Il caso di Amon Goth - misteriditalia.it
Göth fu protagonista di efferatezze durante l’Olocausto; il suo processo e la condanna rappresentano una pagina nera della storia europea.
Amon Leopold Göth, noto come il “Macellaio di Płaszów”, rimane una delle figure più sinistre della storia della Seconda guerra mondiale. Nato a Vienna l’11 dicembre 1908, Göth fu un ufficiale delle Schutzstaffel (SS), con il grado di SS-Hauptsturmführer, e comandante del famigerato campo di concentramento di Kraków-Płaszów, situato nei pressi di Cracovia.
Entrato nel Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori austriaco a soli 22 anni, Göth si unì alle SS austriache, allora clandestine, nel 1930. Dopo l’annessione dell’Austria alla Germania nazista nel 1938, la sua attività assunse un ruolo più rilevante e visibile. Promosso rapidamente, partecipò all’amministrazione e alla liquidazione di diversi ghetti e campi di sterminio, tra cui Bełżec, Sobibór e Treblinka, acquisendo esperienza nella gestione dei campi e nelle operazioni di sterminio.
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Nell’agosto del 1942 fu trasferito a Cracovia dove, l’11 febbraio 1943, fu incaricato di costruire e dirigere un campo di lavori forzati a Płaszów. La chiusura del ghetto di Cracovia, avvenuta il 13 marzo 1943, vide la deportazione dei sopravvissuti nel nuovo campo, dove circa duemila persone persero la vita durante l’evacuazione, molte per ordine diretto di Göth.
Testimoni oculari, come Mieczysław Pemper, descrissero come Göth liberasse i suoi cani da guardia contro i prigionieri, un gesto simbolo della sua crudeltà. Nel settembre 1943, fu inoltre responsabile della chiusura del ghetto di Tarnów e, nel febbraio 1944, ordinò l’evacuazione del campo di Szebnie, operazioni che causarono la morte di centinaia di detenuti.
Il campo di Płaszów rappresentò l’apice della carriera di Göth. Qui, la speranza di vita media dei prigionieri si attestava a sole quattro settimane. Il comandante si distinse per la sua sadica crudeltà: si divertiva a sparare con un fucile di precisione dal balcone della sua villa sui prigionieri inermi e lasciava che i suoi cani sbranassero le vittime. Per questi motivi, venne soprannominato “Schlächter von Płaszów” (“Il macellaio di Płaszów”).
Un aspetto noto era il suo modo di segnalare la sua intenzione omicida attraverso l’abbigliamento: un semplice copricapo indicava un momento di relativa calma, mentre il berretto da ufficiale preannunciava un pericolo imminente, e il cappello tirolese accompagnato da guanti e scialle bianchi indicava che Göth era alla ricerca di nuove vittime. Gli storici stimano che abbia ucciso personalmente almeno 500 persone durante la sua permanenza nel campo.
Nonostante la ferocia, Göth intrattenne rapporti con l’imprenditore tedesco Oskar Schindler, noto per aver salvato circa 1.200 ebrei dallo sterminio. Schindler, sfruttando la sua amicizia con Göth, riuscì a trasferire gli ebrei al lavoro nella sua fabbrica di utensili a Cracovia, proteggendoli dalle deportazioni e dalle uccisioni.
Nel novembre 1944, Göth fu arrestato dalla Gestapo con l’accusa di aver sottratto beni appartenenti allo Stato durante la liquidazione del ghetto. Tuttavia, con la fine del conflitto in avvicinamento, le indagini furono abbandonate. Ricoverato in un istituto psichiatrico per disturbi mentali e diabete, fu catturato dagli Alleati nel maggio 1945 e successivamente estradato in Polonia.
Il processo dinanzi al Tribunale Nazionale Supremo polacco a Cracovia si svolse tra agosto e settembre 1946. Göth fu riconosciuto colpevole di aver ordinato e commesso personalmente l’assassinio di migliaia di persone, nonché di aver depredato i prigionieri dei loro beni. La sentenza fu la condanna a morte tramite impiccagione, eseguita il 13 settembre 1946. L’esecuzione richiese più tentativi a causa di problemi tecnici con la corda. Le sue ceneri furono disperse nel fiume Vistola.
Il personaggio di Amon Göth è stato immortalato nel libro di Thomas Keneally e nel film diretto da Steven Spielberg, Schindler’s List – La lista di Schindler, dove è interpretato da Ralph Fiennes. Il film, pur prendendo alcune libertà artistiche, ha contribuito a rendere celebre la figura del comandante nazista e a testimoniare la brutalità dei campi di concentramento.
Il suo nome rimane sinonimo di crudeltà e atrocità, un monito indelebile alle atrocità commesse durante l’Olocausto e una testimonianza della necessità di non dimenticare.