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La strage più efferata della storia: Erika e Omar, il delitto che l’Italia non ha dimenticato

Il 21 febbraio 2001, nella villetta di via don Beniamino Dacatra, nel quartiere Lodolino, si consumò un efferato duplice omicidioIl delitto e le dinamiche dell’omicidio (www.misteriditalia.it)

Ventiquattro anni dopo, il delitto di Novi Ligure resta uno dei casi di cronaca nera più drammatici e discussi nella storia recente.

Il 21 febbraio 2001, nella villetta di via don Beniamino Dacatra, nel quartiere Lodolino, si consumò un efferato duplice omicidio che vide coinvolti due giovani adolescenti, Erika De Nardo e Mauro Favaro, detto “Omar”, protagonisti di un gesto brutale che segnò per sempre la comunità di Novi Ligure e l’intero Paese.

La sera del 21 febbraio del 2001, intorno alle 19:30, la contabile Susanna Cassini, detta Susy, di 41 anni, e suo figlio undicenne Gianluca De Nardo furono brutalmente assassinati all’interno della loro abitazione. La madre e il figlio subirono, rispettivamente, 40 e 57 coltellate, un accanimento che spinse gli inquirenti a parlare di tortura e di un vero e proprio massacro. La famiglia, composta anche dal padre Francesco De Nardo, ingegnere e dirigente presso l’azienda dolciaria Pernigotti, e da un’altra figlia, Erika, allora sedicenne, fu travolta da un evento drammatico e inspiegabile.

Erika De Nardo, unica sopravvissuta, fu inizialmente protetta e assistita da un team di psicologi e agenti di polizia. La ragazza raccontò di due rapinatori extracomunitari con accento albanese che avevano fatto irruzione in casa, ma questa versione fu rapidamente smontata dagli accertamenti investigativi. Non vi erano segni di effrazione, né furti significativi erano stati compiuti, e la ferocia del delitto non sembrava compatibile con una rapina finita male.

Un elemento chiave per l’indagine fu la ferita da morso sulla mano di Omar, compatibile con la dentatura di Gianluca, e le contraddizioni nelle dichiarazioni dei due giovani. Grazie all’uso di microspie e telecamere nascoste durante un colloquio in caserma, gli inquirenti ascoltarono una conversazione fra Erika e Omar che rivelò la loro responsabilità. La Procura di Alessandria, guidata dalla PM Livia Locci, riuscì a far confessare la ragazza, svelando che il movente era da ricercarsi nei conflitti familiari, soprattutto nelle continue liti tra madre e figlia, aggravate dalla disapprovazione di Susy verso Omar.

Il processo e le condanne

Il processo si concluse con la condanna definitiva di entrambi i giovani: Erika De Nardo fu condannata a 16 anni di reclusione, Omar Favaro a 14. La premeditazione fu definita “lucida e utilitaristica”, mentre il ruolo di Erika fu giudicato predominante. Non fu mai riconosciuta la seminfermità mentale, nonostante le numerose discussioni sull’aspetto psicologico del caso. Omar scontò soltanto nove anni grazie alla buona condotta e a un indulto, mentre Erika terminò la pena nel 2011 dopo aver scontato dieci anni di carcere.

Durante la detenzione, Erika si diplomò come perito geometra e, successivamente, si laureò in Lettere e Filosofia con il massimo dei voti, discutendo una tesi sul pensiero di Socrate e la ricerca della verità negli scritti platonici. Il percorso di recupero della giovane è stato seguito con attenzione anche da don Antonio Mazzi, fondatore della comunità Exodus, che ha sottolineato come Erika abbia sempre rispettato le regole e lavorato per reinserirsi nella società.

Oggi Erika De Nardo è una donna sposata e ha costruito una nuova esistenza lontano dalla sua città natale.

Erika De Nardo oggi: una nuova vita e il perdono del padre (www.misteriditalia.it)

Oggi Erika De Nardo è una donna sposata e ha costruito una nuova esistenza lontano dalla sua città natale. Nonostante la gravità del suo gesto, il padre Francesco De Nardo non si è mai allontanato da lei e ha mantenuto un rapporto di sostegno e vicinanza che ha favorito il suo percorso di redenzione. Nel quartiere Lodolino, la strada dove si trovava la villetta è stata intitolata a “via Caduti di Nassiriya” e la casa è ormai un luogo di memoria silenziosa, gestito da un proprietario che ne cura il decoro.

Il rapporto tra Erika e il suo passato resta complesso: nel paese molti ancora non riescono a perdonarla e si sono scandalizzati per alcune immagini che la ritraggono in momenti di normalità, come a giocare a pallavolo o impegnata in attività quotidiane con permessi premio. Tuttavia, chi conosce la vicenda da vicino evidenzia come il carcere abbia avuto anche un ruolo rieducativo e come Erika abbia mostrato un atteggiamento di profonda consapevolezza e maturità.

Don Mazzi, che ha seguito la ragazza per anni, ha dichiarato: «Erika ha maturato la giusta consapevolezza sulla tragedia, quella che permette di continuare a vivere. Il padre è stato molto importante in questo percorso». Un percorso difficile, ma che ha permesso a Erika di affacciarsi a una nuova vita, nonostante lo stigma sociale e il dolore indelebile.

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