise tra Andrea e Leonardo Franzoni, mentre il direttore generale della società è il padre di Annamaria, Giorgio Franzoni, e il direttore tecnico il marito, Stefano Lorenzi.

La Man.ter., azienda che è divenuta totalmente della famiglia Franzoni nella seconda parte del 2005, è entrata a far parte della società consortile Valico, cui è stata subappaltata la realizzazione di lavori del lotto 5b della variante di valico, assegnato nel 2006 alle più grandi cooperative rosse, dalla Cmb di Carpi al Consorzio cooperative e costruzioni (CCC).

L'appalto originario vale qualcosa in più di 100 milioni di euro, il subappalto alla Valico è stato assegnato alla fine del luglio 2006. Ma, secondo il quotidiano, il consorzio è stato costituito solo il 2 febbraio scorso.

Si tratta di uno dei lavori più importanti ottenuti dalla società della famiglia Franzoni - scrive ancora Italia Oggi - che nel 2005 ha fatturato 339.122 euro con un utile di 19.760 euro”.

DELITTO DI COGNE:
AVV. TAORMINA PRESENTA IL CONTO 

Per ora c’è stata solo una telefonata di annuncio, ma abbastanza esplicita: dopo quattro anni di attività difensiva, il professor Carlo Taormina presenta il conto alla famiglia Lorenzi.

Il noto penalista, che in passato aveva lasciato intendere che avrebbe anche potuto rinunciare al compenso per difendere Annamaria Franzoni dalla terribile accusa di aver ucciso il piccolo Samuele, deve averci ripensato, soprattutto alla luce della improvvisa decisione dei Lorenzi di cambiare avvocato difensore nella fase finale del processo d'appello.

L'amministrazione dello studio Taormina non ha ancora elaborato la parcella, che tuttavia si annuncia salata.

Tra le voci che dovrebbero essere addebitate alla famiglia Lorenzi ci sono infatti non meno di 150 trasferte da Roma verso Cogne, Aosta, Torino e Monteacuto fiorentino, per svolgere attività istruttoria e incontri con i clienti. Ancora, dovrebbero essere contabilizzati tutti gli atti istruttori, le istanze e le memorie depositate nell'interesse della Franzoni, che sarebbero alcune centinaia.

Facendo qualche calcolo, solo per le trasferte del professor Taormina e dei suoi assistenti, le spese ammonterebbero a non meno di duecentomila euro. Con queste premesse, il totale della parcella potrebbe sfiorare il milione di euro, compresi gli onorari dei numerosi consulenti di parte dei quali la difesa della Franzoni si è avvalsa per smontare la sentenza di primo grado che la condannava a trent'anni di reclusione. 

- DOCUMENTI -
STRAGE DI PORTELLA DELLA GINESTRA:
LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 

di Giuseppe Cassarubea e Mario J. Cereghino

Signor Presidente, abbiamo commemorato quest’anno il 60/mo anniversario della strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947), un eccidio che ha pesantemente condizionato l’evoluzione democratica del nostro Paese.
In occasione di questa ricorrenza abbiamo scritto un volume e un dossier.
Il nostro lavoro è consistito nell’allargare l’ambito dei fatti stragistici del 1947 a un arco temporale che va dal 1946 (strage di Alia, 22 settembre) fino agli assassinii di Epifanio Li Puma, segretario della Camera del Lavoro di Petralia Soprana (2 marzo 1948), Placido Rizzotto, segretario della Camera del Lavoro di Corleone (10 marzo 1948) e Calogero Cangelosi, segretario della Camera del Lavoro di Camporeale (2 aprile 1948).
Questi crimini sono unificati da un disegno eversivo teso a decapitare il processo democratico e partecipativo che inizia con la lotta di Resistenza delle forze antifasciste.
La nostra indagine evidenzia come il governo degli Stati Uniti d’America, tramite il comando militare e i servizi segreti operanti in Italia, abbia determinato  una serie di meccanismi golpisti per bloccare la costruzione della giovane democrazia italiana.
I nuovi elementi di documentazione archivista in nostro possesso sono tali da fare ritenere insufficienti i dati emersi nei processi penali seguiti alle stragi di Portella della Ginestra e di Partinico (assalti alle Camere del Lavoro della provincia di Palermo, 22 giugno 1947).
Le chiediamo pertanto di voler esercitare il Suo potere di influenza e di impulso per:

1) la riapertura delle indagini giudiziarie su quei diciotto mesi della nostra storia. Alcuni dei mandanti e degli esecutori di quei delitti potrebbero essere ancora in vita e rispondere dei loro atti criminali;

2) la desecretazione degli atti ufficiali riguardanti le stragi e i delitti sopra citati, e in particolar modo quelli dell’Arma dei Carabinieri e dei ministeri dell’Interno, della Difesa e degli Affari Esteri;

3) ogni passo diplomatico nei confronti del governo degli Stati Uniti d’America onde valutare la gravità delle informazioni contenute nei dispacci dei servizi di sicurezza britannici (desecretati nel gennaio 2006) in rapporto all’assistenza statunitense alle attività terroristiche del neofascismo in Italia negli anni 1946 e 1947.

Solo attraverso la comprensione piena di quel periodo sarà possibile fare finalmente luce sui troppi misteri che hanno caratterizzato la storia italiana degli anni Quaranta e dei decenni successivi.

Con deferenza,
Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino
Archivio Giuseppe Casarrubea
Via Catania 3 - 90047 Partinico (Palermo).

 

- COMMENTI -  
GENOVA, COMODI SILENZI

di Angelo Pagliaro

Nessuna edizione straordinaria dei telegiornali; nessun Porta a Porta o edizione speciale di Anno zero; persino il quotidiano comunista Il Manifesto non ha pubblicato la notizia della prima sentenza sulle violenze del G8 a Genova che condanna lo Stato a risarcire Marina Spaccini, 50 anni, pediatra triestina, per il pestaggio che subì da parte della Polizia in via Assarotti, nel pomeriggio del 20 luglio 2001.
Eppure da 6 anni migliaia di giovani di tutte le nazioni del mondo, che recano dentro e fuori i loro corpi i segni di Genova attendevano con trepidazione una sentenza di questa importanza.
Nel triste panorama dell'informazione Massimo Calandri, in perfetta solitudine, ne dà notizia il 29 aprile sulle pagine di Genova del quotidiano La Repubblica. 
L'immagine del medico Spaccini, diventata un simbolo della lotta per la verità e la giustizia sui fatti di Genova, fotografata mentre cura un manifestante del G8 era stata scelta dal settimanale Diario come foto-simbolo delle violenze della polizia al summit genovese del 2001.
Con il trascorrere degli anni e grazie all'enorme mole di materiale raccolto dai comitati costituitisi dopo l'omicidio di Carlo Giuliani sulle giornate di Genova, si possono adesso ricostruire, nelle aule dei tribunali, gran parte delle verità nascoste in quei tristi giorni in cui i diritti democratici elementari furono di fatto sospesi.
L'elemento di riflessione, al contempo triste ed allarmante, è il silenzio assordante diffuso intorno alla notizia: una sorta di segreto di stato e di stampa ha contribuito a non informare tempestivamente i cittadini su una sentenza esemplare che, al di là dei risarcimenti, conferma quanto sostenuto dai manifestanti e cioè che a Genova vi fu un disegno criminale selettivo da parte di apparati dello stato.
Di questo fatto ne è convinto il giornalista Mario Carotenuto, che su Megachip afferma: "Tale disegno era teso a terrorizzare non tanto la sinistra radicale ma il pacifismo cattolico, in particolare la Rete Lilliput, che per la prima volta in maniera così convinta e numerosa scendeva in piazza, saldandosi in un unico enorme fronte antineoliberale con la sinistra".
Le ragazze e i ragazzi delle parrocchie, aggiunge, furono quelli che pagarono il prezzo più alto, soprattutto durante la giornata di sabato; i loro spezzoni di corteo furono sistematicamente bersagliati dai lacrimogeni e centinaia di loro furono pestati selvaggiamente. Ma, soprattutto, decine di migliaia di loro e le rispettive famiglie furono spaventati a morte in una logica pienamente terroristica. Quanti dopo Genova sono rimasti a casa?.
Il giudice istruttore, Angela Latella, della seconda sezione del tribunale civile di Genova, ha scritto nella sentenza che al G8 di Genova, almeno il 20 luglio in piazza Manin, la polizia di Stato ha picchiato, senza motivo, persone inermi come i pacifici militanti dell'associazione pacifista Rete Lilliput.
Nelle motivazioni, rese pubbliche nei giorni scorsi, si legge inoltre: "Emerge come accertata in tutta la sua drammaticità l'aggressione subita da Marina Spaccini ad opera di un'appartenente alle forze dell'ordine".

La pediatra triestina, felice per l'esito della sua battaglia, ha rivolto un semplice appello ai mass media: "Ora spero se ne parli". Purtroppo, negli anni che ci separano dal G8 di Genova, è successo qualcosa d'importante: il potere è stato affidato alla guida di radiosi commercialisti, tutto è PIL, TFR, tesoretto e le commissioni d'inchiesta parlamentari promesse da Prodi, l'abolizione dei reati di opinione, la rimozione del segreto di Stato sulle stragi, le misure tese a facilitare il riconoscimento degli operatori delle forze di polizia rimangono speranze di coloro che hanno creduto e continuano ancora a credere nella democrazia.

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