1. Il problema delle fonti
La storia della lotta armata a Genova e, in particolare, della colonna
brigatista locale non è stata oggetto di studi e analisi successive; infatti, non
esiste, ancora oggi, una pubblicazione interamente dedicata a questo
soggetto.
Le uniche eccezioni sono costituite, oltre che da pochi lavori su singoli
episodi legati alla lotta armata genovese
1
, da un’interessante puntata del
programma «La Grande Storia», realizzato dalla redazione ligure del TG3
nel luglio del 2000, e dal libro di Enrico Fenzi Armi e bagagli
2
.
Il primo è un documentario storico, intitolato La Colonna, che tenta una
ricostruzione delle vicende dell’organizzazione, dedicando molto spazio
alle testimonianze di alcuni protagonisti.
Il secondo è un libro assai toccante, che assume, però la forma di diario
intimo, in cui sono focalizzati soprattutto le vicissitudini e i sentimenti
dell’Autore e che non ha alcuna pretesa di fornire un’analisi storica e
politica del fenomeno.
La bibliografia dedicata alle Brigate Rosse e alla lotta armata in generale3
,
a partire dai fondamentali lavori di analisi dell’Istituto Cattaneo
4 fino alla
1 Cfr. Il caso Coco: processo a Giuliano Naria, Milano, Collettivo Editoriale Librirossi, 1978; Comitato
genovese di informazione politica, Blitz, Genova, Edizioni La Lanterna, 1979; I. Farè (a cura di), L’ultimo
processo. Patologia di un’istruttoria. Omicidio Coco, imputato Giuliano Naria, Milano, Edizione Milano
Libri, 1980; G. Naria, In attesa di reato, Spirali/Vel 1991. 2 E. Fenzi, Armi e bagagli. Un diario dalle Brigate Rosse, Genova – Milano, Costa & Nolan, 1998. 3 Cfr. ad esempio S. Acquaviva, Terrorismo e guerriglia in Italia, Edizioni Città Nuova, 1979; M.
Belpoliti, Settanta, Torino, Einaudi, 2001; F. Billi, Gli anni della rivolta. 1960-1980: prima, durante e
dopo il ’68, Edizioni Punto Rosso, 2001; G. Bocca, Il terrorismo italiano 1970/1978, Milano, Rizzoli,
1978; M. Cavallini, Il terrorismo in fabbrica, Roma, Editori Riuniti, 1978; P. Feltrin, Il terrorismo di
sinistra in Italia, Firenze, Libreria Alfani, 1986; M. Galleni, Rapporto sul terrorismo, Milano, Rizzoli,
1981; G. Galli, Il partito armato, Milano, Kaos, 1993; L. Manconi, Il discorso delle armi: l’ideologia
terrorista nel linguaggio delle Brigate Rosse e Prima Linea, Roma, Edizioni Savelli, 198; L. Manconi,
Vivere con il terrorismo, Milano, Mondadori, 1980; V. Morelli, Anni di piombo, Torino, SEI, 1988; G.
Pasquino (a cura di), La prova delle armi, Bologna Il Mulino, 1994; A. Silj, Mai più senza fucile, Firenze,
Vallecchi, 1977; Soccorso Rosso, Brigate Rosse, Milano, Feltrinelli, 1976; A. Spieze (a cura di), 30 anni
di BR, Roma, Multimedia, 2001; A. Spieze (a cura di), 55 giorni di piombo, Roma, Multimedia, 2000; N.
Tranfaglia (a cura di), Crisi sociale e mutamento dei valori, Tirrenia Stampatori, 1989; N. Tranfaglia, D.
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2
vasta produzione divulgativa, costituita dalle memorie dei protagonisti e
dai racconti di vita5
, è, quindi, utile per una conoscenza generale del
fenomeno.
In particolare, si è rivelato assai interessante il lavoro del Progetto
Memoria
6
, che fornisce una catalogazione sistematica di tutti gli eventi, gli
attori e i dati sociologici relativi alla lotta armata.
Per quanto riguarda la sintetica ricostruzione della situazione sociale,
economica e politica di Genova negli anni Settanta, si hanno a disposizione
pochi testi
7
, poiché anche le pubblicazioni relative a questo soggetto sono
risultate molto scarse.
Le fonti su cui si basa principalmente il lavoro sono fonti giudiziarie, in
particolare le sentenze emesse dalla Corte d’Assise e dalla Corte d’Assise
d’Appello del Tribunale di Genova dal 1980 al 1985, ovvero il periodo in
cui si sono celebrati i processi riguardanti i reati commessi dalle Brigate
Rosse in città.
8
Novelli, Vite sospese, Milano, Garzanti, 1988; S. Zavoli, La notte della Repubblica, Milano, Oscar
Mondadori, 1985. 4 Cfr. D. Della Porta, Terrorismo di sinistra, Bologna, Il Mulino (Istituto Cattaneo), 1990; D. Della Porta,
M. Rossi, Cifre crudeli, Bologna, Il Mulino (Istituto Cattaneo), 1984; R. Catanzaro (a cura di), Ideologie
movimenti terrorismo, Bologna, Il Mulino, 1980; R. Catanzaro (a cura di), La politica della violenza,
Bologna, Il Mulino, 1990. 5 Cfr. soprattutto B. Balzerani, Compagna luna, Feltrinelli, 1998; R. Curcio, A viso aperto. Vita e
memorie del fondatore delle BR, Milano, Mondadori, 1993; A. Franceschini, P. V. Buffa, F. Giustolisi,
Mara, Renato e io, Milano, Mondadori, 1998; M. Sossi, Nella prigione delle BR, Milano Editoriale
Nuova, 1979; G. Bianconi, Mi dichiaro prigioniero politico. Storie delle Brigate rosse, Torino, Einaudi,
2003; G. Bocca, Noi terroristi, Milano, Garzanti, 1985; G. Pansa, Storie italiane di violenza e terrorismo,
Bari Laterza, 1980. Sempre per una visione soggettiva del fenomeno è molto interessante la lunga
intervista di Carla Mosca e Rossana Rossanda a Mario Moretti: M. Moretti, Brigate Rosse: una storia
italiana, Milano, Anabasi tascabili, 1994. 6 Progetto Memoria, La mappa perduta, Roma, Sensibili alle foglie, 1994; Progetto memoria, Le parole
scritte, Roma, Sensibili alle foglie, 1995; Progetto memoria, Sguardi ritrovati, Roma, Sensibili alle
foglie, 1996. 7 Cfr. Genova: ieri, oggi, domani, Milano, Rizzoli, 1985; Genova in numeri, Comune di Genova, 1991; P.
Arvati, Classi e organizzazioni operaie (pp. 845-882); P. Arvati, Oltre la città divisa. Gli anni della
ristrutturazione a Genova, Genova, Sagep, 1988; M. Carlucci, Il sistema industriale in Liguria, 1987,
Bologna: Cfr. anche i seguenti saggi contenuti in A. Gibelli, P. Rugafiori, La Liguria, Torino, Einaudi,
1994: P. Rugafiori, Ascesa e declino di un sistema imprenditoriale (pp. 257-333); U. Marchese,
Economia marittima e sistema portuale (pp. 729-775); L. Caselli, Antonino Gozzi, Un’economia in
declino (pp. 883-914); M. Palumbo, Il mutamento sociale (pp. 917-969). 8 Sentenza della Corte d’Assise di Genova del 10 dicembre 1981; Sentenza della Corte D’Assise di
Genova del 27 febbraio 1982;Sentenza della Corte D’Assise di Genova del 8 ottobre 1982;Sentenza della
Corte d’Assise di Genova del 1 dicembre 1982;Sentenza della Corte d’Assise di Genova del 26 febbraio
1983;Sentenza della Corte d’Assise di Genova del 24 febbraio 1984;Sentenza della Corte d’Assise
D’Appello di Genova del 23 febbraio 1982;Sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Genova del 11
giugno 1982;Sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Genova del 10 novembre 1985;Sentenza della
Corte d’Assise d’Appello di Genova del 7 novembre 1985.
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3
Le fonti giudiziarie non sono sempre accessibili, né facilmente reperibili.
Purtroppo non è stato possibile consultare gli atti processuali, se non quei
brani riportati su alcune pubblicazioni o nelle sentenze. Generalmente gli
atti relativi ai processi sono consultabili, previa domanda di autorizzazione
all’autorità responsabile, trascorso un periodo variabile dalla loro
redazione. Tuttavia, per quanto concerne gli atti processuali relativi a
episodi di terrorismo o di stragismo, sono in vigore provvedimenti speciali,
che non ne consentono la visione al pubblico, se non in casi particolari.
Un altro problema riguarda le Sentenze Ordinanze del Giudice Istruttore.
Questa figura, infatti, non esiste più e, di conseguenza, non esiste un ufficio
in cui è custodito questo materiale, che si trova allegato agli atti
processuali. Tuttavia, le Sentenze ordinanze sono sempre riportate, sebbene
in sintesi, nelle sentenze di primo grado e di appello, le quali ricostruiscono
l’iter del procedimento a partire, proprio, dalla fase istruttoria.
Infine, un’ulteriore difficoltà è data dal fatto che i processi si sono svolti in
differenti città italiane, talvolta i diversi gradi di giudizio venivano celebrati
in tribunali diversi; cosicché non risulta sempre agevole seguire un iter
giudiziario.
Fortunatamente, però, i processi relativi alle vicende della colonna
genovese hanno prodotto sentenze assai ampie e dettagliate, le quali sono
consultabili semplicemente presentando istanza per motivi di studio al
Presidente della Corte e, benché siano assai più stringate degli atti
processuali, forniscono tuttavia molto materiale interessante. Innanzitutto,
seguendo i diversi gradi di giudizio, esse permettono di ricostruire le
vicissitudini giudiziare delle persone coinvolte, di accertare delle
responsabilità e di scoprire talvolta delle ingiuste incriminazioni e
detenzioni. Inoltre, grazie alla ricostruzione dei delitti in esse contenute, è
possibile avere un’idea precisa delle dinamiche delle azioni, dei teatri degli
avvenimenti e della mappa delle basi esistenti in città. Infine, le
testimonianze dei pentiti e dei dissociati, riportate nelle sentenze,
forniscono illuminanti informazioni riguardo alla composizione dei nuclei
operativi responsabili delle azioni e degli organi dirigenti nei diversi
periodi di attività brigatista, nonché sulla struttura, i rapporti interni e la
vita dell’organizzazione.
La totalità dei reati commessi dalla colonna genovese delle Brigate Rosse
viene ricostruita nel corso di sei processi riguardanti, in due gradi di
giudizio: la partecipazione in banda armata, i ferimenti (insieme a un
sequestro e ad altri reati minori) e le uccisioni.
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4
Da questi dibattimenti sono scaturite sei sentenze, che costituiscono la parte
preponderante delle fonti giudiziarie utilizzate; le altre sono: le sentenze
riguardanti episodi minori della lotta armata a Genova, i verbali degli
interrogatori di Patrizio Peci, una sentenza contro Giuliano Naria e le
sentenze relative ai due gradi di giudizio del processo contro gli arrestati
del blitz del generale Dalla Chiesa del 17 maggio 1979 a Genova.
Altra fonte importante sono le riviste e i quotidiani dell’epoca9
. Il
quotidiano «Lotta Continua» si è rivelato una assai importante poiché
fornisce, attraverso la pubblicazione delle lettere dei lettori e degli
interventi di militanti e giornalisti, un illuminante riflesso di quelle che
erano le diverse posizioni della sinistra extraparlamentare e del movimento
intorno all’ipotesi della lotta armata. Le testate cittadine («Il Lavoro», «Il
Corriere Mercantile» e, soprattutto, «Il Secolo XIX») forniscono resoconti
degli avvenimenti assai dettagliati e numerose notizie sui personaggi
coinvolti; tuttavia queste informazioni si rivelano non sempre precise e
attendibili.
Le riviste consultate sono «Panorama», «L’Espresso», «Primo Maggio»,
«Mondo Operaio», «Controinformazione», «Re Nudo» e «A Rivista
Anarchica». Questi periodici, oltre a contenere articoli approfonditi,
interviste e inchieste relative alla lotta armata, riportano sovente i testi dei
documenti diffusi dalle Brigate Rosse, il che permette la lettura e l’analisi
di materiale altrimenti non facilmente reperibile.
L’ultimo tipo di fonti utilizzato è costituito proprio dai documenti
dell’epoca, ovvero dai volantini, dagli opuscoli e dai comunicati emessi dai
diversi soggetti politici
10
. Presso la Libreria Libertaria Ferrer di Genova è
9 Cfr. Carceri speciali: documenti e testimonianze, in «Controinformazione», n. 11, 12, luglio 1978;
Dov’è il cuore dello Stato?, in «Re Nudo», n. 49, 50, gennaio – febbraio 1977; Sossi: il giudice e la
politica, in «Controinformazione», n. 3, 4, luglio 1974; XXII ottobre: un processo di regime, in
«Controinformazione», n. 1, 2, febbraio – marzo 1974; Terrorismo e quadro politico, in «Mondo
Operaio», 31, n. 4, aprile 1978; BR, Risoluzione Strategica N. 2, in «Controinformazione», n. 7, 8, giugno
1976; P. Buongiorno, Dai covi della Barbagia, in «Panorama», n. 725, 10 marzo 1980; P. Buongiorno, La
confessione, in «Panorama», n. 732, 25 aprile 1980; R. Cantore, C. Rossella, Dentro le Brigate Rosse, in
«Panorama», n. 475, 29 maggio 1975; Collettivo Operaio Portuale, Il porto di Genova, in «Primo
Maggio», n. 9 – 10, 1978; G. Lerner, Il delirio della lotta armata, in «Centenario», inserto speciale de «Il
lavoro», 6 giugno 2003; G. Lerner, Un carabiniere urlava: “Perché ci ha sparato?” ne «Il Lavoro», 4
aprile 1980; P. P. Poggi, R. Manstrotta, Gian Franco Faina (1935 – 1981). Elementi di una biografia
politico intellettuale, in «Primo Maggio», n.19/20 1983 – 1984 Milano; C. Remeney, Ma lui non era
stanco di vivere, in «Famiglia Cristiana», n. 31, 30 luglio 1997. Per quanto riguarda i quotidiani, ho
consultato: «Il Secolo XIX» dal 1969 al 1971 e dal 1974 al 1985; «Lotta Continua» dal 1976 al 1982; «Il
Lavoro» dal 1975 al 1982; «Il Corriere Mercantile» dal 1977 al 1980. 10 Cfr. Assemblea interfacoltà degli occupanti, «Università autoritaria», Genova, 1967; Brigate Rosse,
«Campagna sulle fabbriche N.17», ottobre 1978; Brigate Rosse, «Comunicazione per i compagni del
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5
stato possibile consultare i documenti prodotti dai collettivi operai e da
quelli studenteschi, in particolare dal Comitato di Balbi, e da numerose
formazioni di estrema sinistra, attive a Genova negli anni Settanta. Il
Centro Ligure di Storia Sociale permette di consultare l’archivio sindacale,
in cui sono reperibili i comunicati emessi dai consigli di fabbrica e dalle
federazioni sindacali.
E’ stato possibile visionare i documenti del PCI riguardanti l’analisi del
fenomeno in questione rivolgendosi alla sede della federazione ligure del
PDS e grazie all’aiuto di un dirigente regionale dell’epoca.
Il materiale prodotto dalle Brigate Rosse si trova pubblicato in alcuni
volumi che hanno riportato integralmente o parzialmente sia analisi
politiche corpose e importanti come le Risoluzioni Strategiche o anche
documenti relativi a fatti assai noti e gravi11
.
Inoltre, le sentenze riportano sempre brani di volantini di rivendicazione
relativi ai delitti in esame.
Infine, ho realizzato ed utilizzato un’intervista a due protagonisti
12
, che non
ha la pretesa di fornire una storia della colonna genovese, né velleità di
completezza o di obiettività, ma il solo scopo di fornire una testimonianza
personale, quindi soggettiva e forzatamente parziale: la storia dal punto di
vista di due partecipanti agli eventi. L’intera intervista è stata registrata su
audiocassette e riportata interamente in appendice alla tesi
13
, eliminando
solo le parti che esulavano totalmente dall’argomento in questione, le
battute scherzose, alcuni pleonasmi e le frasi non concluse o le
processo di Genova»; Brigate Rosse, «Direzione Strategica (bozza)», 1981; Comitato di difesa della XXII
ottobre, «Controprocesso a Sossi», Savona 1974; Comitato regionale ligure del PCI, Sezione Problemi
dello Stato (a cura di), «Genova: capitale delle BR?», 1978; Coordinamento di iniziativa politica, «La
“banda qualunque”: Ultimo atto?» Genova, agosto 1984; Direzione del PCI, Sezione Problemi dello
Stato, «Nota sul documento delle BR dedicato all’Ansaldo e all’Italsider di Genova», Roma, gennaio
1979; Federazione ligure del PCI, «Note sulla trama eversiva in Liguria dal 1968 al 1978»; Federazione
ligure del PCI «Note sulla trama eversiva in Liguria dal 1974 al 1978»; Federazione ligure del PCI,
Sezione problemi dello Stato, «Terrorismo e nuovo estremismo 1969 – 1978»; Federazione milanese del
PCI, Sezione Problemi dello Stato, «Dalla Sit Siemens. Dossier sul terrorismo»; Fondo della Casa del
Lavoro di Genova, «Documento ILRES» (Istituto Ligure Ricerche Economiche e Sociali), 1976; Lega
operai – studenti, «Volantini», Genova, 1968; Tribuna Operaia, «Gli operai contro la burocrazia»,
Genova, 20 febbraio 1967. 11 Cfr. T. Barbato, Il terrorismo in Italia negli anni Settanta, Milano, Bibliografica ,1980; G. Bocca (a
cura di), Moro. Una tragedia Italiana, Milano, Bompiani, 1978; L. Manconi, Il discorso delle armi, cit.;
Soccorso Rosso, Brigate Rosse, cit.; V. Tessandori, BR. Imputazione: banda armata, Milano, Baldini &
Castoldi, 1977. 12 Intervista a Marina Nobile e Sandro Rosignoli, registrata nei giorni 14 e 21 di giugno e 8 luglio 2003. 13 C. Dogliotti, «La colonna genovese delle Brigate Rosse», tesi di laurea, Università di Torino, facoltà di
Lettere e Filosofia, relatore B. Bongiovanni, a. a. 2002-2003.
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6
circonlocuzioni quando venivano riformulate. In pochi casi è stato
necessario completare una frase o sintetizzare e riformulare una serie di
battute confuse. Nessuna correzione è stata apportata al linguaggio, anche
nei casi in cui risultasse molto colloquiale o contenesse espressioni gergali
o volgari, per non alterare la veridicità delle testimonianze. Purtroppo è
impossibile rendere nella trascrizione le risate, le espressioni dei volti, le
esitazioni, i gesti, gli sguardi e tutta l’atmosfera di quella che è stata, prima
di tutto, un’esperienza umana intensa e una sconcertante irruzione del reale
e del fisico in una costruzione teorica e storica.
2. L’organizzazione
L’organizzazione delle Brigate Rosse era rigidamente strutturata in ferree
gerarchie e in un sistema di regole minuziose e pignole. Questa
caratteristica è importante perché, da un lato, segna la distanza tra le BR e
gli altri gruppi eversivi di sinistra, assai più approssimativi nel dotarsi di
regole e di una struttura e, talvolta, decisamente spontaneisti; mentre
dall’altro costituisce una delle principali ragioni della longevità e del
successo militare di questa formazione. Infatti, sia la rigida
gerarchizzazione che il sistema di norme rispondevano a esigenze di
sicurezza e le soddisfacevano ampiamente, tanto che le Brigate Rosse
hanno potuto circondarsi per lungo tempo del mito dell’invincibilità e
dell’inafferabilità. In particolare, le due regole più importanti
dell’organizzazione, quella della clandestinità e quella della
compartimentazione, sono norme di sicurezza assai efficaci per
l’organizzazione della guerriglia urbana. La struttura gerarchica
dell’organizzazione si articolava in cinque organi.
La Direzione Strategica e il Comitato Esecutivo costituivano i due organi
dirigenti supremi; il primo stabiliva la linea politica strategica di tutta
l’organizzazione, mentre il secondo deteneva il potere di comando
operativo. Vi erano poi i fronti che tagliavano orizzontalmente
l’organizzazione e veicolavano i contenuti politici verso i diversi organi,
svolgendo un compito simile a quello di un gruppo di studio. Infine, le
colonne erano le organizzazioni locali, operanti nei territori di loro
competenza, detti poli, e dotate di notevole autonomia militare,
organizzativa e, in gran parte, anche politica.
A questi organi erano subordinate le brigate, costituite di soli irregolari e
divise per settori di competenza (fabbriche, università, …).
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7
L’intera organizzazione giunge ad avere un massimo di sei colonne
(Torino, Milano, Genova, Roma, Napoli e nelle zone industriali del
Veneto), escludendo la struttura Toscana che costituiva una via di mezzo
tra una colonna e un comitato regionale. Questi ultimi erano strutture locali
delle Brigate Rosse che non sono mai riusciti a funzionare efficientemente.
I comitati tentano di coagulare intorno a sé le forze rivoluzionarie presenti
in una zona che si ritiene non adatta ad essere teatro della lotta armata; in
quanto quelle forze non rappresentano un retroterra sufficiente, perché
articolazioni delle Brigate Rosse possano impiantarsi e vivere nel luogo.
Per svilupparsi, le colonne delle Brigate Rosse necessitano di contesti
territoriali contraddistinti da due caratteristiche: la presenza di una grande
città e, soprattutto, quella di un referente politico. La metropoli, infatti,
sembra essere l’unico ambiente possibile per questo tipo di lotta, sia per
regioni di sicurezza (anonimato, mimetizzazione, confusione, eccetera) che
per le possibilità di successo (ambiente ricettivo, realtà contigue o
fiancheggiatrici, eccetera). Gli esperimenti in contesti diversi da quello
metropolitano, in Sardegna, in Toscana, nelle Marche e a Biella, sono
risultati assai difficoltosi.
La seconda caratteristica è ancora più importante: in assenza di un referente
politico, l’ipotesi della guerriglia risulta del tutto impraticabile e i diversi
referenti concorreranno a delineare le differenti fisionomie delle colonne.
Avremo così la grande industria, soprattutto Pirelli e Sit Siemens, a Milano,
la Fiat Torino, il porto e le industrie in declino a Genova, il Petrolchimico
in Veneto, lo Stato a Roma e le carceri e i marginali a Napoli.
3. Genova
La colonna genovese opera in un contesto particolare, che potremmo
definire il polo debole del triangolo industriale.
Negli anni Settanta il capoluogo ligure è investito da una grave crisi
sociale, economica e politica. Il fenomeno che appare più evidente, in
ambito sociale, è quello dell’invecchiamento, non solo anagrafico, ma
anche di mentalità e di strumenti con cui affrontare i grandi mutamenti del
decennio. Inoltre, in questo periodo, il declino economico e industriale si fa
preoccupante: dal 1963-64 si assiste a una progressiva perdita di
competitività di porto e industria che diventa manifesta in termini
economici negli anni Settanta e in termini occupazionali nel decennio
successivo. Infine, sul versante politico, la vita della città è caratterizzata da
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8
fermenti che vanno da episodi di recrudescenza neofascista al proliferare di
formazioni di estrema sinistra.
Quest’alta conflittualità politica è conseguente alla crisi in atto e può essere
vista come un ultimo, estremo tentativo di opposizione a una grande ondata
di cambiamenti che distruggerà il ruolo ricoperto dalla città fino ad allora
renderà irreversibile il suo declino.
La lotta armata è un aspetto importante della vita politica della città per
tutto il decennio. Il capoluogo ligure vive assai precocemente questa fase;
in esso, infatti, vede la luce la prima formazione di lotta armata di sinistra
in Italia, quel gruppo XXII ottobre, legato ai GAP di Feltrinelli, che agirà
tra il 1969 e il 1971 e che, sempre in bilico tra battaglia politica e
delinquenza comune, costituirà una sorta di esperimento pilota per saggiare
l’impatto della lotta armata nell’ambito dei movimenti extraparlamentari.
In città, inoltre, si assiste al proliferare di effimere e piccole formazioni che
praticano la lotta armata e che possono essere suddivise in tre gruppi: quelli
inseribili nell’ambito dell’Autonomia operaia, quelle nate dal movimento
del Settantasette e i fiancheggiatori delle Brigate Rosse. Tra questi tre
gruppi c’è una notevole contaminazione, soprattutto di persone che sovente
trasmigrano da una formazione all’altra; i primi due ambiti, addirittura
sovente coincidono e sono caratterizzati da un notevole spontaneismo, da
un basso livello di scontro e di fuoco e dalla avversione al modello
brigatista, l’ultimo ha la sua massima espansione nella seconda metà del
decennio ed è a sua volta suddivisibile in due sottogruppi: da una parte
quelle formazioni che nascono autonome, ma che nel corso del tempo si
sono sempre più avvicinate all’orbita delle Brigate Rosse fino a venirne
assorbite; dall’altra quelle sigle fondate da membri delle stesse Brigate
Rosse, allo scopo di creare una sorta di palestra e di banco di prova per
aspiranti brigatisti.
Infine, Genova è teatro di due importanti operazioni delle Brigate Rosse
nazionali che segnano altrettante svolte fondamentali della storia
dell’organizzazione. La prima è il rapimento del giudice Sossi, che
costituisce il primo «attacco al cuore dello Stato», la prima volta che le BR
escono dalle fabbriche, abbandonano quella strategia così simile al
sindacalismo armato che avevano praticato fino ad allora, per colpire
direttamente il potere politico. La seconda è l’omicidio del Procuratore
della Repubblica Francesco Coco, ovvero il primo omicidio politico
pianificato nella storia italiana della lotta armata, la decisione di alzare il
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9
livello di fuoco, ricorrendo all’omicidio come strumento di lotta politica, in
un’ottica di preparazione alla guerra civile.
La colonna genovese vera e propria nasce nel gennaio del 1975 e la sua
storia si snoda lungo il quinquennio successivo fino alla sconfitta militare
del 1980. Inizialmente, la colonna è formata da pochi militanti regolari che
si raccolgono intorno a Rocco Micaletto, braccio destro di Mario Moretti,
convenuto con lui a Genova, con l’incarico di assumere il comando della
nascente organizzazione. I primi militanti sono: Fulvia Miglietta, Riccardo
Dura, Livio Baistrocchi e Francesco Lo Bianco
14
.
Inoltre, le Brigate Rosse, a Genova, potevano contare su una rete di
simpatizzanti notevolmente vasta. Ai primi militanti si affiancano via via
nuovi adepti, per la maggior parte studenti o operai e provenienti per lo più
dalle file di Lotta Continua o di altre formazioni di estrema sinistra. Nel
1977, le dimensioni della colonna sono ragguardevoli e il numero dei
regolari è tale da giustificare la creazione di una Direzione di colonna; a
questo punto, l’organizzazione genovese entra nella sua piena maturità e
assume una fisionomia simile a quella degli altri organismi di questo tipo.
Gli irregolari, il cui numero è imprecisabile, vivono una doppia vita. Da un
lato, conducono un’esistenza normale, coi propri documenti, il lavoro, la
casa, le relazioni sociali e affettive, dall’altro c’è la militanza nelle Brigate
Rosse, strettamente regolata dalla norma della compartimentazione:
ognuno di loro deve sapere esclusivamente quello che concerne i propri
incarichi, viene contattato da un regolare di riferimento e deve attenersi alle
sue istruzioni. I militanti regolari, clandestini e impegnati a tempo pieno
nell’organizzazione, costituiscono, invece, la colonna vera e propria e
alcuni di loro formano la Direzione di colonna. Si tratta di un collegio
direttivo plenipotenziario che gestisce e organizza tutti gli aspetti della vita
della colonna, sceglie gli obiettivi, decide le azioni, detiene le armi, cura
l’indottrinamento e il reclutamento dei militanti.
Le azioni di una colonna si inseriscono sempre in campagne decise a livello
nazionale e devono ricevere l’autorizzazione del Comitato Esecutivo per
poter essere realizzate. Tuttavia, la colonna è dotata di notevole autonomia
strategica, politica e militare e le linee direttive in tutti e tre gli ambiti
vengono dettate dalla Direzione di colonna. I componenti di questo
organismo sono cambiati nel corso degli anni, ma alcuni nomi sono rimasti
14 Alcune fonti annoverano anche Gianfranco Faina tra i primi militanti, ma pare accertato che i contatti
tra le Brigate rosse e il professore genovese furono pochi e difficili e ben presto egli prende le distanze
dall’organizzazione.
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10
saldi a lungo: sono quelli di Fulvia Miglietta, Riccardo Dura e Livio
Baistrocchi, che restano a capo della colonna per quasi tutto l’arco della
loro vita.
E’ stato possibile ricostruire le composizioni delle varie direzioni, grazie
alle notizie riportate nelle sentenze; tuttavia in pochi casi, alcune
contraddizioni tra le testimonianze dei pentiti o la mancanza di elementi ha
dato luogo a qualche incertezza.
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11
Composizione della Direzione di colonna a Genova attraverso gli anni
MEMBRI DELLA DIREZIONE PERIODO
Micaletto, Miglietta, Dura,
(Baistrocchi)
15
Gennaio 1977 – fine giugno 1977
Micaletto, Miglietta, Dura,
Nicolotti, (Baistrocchi)
Luglio 1977 – ottobre 1977 (circa)
Micaletto, Miglietta, Dura,
Nicolotti, Baistrocchi
Dicembre 1977 – maggio 1978
Miglietta, Dura, Nicolotti,
Baistrocchi, Guagliardo
Dicembre 1978 – marzo 1979
Miglietta, Dura, Baistrocchi,
Panciarelli
Aprile 1979 – giugno 197916
Miglietta, Dura, Baistrocchi,
Panciarelli, Lo Bianco
Luglio 1979 – 28 marzo 198017
Baistrocchi, Lo Bianco, Carpi Aprile 1980 – agosto 198018
Lo Bianco, Balzerani Luglio 1980 – aprile 1982
Al vertice della colonna troviamo la figura del capo colonna, il quale,
benché sia dotato di notevole potere, governa l’organizzazione di concerto
con la Direzione. Rocco Micaletto, cui viene affidata l’organizzazione della
neonata colonna, nel 1975, è il primo capo che resterà in carica fino a
quando, nell’autunno del 1977, è chiamato a Torino. Per qualche tempo
egli farà la spola tra le due città con funzioni di sovrintendenza: è una sorta
di supervisore che teneva i contatti tra le due città. Per questo è difficile
stabilire con certezza la data del suo trasferimento.
Il suo successore è Riccardo Dura che rimane in carica fino della morte,
avvenuta il 28 marzo 1980, in seguito al blitz di Via Fracchia; durante la
sua leadership la colonna raggiunge il suo apice di successo e di
aggressività.
15 E’ incerto se Baistrocchi appartiene alla Direzione di colonna dal gennaio o dal dicembre del 1977 16 Dopo essere sfuggito miracolosamente all’arresto, Nicolotti deve allontanarsi da Genova 17 Dopo l’episodio di via Fracchia; Dura e Panciarelli sono deceduti e la Miglietta si allontana 18 Dopo gli arresti del settembre-ottobre 1980, la colonna genovese perde completamente la sua
fisionomia precedente. A Lo Bianco, unico clandestino rimasto, viene affiancata la Balzerani, incaricata
dell’ormai impossibile ricostruzione.
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Gli succede Francesco Lo Bianco, convinto sostenitore della linea
dell’esecutivo; quando anche a Genova, nel 1980, si fanno sentire gli echi
del dibattito nazionale con i primi segnali di fratture e malcontento, Lo
Bianco tenta in tutti i modi di mantenere l’unità, scoraggiando ogni forma
di dissenso, con metodi anche violenti, ma viene, infine, esautorato con
l’arrivo da Roma di Barbara Balzerani, che ha il compito di sanare la
frattura e impedire una scissione come è avvenuto a Milano. La Balzerani è
l’ultima capo colonna.
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I capi colonna
CAPOCOLONNA NOME DI
BATTAGLIA
PERIODO
Rocco Micaletto Lucio Dal gennaio 1975
all’aprile 1978 (circa)
Riccardo Dura Roberto Dall’aprile 1978 al 28
marzo 1980
Francesco Lo Bianco Giuseppe Dall’aprile 1980 al
luglio 1980
Barbara Balzerani Sara Dal luglio 1980
all’ottobre 1981 (circa)
Subordinati alla direzione di colonna c’erano i fronti in cui, come a livello
nazionale, i militanti erano divisi in base ai tipi di problemi da affrontare: a
ogni fronte erano preposti uno o due clandestini che mantenevano i
contatti, attraverso il sistema degli appuntamenti strategici, con gli
irregolari a esso appartenenti riferendo a loro volta i vari sviluppi alla
Direzione di colonna.
A Genova si possono individuare tre fronti:
1) fronte logistico
2) fronte della controrivoluzione
3) fronte delle fabbriche.
Al primo è affidata ogni possibilità di autonomia operativa dalla colonna,
ad eccezione delle strutture pesanti, di competenza del fronte nazionale.
Questo fronte si occupa della falsificazione dei documenti, della
propaganda, dell’addestramento militare degli irregolari (per esempio:
esercitazioni con le armi al Righi e al Forte dei Ratti), dello studio del
territorio, del reperimento delle basi e, soprattutto, del reperimento, della
custodia, della manutenzione e della fornitura ai membri, tramite un
clandestino, delle armi che, dopo l’uso, venivano ritirate e riportate nei
depositi predisposti o restituite alle altre colonne e al fronte nazionale, in
caso di prestiti. Il fronte logistico genovese è particolarmente efficiente,
soprattutto nella gestione delle armi.
Il fronte della controrivoluzione è suddiviso in quattro settori: magistratura,
forze dell’ordine, forze politiche e carceri. In esso sono raccolti di solito i
nuovi militanti e suo compito essenziale è quello di predisporre il materiale
di documentazione necessario per effettuare interventi concreti nei vari
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settori; ciò mediante lo spoglio di giornali e la raccolta di informazioni su
persone e strutture (inchieste), che finivano per formare un archivio
permanente per l’organizzazione da cui attingere per approfondimenti in
caso di bisogno.
Il fronte delle fabbriche, infine, si occupa di studiare gli impianti industriali
e organizzarvi la lotta; questo fronte si concretizza solo in un secondo
tempo, nel 1978.
Con l’aumentare dei membri, è sempre più difficile per i clandestini
mantenere contatti individuali con gli irregolari e si formano
spontaneamente nuclei di lavoro nei vari settori, anche al di fuori dei fronti
con cui i clandestini si incontrano due volte a settimana.
Ricevuto l’imprimatur dai vertici, si passa così, all’inizio del 1980, alla
formazione delle brigate, che sono costituite da gruppi di irregolari affidati
a un clandestino responsabile con una certa autonomia operativa e di
armamento. Alle brigate spetta il compito di progettare e realizzare, avendo
prima informato le istanze superiori, le attività preparatorie e minori della
banda. A Genova le brigate hanno una strutturazione molto parziale.
Dopo il drammatico episodio di via Fracchia, quando quattro brigatisti
vengono uccisi dai carabinieri dei reparti speciali del generale Dalla
Chiesa, le brigate assumono i nomi dei militanti caduti:
Brigata San Martino ( Brigata Anna Maria Ludmann – Cecilia. Nata
nell’aprile del 1980.
Brigata Porto ( Brigata Riccardo Dura – Roberto). Nata nel 1979.
Brigata Italsider (Brigata Paolo Panciarelli – Pasquale). Nata nel maggio
del 1980.
Nel corso dei cinque anni di attività, le BR genovesi porteranno a termine
sei omicidi, quindici ferimenti, un’aggressione, due assalti militari e altre
imprese di minore gravità19
.
Già da questi dati è possibile desumere uno dei caratteri centrali di questa
colonna, cioè l’implacabile efficienza militare. Sebbene, infatti, questo sia
un tratto distintivo dell’intera organizzazione, tuttavia, a Genova, si palesa
con maggior evidenza che altrove. Per spiegare questa peculiarità, bisogna
probabilmente risalire alla distinzione tra Brigate Rosse del primo e del
19 Il sequestro dell’ingegner Costa non è attribuibile alla sola colonna genovese, benché essa abbia avuto
un ruolo importante nella vicenda, fornendo mezzi, militanti, supporto logistico e incaricandosi della
detenzione dell’ostaggio, in quanto è stato ideato, progettato e gestito direttamente da Moretti e dal
Comitato Esecutivo.
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secondo periodo; dove le prime sono costituite, in gran parte, da militanti
giovani, ma non giovanissimi, dotati di scarsa o nulla dimestichezza con le
armi, provenienti da esperienze politiche non violente e arrivati alla lotta
armata attraverso un percorso difficoltoso, non privo di contraddizioni ed
esitazioni; mentre le seconde vedono spesso protagonisti militanti
giovanissimi, quasi digiuni di militanze politiche precedenti, cresciuti
sovente in seno ai servizi d’ordine dei gruppi dell’estrema sinistra, abituati
a considerare la violenza come pratica politica e inclini a vivere il
passaggio alla lotta armata come qualcosa di naturale.
La gran parte dei militanti della colonna genovese, nata agli albori del
secondo periodo, appartiene a quest’ultima categoria. Questo dato, insieme
al fatto che la colonna opera dal 1975 al 1980, cioè nel periodo in cui le
Brigate Rosse raggiungono un livello di aggressività e militare assai
elevato, molto maggiore di quello del primo periodo, fornisce una
spiegazione di questa caratteristica.
Anche dal punto di vista politico, la colonna presenta una fisionomia
particolare, il cui tratto fondamentale è sicuramente la centralità accordata
alla questione operaia. Le Brigate Rosse, come è noto, nascono in fabbrica;
nelle prime formulazioni teoriche, si parla della classe operaia come del
vero soggetto rivoluzionario, la realtà industriale è l’ambito in cui esse
esercitano la loro azione nel primo periodo.
Nella seconda metà degli anni Settanta, la situazione cambia: l’attacco al
cuore dello Stato diviene la priorità assoluta delle BR, che escono dalle
fabbriche per sferrare l’attacco al potere politico, colpendo tutte le sue
articolazioni. Tuttavia, l’attenzione alla fabbrica non verrà mai meno
completamente, anche se passa decisamente in secondo piano.
La colonna genovese nasce, come abbiamo visto, alla metà del decennio,
pressoché in concomitanza con questa svolta nella linea
dell’organizzazione; di più: proprio a Genova viene compiuta la prima
azione importante al di fuori della fabbrica e volta a colpire un’importante
articolazione dello Stato, la Magistratura. Si tratta, naturalmente del
rapimento del giudice Sossi. Questi elementi fanno pensare che la
questione operaia non sia tra le priorità della colonna, ma non è così. Al
contrario, il mondo della fabbrica era l’interesse, l’obiettivo, la sfida e la
speranza principale dell’organizzazione. L’interesse delle Brigate Rosse
genovesi per la fabbrica non si esauriva nella propaganda presso i
lavoratori, ma comportava anche l’impegno a studiarne le dinamiche, i
problemi, le prospettive, i meccanismi e le probabili evoluzioni.
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che avveniva nelle fabbriche? Quello era il grande continente sconosciuto,
e la meta di tutti i nostri andirivieni. […] La ristrutturazione andava avanti,
e il compagno ne parlava con rispetto, talvolta con inconsapevole
ammirazione. […] C’era un fondo frustrato di positivismo ingegneresco nei
brigatisti che ho conosciuto a Genova, che li rendeva assolutamente diversi
dagli altri esponenti del movimento e li faceva seri e pedanti, adatti forse a
cogliere meglio alcuni nodi della ristrutturazione in atto, ma ciechi e sordi
alla dimensione complessiva del mutamento, alla vita vera che vi scorreva
dentro, ai colori nuovi del dramma sociale
20
.
Queste parole di Fenzi sono particolarmente significative, perchè mettono a
fuoco un aspetto importante della fisionomia delle Brigate Rosse genovesi:
la scarsa comprensione dei grandi mutamenti in atto negli anni Settanta e la
conseguente incapacità di inserirvisi in maniera incisiva e coerente.
Se questa caratteristica è comune all’intera esperienza della lotta armata, è,
però, particolarmente accentuata nell’organizzazione attiva in una città che
soffre, ovviamente con altri presupposti ed altri esiti, della stessa miopia, a
testimonianza del forte legame tra le cellule brigatiste e il contesto in cui
operano.
D’altra parte, è una caratteristica peculiare della colonna locale quella di
rivelare un buona conoscenza delle realtà in cui si inserivano. I documenti
genovesi, infatti, sono meno ideologici e più raramente rivolti
genericamente contro lo Stato rispetto a quelli di altri poli; viceversa
dimostrano una profonda conoscenza delle realtà della fabbrica, della
politica, dell’imprenditoria e del sindacato liguri. L’interesse per la fabbrica
si esplicita in una serie di azioni che vanno a colpire o figure chiave del
progetto di rinnovamento e di riformismo avversato dalle Brigate Rosse o
dirigenti democristiani che rappresentavano agli occhi dei brigatisti il
simbolo del patto tra DC e Confindustria o, ancora, persone con incarichi
più o meno importanti nelle grandi fabbriche genovesi, con particolare
attenzione ai capi del personale, già presi di mira sovente nelle azioni di
sequestro nelle città industriali italiane.
Su quindici ferimenti perpetrati a Genova, sette sono rivolti contro dirigenti
industriali e a cui si aggiungono un altri due rivolti uno contro un impiegato
di alto livello dell’Italsider e l’altro contro uno studioso dell’industria e del
20 E. Fenzi, Armi e bagagli, cit., pag. 53
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17
lavoro. Inoltre, vengono compiute numerose azioni minori, come gli
incendi d’auto di dirigenti, un assalto militare contro la sede dell’Intersind
(l’associazione delle aziende dello stato per le vertenze sindacali) e
l’omicidio di un operaio sindacalista, sul quale torneremo.
In particolare l’attenzione delle Brigate Rosse era rivolta al processo di
ristrutturazione; nella rivendicazione del ferimento Peschiera, esse si
autodefiniscono
contro la linea di ristrutturazione imperialista del settore economico che
viene elaborata e diretta dai centri sopranazionali di comando21
.
Secondo l’analisi dei brigatisti genovesi, l’introduzione del nucleare era
strettamente legata alla questione della militarizzazione della fabbrica e del
territorio, questione che costituiva una delle preoccupazioni centrali
dell’organizzazione; si pensava, infatti, che, dopo l’avvento del nucleare gli
stabilimenti industriali avrebbero militarizzato la sorveglianza interna,
affidandola ai carabinieri. Le Brigate Rosse sono attive soprattutto
nell’ambito delle due maggiori fabbriche della città: l’Italsider e l’Ansaldo,
che sono al centro degli studi e delle analisi dei brigatisti. E’ qui, inoltre,
che si svolgono più sovente le azioni di volantinaggio, le inchieste e gli
attentati ai dirigenti.
L’altra grande realtà industriale di Genova, il porto, anch’esso coinvolto
dalla crisi che esploderà drammaticamente nel decennio successivo, risulta
meno toccato dalle azioni militari e dai tentativi di penetrazione.
Un altro importante aspetto della questione operaia è quello del rapporto tra
Brigate Rosse e lavoratori. Si tratta di un problema controverso, difficile da
trattare, perché legato a interpretazioni faziose e sicuramente eccessive. Mi
pare si possa affermare che le Brigate Rosse godevano, all’inizio della loro
attività, di numerose simpatie e talvolta anche di consensi nel mondo
operaio, al di là delle della posizione dei sindacati e dei consigli di fabbrica,
i quali si sono sempre fermamente e coerentemente impegnati a
stigmatizzare e a contrastare anche attivamente il fenomeno brigatista.
Viceversa, non è possibile negare le simpatie e i consensi (assai più limitati
delle prime) tra gli operai; simpatie e consensi che, però, hanno iniziato
presto a diminuire e assai rapidamente, man mano che l’attività delle
Brigate Rosse diventava più efferata e gratuita e le loro analisi sempre più
21 Il Secolo XIX del 20 gennaio 1978, pag. 8
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18
allucinate e prive di legami con la realtà. Al di là delle posizioni individuali
ovviamente varie e difficilmente sondabili, la tanto agognata conquista
delle masse operaie alla causa brigatista naufraga ben presto.
Già al tempo del ferimento dell’ingegner Carlo Castellano, dirigente
dell’Ansaldo e membro del comitato regionale del PCI, avvenuto il 17
novembre del 1977, la partita con il mondo operaio è sostanzialmente
chiusa. Le manifestazioni di rabbia e di condanna dei dipendenti
dell’Ansaldo sono inequivocabili e vanno ben oltre i comunicati ufficiali.
Ogni velleità brigatista di riscuotere l’appoggio e il consenso degli operai
genovesi viene definitivamente e tragicamente stroncata il 24 gennaio del
1979 con l’omicidio del sindacalista Guido Rossa. Come le Brigate Rosse,
che nascono proponendosi come avanguardia rivoluzionaria rispetto al
proletariato, che hanno sempre guardato alla fabbrica come al terreno
privilegiato per prosperare e per gettare il seme della rivoluzione, siano
giunte ad uccidere un operaio, trasformandosi agli occhi dei lavoratori
genovesi e italiani come i nemici del momento, gli antagonisti di cui aver
paura, è un problema complesso cui corrisponde più di una soluzione.
E’ ormai accertato, al di là di ogni dubbio, che si trattò di un tragico errore,
di un’azione punitiva, condotta con incredibile leggerezza e andata oltre le
intenzioni dell’organizzazione, che subito si avvede delle gravissime
conseguenze politiche di quel cruento esito. Tuttavia non si può imputare
alla sola casualità il fatto che un lavoratore comunista venga ucciso da
coloro che si proponevano come avanguardia del movimento operaio. Un
fatto simile non si è mai avuto prima e dopo nella storia delle BR e avviene
proprio ad opera della colonna che faceva della questione operaia il centro
della sua attività politica; tuttavia questa che appare come una
contraddizione, può essere invece letta come una conseguenza di un
rapporto più stretto che altrove, che quando diventa di netta
contrapposizione arriva all’esito più estremo e tragico.
L’omicidio di Rossa è un capitolo della storia del tentativo delle BR di
penetrare nelle fabbriche; una storia tragica che si conclude con la morte
violenta proprio di due operai: Guido Rossa e Francesco Berardi. La
colonna genovese si distingue, dunque, per la notevole capacità e
aggressività, per l’efficienza organizzativa e per l’imprendibilità, sul
versante militare e per la centralità accordata alla questione operaia, su
quello politico.
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19
Il fitto mistero che avvolge la colonna durante gli anni della sua attività e la
puntuale riuscita delle sue azioni, fanno parlare per qualche tempo di
Genova come capitale delle Brigate Rosse
22
.
Benché questa definizione sia certamente eccessiva, è sicuramente
possibile affermare che la città ligure ha rivestito un ruolo assai importante
nella storia della lotta armata degli anni Settanta e che la struttura locale
delle Brigate Rosse, sebbene meno centrale nell’economia
dell’organizzazione di quella milanese prima e romana poi, ha avuto una
notevole importanza per la sua efficiente attività, per la vasta rete di
simpatizzanti su cui poteva contare e per il particolare contesto socio
economico in cui operava.
Il riconoscimento di una fisionomia peculiare della colonna genovese, di un
suo rapporto stretto con la realtà in cui operava e che la influenzava,
rendendola diversa politicamente e militarmente dalle altre strutture
operanti in città differenti, fa supporre che le colonne brigatiste fossero
dotate di sufficiente autonomia, tale da sviluppare caratteri originali e
specifici; ciononostante la struttura apparentemente monolitica
dell’organizzazione, la gerarchia ferrea e la soggezione di tutte le sue
articolazioni a un progetto e ad una disciplina unitaria.
Quest’ipotesi suggerisce, dunque, la possibilità di studiare e analizzare il
fenomeno brigatista, non più e non solo come fenomeno unitario, ma
partendo dalle sue strutture locali, ricostruendone la storia e la fisionomia
in relazione al contesto geografico, sociale, politico ed economico in cui
operavano.
LA COLONNA GENOVESE DELLE BRIGATE ROSSE
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