Dietro volti insospettabili, storie di omicidi efferati e motivazioni inquietanti: donne serial killer tra superstizione e vendetta.
La storia delle donne serial killer ha spesso ispirato pellicole cinematografiche e documentari per la loro crudeltà e il contrasto con l’immagine stereotipata del genere femminile. Dal macabro mito della contessa Erzsébet Báthory ai casi reali di infermiere assassine, passando per figure come Aileen Wuornos e Leonarda Cianciulli, la realtà si rivela spesso più inquietante della finzione.
Dietro volti insospettabili, della classica donna della porta accanto, spesso si sono celati i volti e le storie più sanguinose. Donne impensabili, professioniste che, però, si sono macchiate di delitti atroci. Ecco alcuni dei casi più emblematci della storia.
Infermiere assassine: il lato oscuro della cura
Tra le figure femminili più agghiaccianti di questo filone si annovera Jane Toppan, un’infermiera americana attiva tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Conosciuta come “Jolly Jane”, Toppan confessò 31 omicidi, avvelenando le vittime con dosi letali di morfina e atropina. Il suo modus operandi prevedeva la somministrazione di farmaci inusuali e la compagnia affettuosa fino alla morte del paziente, un comportamento che le valse l’appellativo di “angelo della morte”. Dichiarata non colpevole per infermità mentale, trascorse il resto della vita in un manicomio. Toppan rappresenta un archetipo di serial killer nascosto dietro una veste di cura e fiducia.
Un altro caso emblematico è quello di Beverley Allitt, infermiera pediatrica britannica che, nel 1991, in soli 58 giorni, uccise quattro bambini e ne danneggiò gravemente altri nove. Identificata come affetta da sindrome di Munchausen per procura, fu condannata a 13 ergastoli nel 1993. La sua storia sottolinea come disturbi psicologici profondi possano manifestarsi in modi estremamente violenti, specialmente quando si esercita un ruolo di responsabilità verso i più vulnerabili.
Donne serial killer che hanno preso di mira gli uomini
Una delle figure più note è sicuramente Aileen Wuornos, americana, che tra il 1989 e il 1990 uccise sette uomini in Florida. La sua vicenda è stata immortalata nel film Monster (2003), con Charlize Theron, che le valse l’Oscar come migliore attrice. Wuornos affermò che i suoi omicidi furono atti di legittima difesa contro tentativi di stupro, ma le prove raccolte dalla corte narravano una realtà complessa e controversa.
Condannata a morte, fu giustiziata tramite iniezione letale nel 2002. Nel 2025, Netflix ha rilanciato l’interesse su di lei con il documentario Aileen: Storia di una serial killer, che approfondisce la sua travagliata vita segnata da abusi, prostituzione e microcriminalità, offrendo un ritratto articolato tra vittima e carnefice.

La locandina di Monster il film sulla storia di Aileen Wuornos (Foto IG @centroartealameda – misteriditalia.it
Un altro caso recente è quello di Joanna Dennehy, britannica, che nel 2013 confessò di aver pugnalato a morte tre uomini e abbandonato i loro corpi in una fossa a Peterborough. Dennehy, che si dichiarò priva di rimorsi e affetta da un grave disturbo di personalità, fu condannata all’ergastolo. Le sue motivazioni – “ho ucciso per vedere se ero davvero fredda” – rivelano un distacco emotivo inquietante e una volontà di sperimentare il limite della propria crudeltà.
Serial killer italiane: tra superstizioni e vendette personali
L’Italia vanta casi altrettanto macabri, come quello di Leonarda Cianciulli, la cosiddetta “saponificatrice di Correggio”. Tra il 1939 e il 1940, convinta che il sacrificio umano avrebbe protetto il figlio Giuseppe in guerra, uccise tre donne con una scure dopo averle drogate con vino. I corpi furono smembrati e trasformati in sapone, spesso distribuito inconsapevolmente a familiari e amici. La sua storia rimane una delle più agghiaccianti del nostro paese, un misto di superstizione e follia.
Più recente e altrettanto drammatico è il caso di Gaetana Stimoli, che avvelenò 23 bambini nella provincia di Catania somministrando loro vino contenente acido fosforico diluito. Avendo perso due figli, credeva che la loro morte fosse stata causata da un incantesimo e, per vendetta, decise di colpire altri bambini. Una storia che evidenzia come traumi personali profondi possano sfociare in atti di crudeltà smisurata.
Questi casi, spesso riportati nei dettagli più atroci, mostrano come la psicologia del serial killer femminile sia un campo complesso che intreccia malattie mentali, traumi personali, disturbi della personalità e, talvolta, motivazioni ideologiche o superstiziose. Nell’immaginario collettivo, queste figure sfidano le aspettative e aprono interrogativi sul confine tra vittima e carnefice, tra ragione e follia.
Donne serial killer ecco le storie più inquietanti - misteriditalia.it






