Il Mostro di Milwaukee che terrorizzò gli Stati Uniti d’America: la vera storia del serial killer di Jeffrey Dahmer.
A decenni di distanza dalla sua cattura e morte, la figura di Jeffrey Lionel Dahmer, noto universalmente come il “Mostro di Milwaukee” o il “Cannibale di Milwaukee”, continua a suscitare un inquietante fascino e profonda riflessione sulla natura dell’orrore umano.
Tra i serial killer più efferati della storia americana, Dahmer è tristemente famoso per aver commesso 17 omicidi tra il 1978 e il 1991, caratterizzati da violenze indicibili, tra cui necrofilia e cannibalismo. La sua vicenda, che si è conclusa con la sua morte in carcere nel 1994, resta un monito inquietante sul lato oscuro della mente umana.
La storia del Mostro di Milwaukee: chi era Jeffrey Dahmer.
Nato a Milwaukee il 21 maggio 1960, Jeffrey Dahmer visse un’infanzia apparentemente tranquilla ma segnata da difficoltà familiari e personali. Figlio primogenito di Lionel Harbert Dahmer, chimico di origini tedesche e gallesi, e di Joyce Annette Flint, istruttrice di telescriventi con radici norvegesi e irlandesi, Jeffrey sperimentò fin da piccolo un senso di isolamento. La famiglia si trasferì a Doylestown, Ohio, quando lui aveva sei anni, un evento che coincise con un progressivo distacco emotivo dai genitori, specialmente a causa delle problematiche di salute mentale della madre e dell’assenza del padre, spesso impegnato negli studi accademici.
Dahmer sviluppò presto un carattere chiuso e apatico, coltivando fin da bambino una macabra curiosità verso la morte: a partire dal 1968 cominciò a collezionare ossa di animali morti, immergendole in candeggina per conservarle, un comportamento che il padre interpretò inizialmente come un interesse scientifico. A 13 anni, Dahmer iniziò a nutrire fantasie sessuali legate ai cadaveri, segnando l’inizio di un percorso drammatico e oscuro. A sedici anni, l’abuso di alcol divenne una costante, con episodi di ubriachezza anche a scuola, dove però manteneva un’apparenza di studente rispettabile e intelligente.
Il suo primo omicidio avvenne nel 1978, subito dopo il diploma, quando uccise Steve Hicks, un autostoppista 19enne, con un manubrio, per poi smembrarne il corpo e disfarsene in modo crudele. Questo atto rappresentò l’inizio di una lunga serie di delitti. Dopo il primo omicidio, Dahmer tentò diverse strade: si iscrisse all’università, poi si arruolò nell’esercito, ma l’alcolismo e i suoi disturbi lo portarono a essere congedato. Ritornato negli Stati Uniti, visse sotto la supervisione della nonna, l’unica figura familiare a cui mostrava affetto.
Tra il 1987 e il 1991, Dahmer commise molti dei suoi omicidi più noti, attirando vittime spesso giovani e vulnerabili, prevalentemente di minoranze etniche o provenienti da ambienti sociali difficili. Tra questi, Steven Tuomi, Jamie Doxtator, Richard Guerrero e Anthony Sears, tutte uccisi con modalità simili: droghe, strangolamento, smembramento e, in alcuni casi, cannibalismo. Nel 1988, a causa di lamentele per odori molesti e rumori provenienti dalla cantina della casa della nonna, Dahmer fu costretto a trasferirsi in un appartamento di Milwaukee, situato in una zona ad alta criminalità. Qui portò con sé parti del corpo delle sue vittime, intensificando la sua attività criminale.

Jeffrey Dahmer, il serial killer che sconvolse l’America – Misteriditalia.it
Un episodio significativo avvenne nel 1991, quando un giovane, Konerack Sinthasomphone, riuscì a fuggire dall’appartamento di Dahmer e a contattare la polizia. Nonostante le testimonianze e le condizioni sospette, gli agenti non approfondirono l’indagine, permettendo a Dahmer di continuare a uccidere. Questo episodio ha sollevato forti critiche sulle forze dell’ordine per negligenza e pregiudizi razziali, con conseguenti scandali e riforme interne. Il 22 luglio 1991, la fuga di Tracy Edwards, uno dei pochi a sopravvivere alla furia di Dahmer, portò alla sua cattura definitiva.
Edwards riuscì a liberarsi e a convincere la polizia a ispezionare l’appartamento dell’assassino, dove furono scoperti resti umani conservati in frigoriferi e barili, tra cui teste mummificate, mani tagliate, organi conservati in formaldeide e fotografie macabre. Il processo, iniziato nel gennaio 1992, vide Dahmer dichiararsi colpevole di 15 capi di imputazione. La difesa tentò di far valere l’infermità mentale, ma il giudice Laurence Gram lo condannò all’ergastolo, con una sentenza strutturata per impedire qualsiasi possibilità di rilascio.
Durante la detenzione nel Columbia Correctional Institute di Portage, Dahmer si convertì al cristianesimo e rilasciò un’intervista confessione, in cui negò la colpa dei genitori, assumendosi la piena responsabilità dei suoi crimini. Affermò che la sua mancanza di fede aveva contribuito alla sua discesa nel male, sostenendo che senza un senso di giustizia divina, non vi era motivo per comportarsi moralmente.
Il 28 novembre 1994, Dahmer fu brutalmente assassinato in carcere da un altro detenuto, Christopher Scarver, che lo colpì ripetutamente con un’asta di manubrio, provocandone la morte durante il trasporto in ospedale. Il suo cervello fu conservato per studi scientifici, mentre la casa dove aveva commesso molti dei suoi omicidi fu demolita nel 1992, cancellando un luogo d’orrore dalla memoria fisica della città.
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