Con l’ordinanza 29784/2025, la Cassazione stabilisce che basta la lesione del diritto al riposo per ottenere un risarcimento dai proprietari di cani rumorosi
“Ua-ua-ua”, ininterrottamente. A qualunque ora, senza tregua. Quando un cane abbaia per ore e nessuno interviene, la casa accanto smette di essere un luogo dove riposare. Finora, chi subiva questo rumore doveva produrre certificati medici e dimostrare un vero danno alla salute per poter chiedere un risarcimento. Ma qualcosa è cambiato. Con l’ordinanza 29784 depositata l’11 novembre 2025, la Corte di Cassazione ha stabilito che chi subisce rumori molesti da animali domestici ha diritto a un risarcimento anche se è perfettamente sano. È sufficiente che sia stato leso il diritto costituzionalmente garantito al riposo e alla tranquillità domestica. La vicenda, partita da una zona di campagna, avrà effetto ovunque: città, borghi, condomini. E cambia per sempre la gestione legale della convivenza con gli animali.
L’ordinanza che cambia tutto: non serve più la perizia medica
Il caso riguarda quattro vicini esasperati da un’abitudine consolidata: nella proprietà adiacente, i genitori lasciavano che il figlio tenesse quattro cani chiusi in gabbia, liberi di abbaiare giorno e notte. Per cinque anni, gli animali hanno reso impossibile la vita dei residenti accanto. I giudici di merito, prima, e la Cassazione poi, hanno riconosciuto un danno non patrimoniale e imposto un risarcimento di 3.000 euro a testa per ciascuno dei quattro vicini, per un totale di 12.000 euro. Nessuno di loro aveva certificazioni mediche. Nessuno era in cura per insonnia, ansia o esaurimento. Ma tutti avevano testimoni, registrazioni e perizie fonometriche che dimostravano l’impossibilità di condurre una vita normale.

Non serve l’esaurimento: basta l’insonnia per chiedere i danni (e i giudici lo confermano) – misteriditalia.it
La Cassazione ha ricordato che non è necessario dimostrare un danno biologico. Basta accertare che l’inquinamento acustico ha provocato una lesione del diritto al riposo, che fa parte del diritto alla vita privata tutelato dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dagli articoli 2 e 32 della Costituzione italiana. È qui che entra in gioco l’articolo 844 del Codice Civile, che vieta le immissioni intollerabili di rumore. Se i latrati superano i limiti di tollerabilità, e ci sono prove oggettive, il giudice può riconoscere un danno non patrimoniale risarcibile ai sensi degli articoli 2043 e 2059 del codice. Non conta se si tratta di centro città o zona rurale: la soglia è stabilita dal rumore di fondo medio, e viene violata se superata di almeno 3 decibel. I cani, in questo caso, erano responsabili.
Ma lo erano anche i loro “padroni”? Sì. Anche se formalmente appartenevano al figlio, la Cassazione ha confermato che è responsabile chi detiene materialmente gli animali e li tollera nella propria proprietà. Non serve essere il proprietario anagrafico, basta non intervenire per fermare la fonte di disturbo. La coabitazione passiva diventa complicità civile. E apre la strada a una lunga serie di contenziosi, perché la sentenza è giurisprudenza consolidabile.
Prove, testimoni e fonometri: come si dimostra il danno da rumore
Il cuore di questa rivoluzione giuridica non è solo il principio astratto, ma come viene dimostrato il disturbo. I vicini, assistiti da un avvocato, hanno portato in giudizio registrazioni ambientali, con picchi sonori superiori ai limiti legali, accompagnate da testimonianze dirette. Amici e parenti che frequentavano le case hanno raccontato scene quotidiane disturbate dai latrati, impossibilità a conversare, fastidio costante. I proprietari degli animali si sono difesi dicendo che anche i vicini avevano un cane, ma la perizia acustica ha chiarito che la fonte del rumore erano solo i quattro cani nella proprietà incriminata.
È importante, quindi, sapere che non servono strumenti sofisticati, ma basta una documentazione coerente, testimoni credibili e, se possibile, una perizia fonometrica eseguita da un tecnico. Il giudice può decidere “in via equitativa”, cioè con una cifra stabilita a discrezione sulla base della gravità della lesione del diritto. In questo caso, 3.000 euro per ogni persona disturbata.
La decisione della Cassazione mette in chiaro che il diritto al riposo è autonomamente risarcibile. Non si tratta più solo di salute, ma di vivibilità degli spazi. Una svolta che potrebbe avere ripercussioni enormi nei contesti urbani, dove i casi di convivenza forzata tra esseri umani e animali sono frequenti e spesso taciuti per mancanza di strumenti legali rapidi. Da oggi, chi subisce abusi sonori reiterati può agire in giudizio senza il peso, spesso inaccessibile, di un certificato medico. È sufficiente provare il disagio, in modo credibile e coerente. La sentenza è destinata a entrare nei manuali di diritto civile e a cambiare la convivenza in migliaia di condomini.
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