I Misteri

Il caso di Alessandra Vanni: cosa nascondeva l’enigma in latino trovato dopo l’omicidio, la citazione dell’Apocalisse

Sono trascorsi ventotto anni da quella notte d’agosto che ha sconvolto la quiete delle colline toscane e lasciato un segno indelebile nella memoria collettiva. L’omicidio di Alessandra Vanni, giovane tassista e centralinista di Siena, resta uno dei casi più enigmatici e inquietanti della fine degli anni Novanta.

L’ultima notte di Alessandra

Era l’8 agosto 1997 quando Alessandra, 29 anni, terminato il turno diurno al centralino del Consorzio Taxi di Siena, decise di affrontare la sua prima notte da autista, utilizzando la licenza di un familiare. In quelle ore trasportò vari clienti – tra cui turisti stranieri e militari – prima di essere vista, intorno alle 23, a Quercegrossa, mentre percorreva più volte lo stesso isolato in cerca di passeggeri. Da lì, la sua auto venne notata dirigersi verso Castellina in Chianti, dove si sarebbe fermata in un’area isolata e priva di illuminazione, nei pressi di una vecchia discarica.

La macabra scoperta

La mattina seguente, un pensionato che si era recato sul posto per gettare un materasso fece una scoperta destinata a rimanere impressa nella storia della cronaca nera senese. Alessandra era al posto di guida, il corpo rigido e le mani legate con uno spago da pacchi, fissato in modo complesso alla sbarra dello schienale. Indossava gli abiti ordinati della sera precedente, ma presentava segni evidenti di strangolamento. Il medico del 118 non poté far altro che constatare la morte per asfissia.

La lettera e la decodificazione

Mentre i carabinieri donne e uomini lavoravano senza sosta per ricostruire le ultime ore di Alessandra, in caserma giunse una lettera che aggiunse un ulteriore alone di inquietudine al caso. Proveniente dal Friuli, il foglio riportava un enigma in latino: “Quis est dignus aperire librum et solvere signacula eius?” — una frase che, per il suo linguaggio sacro e oscuro, spinse gli inquirenti a chiedere aiuto alla chiesa locale.

Il parroco, chiamato a interpretare il passo, non si limitò alla traduzione: spiegò che si trattava di una citazione dell’Apocalisse di San Giovanni, un brano che evoca il sacrificio dell’Agnello e la domanda su chi sia “degno” di aprire il libro e scioglierne i sigilli. Per i militari, il collegamento tra la frase e il complesso nodo che tratteneva le braccia di Alessandra fu immediato e inquietante: un possibile indizio simbolico, forse voluto dall’autore del delitto, o forse un depistaggio studiato per confondere le piste.

Quel messaggio misterioso trasformò un’indagine già difficile in un caso ancora più contorto: tra gesti tecnici, silenzi locali e simboli religiosi, il delitto restò avvolto da domande senza risposta, alimentando teorie e paure in una comunità che, ancora oggi, cerca di comprendere la verità dietro quella tragica notte.

Indagini, ipotesi e un mistero ancora aperto

Le indagini successive si sono rivelate complesse e infruttuose. Nel corso degli anni sono state formulate diverse ipotesi, alcune delle quali dai contorni quasi rituali, ma nessuna ha trovato riscontro concreto. Nel 2020 il caso è stato riaperto grazie all’introduzione di nuove tecnologie forensi, ma anche questa volta non sono emersi elementi decisivi in grado di identificare l’assassino. La precisione del nodo che immobilizzava la vittima, insieme all’assenza di testimoni e di tracce utili, ha alimentato un alone di mistero e paura. Gli inquirenti, pur non escludendo alcuna pista, non sono mai riusciti a definire con certezza il movente del delitto.

Un enigma che resiste al tempo

Oggi, a quasi tre decenni di distanza, la vicenda di Alessandra Vanni continua a rappresentare uno dei più grandi misteri irrisolti della Toscana. Un caso che resta impresso per la crudeltà dell’omicidio, l’assenza di un colpevole e la sensazione di un segreto ancora sepolto tra le colline senesi.

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