I Misteri

Mattei e l’aereo caduto: incidente o sabotaggio di Stato?

matteiEnrico Mattei (Instagram gianpattore)

Il 27 ottobre 1962, l’aereo di Enrico Mattei si schiantò nei cieli di Pavia. La versione ufficiale parlò di incidente, ma testimoni, inchieste e nuove prove indicano tutt’altro. Cosa accadde davvero quella notte al presidente dell’ENI, l’uomo che sfidò le superpotenze del petrolio?

L’uomo che voleva cambiare il mondo

Enrico Mattei era più di un industriale, era un visionario, un cattolico pragmatico e spietato, capace di costruire in pochi anni un impero energetico nazionale.
Alla guida dell’ENI, aveva rotto i monopoli delle “Sette Sorelle” — le grandi compagnie petrolifere americane e inglesi — portando l’Italia a trattare alla pari con i Paesi produttori del Medio Oriente e dell’Africa.

Offriva contratti equi, dividendo i profitti a metà. Per gli Stati Uniti e il Regno Unito, un gesto di ribellione, per l’Italia, un atto di indipendenza, per qualcuno, una condanna a morte.

L’ultimo volo

Il 27 ottobre 1962, Mattei salì a bordo del suo Morane-Saulnier MS.760 Paris, un piccolo jet francese a quattro posti.
Era decollato da Catania e doveva atterrare a Linate, ma non arrivò mai, alle 18:57, il velivolo si schiantò in un campo di Bascapè, nel pavese. Con lui morirono il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista americano William McHale.

La notizia scosse il Paese, il presidente dell’ENI, l’uomo più potente d’Italia dopo il Papa e il Presidente della Repubblica, era morto in circostanze misteriose.
Troppo misteriose per sembrare un incidente.

La versione ufficiale: un guasto, un errore, un caso

All’inizio, le autorità parlarono di maltempo e guasto tecnico: il cielo era coperto, la visibilità ridotta, la strumentazione difettosa. Una versione rapida, rassicurante, utile a chi voleva chiudere il caso.

Ma già nelle prime ore qualcosa non tornava, il corpo di Mattei era irriconoscibile, ma le macerie mostravano tracce di esplosione interna. Alcuni testimoni dissero di aver visto una palla di fuoco nel cielo, come se l’aereo fosse esploso in volo.
Un contadino di Bascapè raccontò: “Ho sentito un boato prima che l’aereo toccasse terra. Non era il rumore di un motore.”

Nonostante queste testimonianze, la parola “attentato” venne subito esclusa. Forse perché, se fosse stata vera, avrebbe aperto una crisi di Stato.

Un uomo con troppi nemici

Mattei era un nemico per molti. Le multinazionali del petrolio lo consideravano un sabotatore degli equilibri economici mondiali. Gli Stati Uniti lo temevano perché trattava direttamente con Mosca e con i Paesi arabi. I francesi lo detestavano per il suo appoggio all’indipendenza dell’Algeria. E in Italia, il suo potere crescente cominciava a preoccupare anche i partiti e i servizi segreti.

In un’intervista pochi giorni prima della morte, aveva detto: “So che mi vogliono eliminare. Ma non hanno ancora deciso come.”

Le prime indagini: una verità sepolta

L’inchiesta ufficiale del 1962 fu frettolosa e superficiale. Le macerie vennero rimosse in fretta, i reperti conservati male, molti documenti sparirono. Il pilota Bertuzzi, uomo di estrema fiducia di Mattei, era considerato esperto e scrupoloso.
Improbabile un errore di manovra.

Già nel 1963, un ex dirigente dell’ENI rivelò in un’intervista a L’Espresso che Mattei aveva ricevuto minacce dirette da ambienti internazionali. Nessuno indagò. Nel frattempo, le registrazioni di volo furono distrutte.

Un classico copione italiano: quando la verità diventa scomoda, si cancella.

L’esplosivo nella cabina

Negli anni ’90, grazie a nuove tecniche forensi, i resti del velivolo vennero riesaminati. Le perizie indipendenti rivelarono la presenza di residui di esplosivo al tritolo nella cabina del jet. Una conferma che fece saltare la versione del guasto tecnico.

incidente aereo

Enrico Mattei, l’incidente aereo (Instagram gianpattore)

Nel 2003, il giudice Vincenzo Calia, dopo un’indagine durata oltre dieci anni, concluse: “L’aereo di Enrico Mattei esplose in volo a causa di un ordigno collocato a bordo. È stato un attentato.”

Ma da chi?
E, soprattutto, perché?

Le ombre dei servizi segreti

L’inchiesta Calia scoprì che alcuni membri dei servizi segreti italiani dell’epoca avevano manomesso i reperti e distrutto prove.
Il SISMI e il SID (i predecessori dell’attuale AISI) erano coinvolti in un contesto di forti pressioni internazionali. Mattei, con i suoi accordi diretti con URSS, Egitto e Algeria, stava minando la supremazia americana sul petrolio.

Documenti desecretati negli anni 2000 indicano che la CIA aveva Mattei tra le “persone di interesse strategico”, considerate potenzialmente destabilizzanti per l’ordine occidentale.
Un documento francese dell’epoca parlava apertamente di “eliminazione possibile”.

In un contesto di guerra fredda, la morte di Mattei serviva a ristabilire gli equilibri.

La pista francese e la guerra in Algeria

Tra le ipotesi più accreditate, quella del coinvolgimento dei servizi francesi (SDECE). Mattei aveva apertamente sostenuto i leader del Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) algerino, in piena guerra contro Parigi. Li aiutava con fondi, contatti, rifornimenti e mediazioni politiche. Per i francesi, era un traditore.
Il giornalista americano William McHale, morto con lui, stava scrivendo un reportage sull’ENI e i rapporti tra Roma e il Nord Africa. Coincidenza? Difficile crederlo.

Nel 2008, l’ex agente francese Jacques Vergès dichiarò che l’attentato a Mattei era “un segreto di Stato di due nazioni”. Una frase che pesa come una sentenza.

Il mistero dei dossier spariti

Dopo la morte, il suo ufficio venne svuotato in meno di 48 ore. Documenti, lettere, agende, appunti personali: tutto scomparso, persino l’agenda del 27 ottobre risultava mancante di alcune pagine.

Nel 1963, un alto funzionario dell’ENI consegnò una busta sigillata alla famiglia Mattei, contenente appunti del presidente. Poche settimane dopo, anche quella busta sparì.
L’inchiesta non scoprì mai chi la prese.

Forse, in quei fogli c’erano i nomi di chi aveva deciso che l’Italia non poteva più permettersi un uomo come Mattei.

Un’Italia senza Mattei

Dopo la sua morte, l’ENI cambiò direzione. Gli accordi con l’Est e con i Paesi arabi furono ridotti, la politica energetica divenne più “allineata” all’Occidente.
L’indipendenza che Mattei aveva costruito con visione e coraggio si dissolse. Qualcuno dice che da quel giorno l’Italia smise di essere sovrana in campo energetico.

Forse è un’esagerazione, ma i fatti restano:il progetto di Mattei per un’Italia autonoma finì con lui.

Oggi, più di sessant’anni dopo, il mistero resta aperto.

Ogni governo promette “trasparenza”, ma i dossier più sensibili sull’incidente — o sabotaggio — sono ancora parzialmente secretati. Come se la verità fosse troppo pericolosa anche dopo mezzo secolo.

Forse non sapremo mai chi fece esplodere l’aereo. Ma sappiamo chi aveva interesse a farlo.

E allora, la domanda resta:
fu un incidente? O un segnale, un avvertimento, un messaggio al mondo?

Enrico Mattei voleva liberare l’Italia dai giganti del petrolio. E come tutti coloro che sfidano i poteri invisibili, ha pagato con la vita il prezzo dell’indipendenza.

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