A ventisei anni dal celebre furto al caveau del Tribunale di Roma, emergono nuovi dettagli che confermano la grandezza del colpo.
Il caveau della filiale 91 della banca interna al Tribunale di Roma, situato nella Cittadella giudiziaria tra Monte Mario e Piazzale Clodio, fu svuotato nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1999, con un bottino stimato in 17 miliardi di lire e numerosi documenti riservati di cui ancora oggi si ignora il contenuto esatto.
Il furto avvenne in modo estremamente rapido e organizzato: il commando, composto da sei uomini, alcuni dei quali travestiti da carabinieri, penetrò all’interno della Città Giudiziaria a bordo di un furgone blu con il tetto bianco, simile a quelli in uso alle forze dell’ordine. Dopo aver scassinato due porte blindate e disinnescato il sistema di allarme collegato al 113 e a un istituto di vigilanza privata, i ladri aprirono 147 cassette di sicurezza su 990 presenti nel caveau.
L’intera operazione, durata poco più di sette ore, si concluse intorno alle 4:30 del mattino, con il trasferimento della refurtiva in 25 borsoni, secondo una lista dettagliata in possesso di Massimo Carminati, ritenuto la mente del colpo. La scelta delle cassette da svaligiare non fu casuale, ma frutto di un’accurata selezione, il che ha fatto ipotizzare che l’obiettivo principale non fosse il denaro, ma documenti compromettenti utili per ricatti e pressioni.
Indagini serrate e arresti
Le indagini, coordinate dal Tribunale di Perugia, si concentrarono subito sull’ipotesi di un basista interno, dato che il caveau era sorvegliato 24 ore su 24 dai carabinieri e non presentava segni evidenti di scasso. L’attenzione degli investigatori si rivolse presto a Orlando Sembroni, dipendente dell’agenzia e delegato a condurre i clienti alle cassette blindate, il quale risultava inoltre debitore di una somma consistente.
Il ritrovamento di un oggetto personale di uno dei titolari delle cassette all’interno del furgone utilizzato nel furto permise di risalire a Lucio Smeraldi e Vincenzo Facchini, noti “cassettari” romani, mentre grazie alle dichiarazioni di un pregiudicato, Antonio Battista, emerse il coinvolgimento di Adriano Martiradonna, carabiniere che facilitò l’ingresso del commando nella Cittadella, e di un secondo militare, Mercurio Di Gesu.
Il 29 dicembre 1999 venne arrestato Massimo Carminati, figura centrale e temuta, il cui coinvolgimento rafforzò l’ipotesi che il furto fosse stato commissionato per sottrarre documenti sensibili e non semplicemente denaro.

I protagonisti e le vittime del furto (www.misteriditalia.it)
Tra i proprietari delle cassette saccheggiate figuravano personalità di spicco del mondo giudiziario e professionale romano: 22 magistrati, 55 avvocati, 5 cancellieri, oltre a imprenditori, un carabiniere e un perito giudiziario. Tra i nomi più noti si ricordano i fratelli Wilfrido e Claudio Vitalone, il pubblico ministero Orazio Savia, il magistrato e prefetto Domenico Sica, titolare di indagini su casi celebri come la sparizione di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Aldo Moro, e l’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno, legato al caso dell’omicidio di Simonetta Cesaroni.
La natura selettiva del furto ha alimentato a lungo speculazioni circa il contenuto delle cassette trafugate, ipotizzando legami con processi di rilievo come quelli sull’omicidio del giornalista Mino Pecorelli o la Strage di Bologna. Tuttavia, nessun documento riservato è mai stato ufficialmente denunciato come scomparso dai titolari, lasciando il mistero ancora aperto.
Processo e sentenze
Il processo culminò nel 2005 con condanne definitive per Carminati, Virgili, Facchini, Smeraldi, Sembroni, Tomassi, Martiradonna e Di Gesu, con pene comprese tra i 3 e i 5 anni di reclusione. Gli imputati furono assolti dall’accusa di associazione mafiosa e dall’ipotesi di aver ricattato giudici con i documenti sottratti, ma il furto rimane uno dei casi più emblematici di criminalità organizzata paracriminale nella Capitale.
Una parte della refurtiva venne recuperata grazie alle indicazioni di Facchini in un campo vicino a Scandriglia, in provincia di Rieti, ma la maggior parte del bottino e dei documenti sottratti non è mai stata ritrovata.
Il colpo e la dinamica dell’operazione (www.misteriditalia.it) 






