La figura di Yoo Young-Chul continua a suscitare scalpore e riflessioni nel panorama criminale internazionale.
Nonostante siano passati più di due decenni dai suoi crimini, l’uomo rimane un simbolo inquietante di come un distorto senso di giustizia possa trasformarsi in una lunga scia di violenza brutale.
Ancora oggi detenuto in Corea del Sud, Yoo Young-Chul attende l’esecuzione della pena capitale, comminata nel dicembre 2004.
Il giallo di Yoo Young-Chul: l’uomo che uccideva per “senso di giustizia”
La storia di Yoo Young-Chul è caratterizzata da un crescendo di azioni criminali che sono passate dalle piccole truffe fino a raggiungere vette di crudeltà sconvolgenti. Tra il 2002 e il 2003, Yoo ha commesso almeno 20 omicidi, prendendo di mira principalmente prostitute e anziani benestanti.

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Questi delitti, condotti con sadico metodo, hanno lasciato un segno indelebile nella società sudcoreana, scatenando una vasta ondata di paura e indignazione.
Il modus operandi di Yoo Young-Chul si distingueva non solo per la violenza, ma anche per la sua particolare selezione delle vittime. Le prostitute erano considerate da lui come simboli di un mondo corrotto e decadente, mentre gli anziani ricchi erano visti come colpevoli di un sistema iniquo.
In diverse interviste televisive, Yoo ha spiegato che il suo agire era dettato da un distorto senso di giustizia: “le donne non dovrebbero essere prostitute e i ricchi dovrebbero sapere ciò che hanno fatto”.
La giustificazione fornita da Yoo Young-Chul durante la sua detenzione ha sollevato numerosi interrogativi sul rapporto tra devianza sociale e psicopatologia. Le sue dichiarazioni rivelano un profondo rancore verso determinate categorie sociali, ma anche una pericolosa semplificazione morale che ha giustificato la sua violenza estrema.
L’analisi degli esperti di criminologia ha sottolineato come il suo profilo psicologico presenti caratteristiche di un disturbo della personalità, con tendenze antisociali e una forte propensione alla manipolazione. Tuttavia, la sua capacità di articolare una motivazione “morale” ha reso il caso ancora più complesso, mettendo in luce i rischi insiti nel giustizialismo individuale.
Il 13 dicembre 2004, Yoo Young-Chul è stato condannato a morte dal tribunale sudcoreano, una sentenza che ha colpito profondamente l’opinione pubblica e il sistema giudiziario del Paese.
Nonostante la pena capitale sia stata confermata, la Corea del Sud ha adottato da allora una moratoria non ufficiale sulle esecuzioni, motivo per cui Yoo rimane ancora detenuto nel braccio della morte.
Negli ultimi anni, si sono susseguiti dibattiti sull’opportunità di mantenere la pena di morte nel sistema giuridico sudcoreano, anche a causa di casi come quello di Yoo Young-Chul.
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