A oltre venticinque anni dalla tragica scomparsa di Francesca Moretti, il caso resta uno dei più enigmatici cold case italiani legati alla capitale.
Nel febbraio del 2000, la giovane sociologa morì avvelenata da cianuro ingerito probabilmente tramite una “minestrina” preparata nell’appartamento di San Lorenzo, quartiere che ha visto nascere e alimentare numerose teorie investigative e sospetti mai definitivamente chiariti.
Recentemente, la riedizione aggiornata del libro “Cianuro a San Lorenzo” dello scrittore d’inchiesta Mauro Valentini, vincitore del premio Nadia Toffa 2023, ha riacceso l’attenzione su questa vicenda intricata e tormentata.
Il giallo di Francesca Moretti: il cold case italiano che ha alimentato teorie e sospetti
Francesca Moretti, 29 anni, originaria di Pesaro, si era trasferita a Roma per lavorare come sociologa all’Opera Nomadi. La sua vita privata era segnata da un rapporto complicato con Graziano, un ragazzo rom sposato con cinque figli, con cui aveva pianificato di trasferirsi a Torino prima di essere abbandonata da lui.

Il caso mai risolto di Francesca Moretti: il cold case italiano che ha alimentato teorie e sospetti-misteriditalia.it
Nel febbraio 2000, Francesca soffriva di un forte mal di schiena dovuto a un’ernia e si trovava in condizioni di salute precarie, tanto da dover programmare un imminente intervento chirurgico.
La sera del 22 febbraio, mentre si trovava nel suo appartamento di via dello Scalo nel quartiere San Lorenzo, Francesca assunse una “minestrina” preparata da una delle due coinquiline, Daniela Stuto, che sarebbe poi diventata l’indagata principale nel processo.
Quella stessa sera, Francesca iniziò a manifestare sintomi gravi: gonfiore, colorito violaceo e convulsioni, fino al decesso, avvenuto in ospedale San Giovanni in codice rosso.
Le prime ricostruzioni ufficiali attribuirono la morte a un avvelenamento da farmaci, ma l’autopsia, disposta dalla PM Lina Cusano, rivelò solo mesi dopo la presenza di cianuro nel corpo della vittima.
Da qui si aprì una lunga e controversa indagine. Daniela Stuto, studentessa di psicologia originaria di Lentini e coinquilina di Francesca, fu arrestata e posta ai domiciliari per un anno e due mesi, poi assolta in entrambi i gradi di giudizio. La procura stesso rinunciò a procedere, mentre la famiglia Moretti, convinta dell’innocenza di Daniela, non si costituì parte civile.
Il quadro investigativo si complicò ulteriormente a causa di intercettazioni telefoniche in cui Daniela faceva riferimenti ambigui a temi sessuali, interpretati dalla PM come indizi di un movente passionale a sfondo omosessuale.
Nonostante Daniela fosse fidanzata con un uomo, l’ipotesi di un delitto passionale rimase centrale nell’impianto accusatorio, senza però essere mai confermata da prove concrete.
Un elemento controverso fu il ritrovamento, nella casa degli zii di Daniela a Lentini, di un vecchio contenitore di cianuro risalente a circa quarant’anni prima, usato per scopi agricoli. La PM non credette alla versione fornita dalla famiglia e sostenne la premeditazione dell’avvelenamento, ipotesi mai dimostrata definitivamente.
Mauro Valentini, che ha approfondito il caso per il suo libro, spiega che nel 2000 il quartiere San Lorenzo era ancora popolato da artigiani e fabbri che lavoravano metalli, e il cianuro era utilizzato come brillantante, spesso venduto illegalmente. Questa circostanza rendeva il veleno relativamente accessibile, complicando l’identificazione di un possibile colpevole.
Il mistero rimane anche sull’origine del cianuro assunto da Francesca. Gli esami tossicologici hanno stabilito che l’avvelenamento è avvenuto in un arco temporale che non coincide perfettamente con l’orario in cui ha consumato la minestrina, generando dubbi sull’effettiva modalità di assunzione.
La perizia ha infatti fornito due orari diversi: la prima indicava le 13:30, poco dopo il pasto, mentre la seconda fissava l’avvelenamento intorno alle 16:00, pochi minuti prima dei primi dolori.
Valentini ipotizza che Francesca possa aver ingerito il cianuro volontariamente, ma resta impossibile stabilire se si sia trattato di un suicidio o di un errore legato a farmaci contaminati utilizzati per alleviare il suo dolore.
La giovane sociologa infatti attraversava un periodo di profonda depressione, come testimoniano i diari personali di cui però è stato distrutto quello del 2000, bruciato dalla madre perché conteneva pensieri estremamente intimi e cupi.
La sua esperienza all’Opera Nomadi era fallita e la fine della relazione con Graziano aveva lasciato Francesca in uno stato di prostrazione emotiva accompagnato dai forti dolori fisici.
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