I Misteri

GLI OMICIDI DELLE PROSTITUTE

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L’OMICIDIO DI ALMERINA BODEJANI
alias STELA TRUYA
(capo d’imputazione n. 12)
Si è già accennato che il mese di febbraio del 1998, dopo l’omicidio Canu del
precedente 25 gennaio, non è stato funestato da alcuno dei crimini commessi da
BILANCIA. La serie riprende con un “tema” delittuoso nuovo, nel senso che questi,
dopo aver appagato la sua sete di vendetta nei confronti di Centanaro e Parenti ed
aver iniziato a sfruttare a fini di lucro la novella capacità criminale di cui si è scoperto
capace, indirizza quest’ultima verso un nuovo ambiente: quello delle prostitute.
§ 1. La confessione
Il primo di tali omicidi si colloca nella prima decade di marzo; l’imputato così
ne parla nel corso degli interrogatori del 15 e del 24 maggio:
<< Dopo l’episodio della guardia giurata ci sono i due episodi di quelle due
ragazze di Cogoleto ed Albenga.
L’ho prelevata laggiù alla foce, lì dall’Automobile Club. Però nel pomeriggio,
che ero andato a trovare mio padre nella casa di Cogoleto in via Arrestra, mi sono
andato un po’ a vedere le zone lì intorno, ho visto che c’era questa strada col
passaggio a livello che andava a finire in un tunnel poi fino in fondo e sbucava,
però era una strada chiusa quindi…
La sera l’ho presa e le ho detto che le davo un milione, mi pare, se veniva a
casa mia; poi me la son portata là, ho avuto un rapporto sessuale di tipo…
penetrazione e poi l’ho uccisa. Finisce Cogoleto, c’è quella sbarra che chiude la
strada, che però non è assicurata; si alza la sbarra e si entra, poi ad un certo punto,
ora non so quanto, si passano delle case che sono qui sulla destra andando in
direzione ponente. C’è una prima galleria, in cui mi sono accostato alla parete
destra per impedire che uscisse, proprio all’inizio del tunnel, con il muso in
direzione di Varazze. Alla fine della galleria c’è uno slargo sulla sinistra, e poi la
stradina prosegue: consumato il rapporto sessuale sono venuto avanti con la
macchina fino a questo slargo, poi ho fatto retromarcia e mi sono fermato in questo
spiazzo. Avevo un asciugamano bianco in macchina e l’ho preso in mano. L’ho
fatta scendere e l’ho fatta dirigere verso il mare, in corrispondenza di una piccola
scarpata che va giù verso il mare.
Le ho detto: “Scendi un attimo, guarda il mare, ti lascio qua e me ne vado…”,
non le ho fatto capire che avrei fatto quello che ho fatto. Le ho detto che non le
avrei fatto niente, perché non volevo che vedesse la targa, e allora a questo
proposito le ho messo l’asciugamano in testa e poi le ho sparato un colpo alla nuca.
La ragazza è caduta in avanti, ed è rimasta con i piedi qui, all’inizio della scarpata;
ho preso l’asciugamano che era rimasto sotto, l’ho messo in un sacchetto di
plastica e poi sono andato via.
Il corpo non l’ho manco toccato, io; ho solamente tirato l’asciugamano di sotto,
ora non so se però si è mosso il cadavere. Quando ho sparato la ragazza aveva
l’asciugamano in testa, ed ho potuto vedere che era girata verso il mare: il
proiettile è certamente entrato da dietro. E’ caduta con la faccia in avanti, con la
testa in direzione della discesa e del mare. Non ho fatto caso se levandole
l’asciugamano di sotto si sia girata la faccia verso l’alto.
Quanto all’abbigliamento, aveva la gonna e credo un giaccone tre quarti scuro,
però questo è un dettaglio che non ricordo. Si era denudata per avere il rapporto
con me, ed i suoi vestiti, rimasti in macchina sul sedile posteriore, li ho messi tutti
nel solito bidone della spazzatura, mi pare a Varazze. Credo avesse una borsa con
quelle due cose che hanno loro, ma non ho toccato assolutamente niente con le
mani per non lasciare impronte, e cose di questo genere. Tutto quello che era suo è
stato racchiuso in più sacchi di plastica e poi distribuito nei cassonetti.
Io non conoscevo queste prostitute, non le frequentavo. Con quella di
Cogoleto, però, prima di quel giorno c’era già stato qualcosa. Era venuta una volta
in casa mia a via del Fossato, non in casa dei miei genitori che non ho mai toccato
per queste cose. Forse è accaduto una o due volte: presa sul posto di lavoro, portata
a casa, effettuando l’operazione con compenso. Riportata sul posto di lavoro.
Chiuso.
Una sera si era verificato un episodio che una sua amica, di quelle un po’ più
intraprendenti delle altre, mentre mi ero fermato esclusivamente per lei, si è buttata
in macchina per scherzare ed ha fatto un po’ di casino, e così me ne sono andato.
In ogni caso nessuno ha mai avuto occasione di vedermi con questa qui di
Cogoleto. Credo però che questa sua amica di quella sera lo sapesse.
Io della ragazza non conoscevo nulla, nemmeno nome e cognome, dove stava,
con chi stava; niente, assolutamente niente, cioè il rapporto preciso che può avere
un cliente con una prostituta. Il nome l’ho letto sui giornali.
Se qualcuno dice che mi ha visto al ristorante, niente, sono bugie dettate dal
momento di notorietà. Non sono mai stato nel locale di Sampierdarena denominato
“Montecarlo” insieme con questa ragazza; forse chi dice di avermi visto si riferisce
a qualche altra donna con la quale possono esservi entrato, perché ci sono stato
moltissime volte a giocare.
Delle volte, magari così per divertimento nel pomeriggio, se non si giocava,
sulla via di Francia ci sono sempre delle prostitute che oltretutto sono anche
tossiche; io magari ne pagavo una per farle avere dei rapporti insieme con
qualcuno di lì dentro, ed io guardavo. Questo è successo. Ma sicuramente non
quella ragazza lì, è escluso. Io ero solo spettatore, anche perché insomma, lì è una
storia po’ pericolosa: nel senso che non l’avrei fatto comunque lì in mezzo, e poi
erano tossiche e si potevano prendere malattie. Io pagavo soltanto, ed il gestore
una volta, mi pare, si è molto lamentato perché non voleva che nel suo locale
succedessero determinate cose, e difatti non è più successo. I rapporti venivano
consumati in una cucina che stava tra il bagno e la sala gioco.
Questo qui era un mio divertimento: acchiappavo una povera crista, le davo
centomila lire e la portavo lì dentro e la facevo scopare da questi disgraziati qua,
punto e basta. Con le ultime invece, io non prendevo più precauzioni, perché
all’ultimo non mi fregava proprio più niente di cosa potesse succedermi, a partire
da quel giorno lì del fatto di Centanaro. Precedentemente io a prostitute ci sono
andato poco e niente, perché avevo tutto il “materiale” senza frequentare prostitute;
ho sempre avuto del materiale, di grosso pregio anche!
Non è che non voglio dire perché è successo: è che lo vorrei sapere anch’io. La
scintilla è partita da quella quell’episodio là – quello di Centanaro e Parenti – che
ho raccontato prima. Poi il prosieguo non so cos’è successo. Sia per Cogoleto che
per Albenga, i luoghi dove poi avrei portato le due ragazze ero andato un po’ a
vederli. >>
§ 2. Lo stato dei luoghi
Il corpo della vittima è stato scoperto, la mattina successiva al fatto, dal teste
Antonio Delfino; questi ha riferito che stava portando il cane a fare un giro lungo la
linea ferroviaria dismessa che si trova fra Varazze e Cogoleto, in località Ponte S.
Giacomo. Tra una galleria e l’altra, all’altezza di un piccolo spiazzo sovrastante una
piccola scogliera, aveva visto i piedi di un corpo femminile che spuntavano dalla
scarpata; avvicinatosi, aveva constatato che c’era una ragazza morta, completamente
nuda, con una profonda ferita alla testa, ed era subito corso ad avvisare per telefono i
Carabinieri di Cogoleto.
Il corpo si trovava sul ciglio della scarpata, leggermente digradante verso il
mare; sul piano orizzontale della ex sede ferroviaria spuntavano per una trentina di
centimetri i due tronconi delle gambe; il volto era invece coperto dal gomito, ed il
capo girato in modo tale da mostrare la vasta ferita alla testa.
Delfino ha poi precisato che non si tratta di un luogo soggetto al pubblico
transito veicolare: più che altro vi si recano pescatori e persone che ci vanno a
passeggio. L’accesso è consentito da una sbarra che di fatto è sempre aperta, essendo
stata più volte forzata: e così Delfino l’aveva trovata anche quella mattina.
Il maresciallo capo dei Carabinieri Gaetano Vultaggio ha partecipato alle
operazioni di sopralluogo documentate dai due fascicoli di rilievi tecnici e fotografici
di cui in atti. Ha dichiarato al riguardo che sul posto erano stati sequestrati alcuni
fazzolettini di carta ed un mozzicone di sigaretta, le cui successive analisi non hanno
dato esiti utili per le indagini.
Per terra c’erano inoltre delle macchie di sangue, ma soltanto in corrispondenza
del foro di uscita del proiettile sulla fronte della vittima. Era stata cercata a lungo
l’ogiva esplosa dall’arma, ma senza successo. L’accesso al luogo era avvenuto da
Cogoleto, al confine con Varazze: sulla destra per chi procede verso Genova c’è una
sbarra che al momento era aperta, ed il cadavere era stato rinvenuto circa duecento
metri dopo.
§ 3. L’ambiente della vittima
Il capitano dei Carabinieri Antonino Amato ha riferito che sulle prime era stato
estremamente difficile accertare l’identità della vittima, trovata completamente nuda
e dunque priva di effetti personali e di documenti. Grazie alle impronte digitali si era
poi reso possibile, tuttavia, risalire alle generalità con cui la stessa risultava essere
stata identificata presso la Questura di Genova, appunto l’alias Stela Truya, e di
seguito appurare che aveva dimorato in due alberghi di Genova.
Qui era stata trovata una ragazza di nazionalità albanese, la stessa della vittima,
che aveva dato le prime informazioni sul suo conto, e di lì si erano sviluppate le
prime indagini, grazie anche alle foto ricavate da una macchina fotografica rinvenuta
all’interno della stanza che già era stata nella disponibilità della Truya. La pista
investigativa relativa all’eventuale punizione per uno “sgarro” connesso allo
sfruttamento della prostituzione non aveva però dato alcun esito, e nemmeno le
indagini sul presunto sfruttatore della ragazza, un suo connazionale di nome Topi
Kadri, avevano dato utili risultati.
Si era allora cercato di attingere ulteriori informazioni dalle colleghe di lavoro
della vittima, che solitamente stazionava in attesa di clienti in via Brigate Partigiane.
Alcune di queste, citate come testimoni dal pubblico ministero ma nelle more
divenute irreperibili, avevano detto che l’ultimo cliente con cui la vittima si era
allontanata in macchina, tra le 4.30 e le 5.00 del 9 marzo, era stato uno sconosciuto al
volante di una Mercedes scura.
Il capitano Amato ha infine riferito che, con il verificarsi dei successivi omicidi
in danno di prostitute, si era iniziato a constatare le analogie tra le modalità di
consumazione dei vari omicidi: ad esempio, anche la Zubckova e la Valbona sono
state colpite alla nuca, ed in entrambi i casi l’omicida ha utilizzato un capo
d’abbigliamento per coprire il capo delle vittime al momento del colpo.
Il maresciallo Antonello Murineddu ha ricostruito, più nel dettaglio, quanto è
emerso dall’audizione di alcune amiche e colleghe della vittima. In particolare, la sua
compagna di stanza Marinela Halilaj aveva descritto le ultime ore di vita della Truja,
essendosi trovata accanto a lei sul loro comune luogo di lavoro in viale Brigate
Partigiane a Genova. Aveva riferito che verso le 4.00/4.30 Stela era salita a bordo di
una Fiat Uno di colore bianco. Al suo ritorno le aveva detto che per lei si trattava
dell’ultimo cliente, in quanto non si sentiva molto bene. In seguito aveva appreso da
un altro cliente abituale, di nome Angelo, che Stela, dopo essere stata riaccompagnata
sul posto dalla Uno bianca, era salita su una Mercedes di colore scuro, ma non era
stata in grado di aggiungere ulteriori dettagli (v. al riguardo i verbali di sommarie
informazioni resi in data 10 e 11 marzo 1998, acquisiti nel fascicolo per il
dibattimento – a norma dell’art. 512 c.p.p. – a seguito della sopravvenuta ed
imprevedibile irreperibilità della testimone, desumibile dalla negativa relata di
notifica della citazione in atti).
Altre due colleghe di lavoro, Anxhela Gjini ed Anxhela Rapi, hanno
confermato la circostanza riferita dalla Halilaj, nel senso che lo stesso Angelo le
aveva accompagnate a fare un giro la notte successiva al fatto, prima che si
diffondesse la notizia della morte della Truya, ed alle loro richieste di informazioni su
quest’ultima l’uomo aveva risposto di averla vista l’ultima volta la notte precedente,
intorno alle 4.30, mentre saliva a bordo di una Mercedes scura poco dopo essere
scesa da una piccola vettura bianca. Successivamente né lui, né alcun’altra collega
avevano visto Stela ritornare al suo posto di lavoro in viale Brigate Partigiane (v. i
verbali delle dichiarazioni rese dalle due donne in data 10 e 14 marzo 1998, parimenti
acquisiti nel fascicolo per l’irreperibilità di entrambe quale risulta attestata dalle
negative relate di notifica in atti).
Il maresciallo Murineddu ha poi concluso riferendo che le ricerche volte ad
identificare quel tale Angelo per assumerne direttamente maggiori informazioni si
erano rivelate infruttuose.
Il teste Andrea Anselmo, un buon conoscente di Stela Truya per averla
frequentata fino a tre/quattro giorni prima dell’omicidio, ha infine dichiarato di aver
appreso la notizia della sua morte due giorni dopo il fatto. La sera dell’11 marzo,
infatti, gli aveva telefonato una delle sue compagne di lavoro e gliel’aveva
comunicato.
Nel prosieguo si erano sentiti altre volte, e così aveva appreso da questa
ragazza che lei stessa non aveva idea di chi fosse l’omicida; che l’ultima notte di
lavoro condivisa con Stela era stata quella tra il 9 e il 10 marzo; e che l’ultima volta
che l’aveva vista era stata quando Stela era salita a bordo di una Mercedes scura
intorno alle 2.30. Aveva anche ricordato che, nell’occasione, indossava il suo solito
giubbotto di pelle nero.
§ 4. Gli accertamenti tecnici
La dottoressa Silvana Mazzone, il consulente tecnico incaricato dal pubblico
ministero di svolgere l’autopsia sul cadavere della vittima, ha riferito di essersi recata
sul posto all’atto del rinvenimento del corpo, ed ne ha quindi confermato la posizione
qual è emersa alla luce delle precedenti deposizioni testimoniali.
Ha subito rilevato un’iniziale rigidità cadaverica alla zona temporomandibolare e la presenza di macchie ipostatiche nelle regioni anteriori a diretto
contatto con il terreno, per cui ha ipotizzato già nell’immediatezza una morte
abbastanza recente; successivamente, grazie anche ai dati emersi in sede autoptica, ha
ritenuto di collocarla approssimativamente tra le 5.00 e le 8.00 della stessa mattina
del 9 marzo.
Dall’autopsia è emersa una ferita d’arma da fuoco con foro di entrata molto
irregolare nella regione occipitale sinistra, ed uno di uscita nella corrispondente
regione frontale destra. La morte è stata agevolmente riferita, pertanto, a gravissime
lesioni fratturative del cranio ed encefaliche. Oltre a questi due elementi sono stati
riscontrati sul cadavere alcuni traumatismi superficiali di poco conto, distribuiti un
po’ su tutto il corpo e verosimilmente dovuti alla pesante caduta a terra.
Un dato più interessante è invece costituito dal tramite della ferita, che è
risultato essere dal basso verso l’alto, da sinistra verso destra e da dietro in avanti. I
bordi molto irregolari del foro d’ingresso sono risultati compatibili con un colpo a
contatto, anche se non sono stati rilevati i classici segni di affumicatura ed
abbruciamento che di solito si rilevano in casi simili: la ragione è stata individuata
nella possibile interposizione di un diaframma, ad esempio un indumento, tra l’arma
e la cute della vittima. La lesione, in ogni caso, si presentava senz’altro compatibile
con la posizione della vittima in piedi al momento dello sparo.
Ed ancora: benché il foro di uscita sia stato localizzato in corrispondenza della
regione frontale destra, non è stato attinto il lobo frontale destro. L’ipotesi formulata
dal consulente tecnico è che al momento dell’impatto del proiettile la donna abbia
repentinamente scosso il capo da una parte, più probabilmente a sinistra, per cercare
di sottrarsi all’aggressore; ciò può avere provocato una momentanea compressione
della massa cerebrale all’interno della scatola cranica, compatibile con l’accertato
tramite dell’ogiva.
Peraltro, ha rimarcato la dottoressa Mazzone, le colature ematiche rinvenute sul
corpo, soprattutto al viso, presentavano un andamento innaturale, antigravitario: un
dato sintomatico, a suo avviso, del fatto che la vittima possa essere stata attinta dal
colpo qualche metro prima del luogo in cui il cadavere è stato successivamente
ritrovato, ad esempio in corrispondenza della traccia emodinamica rinvenuta poco
lontano, caratterizzata da una certa forza cinetica che l’ha “schizzata” su alcune pietre
(v. la foto n. 13 allegata alla planimetria in atti); successivamente il corpo deve aver
subìto un leggero spostamento, da attribuire forse alla stessa fase agonica, fino ad
assumere la definitiva posizione prona e con il tronco piegato verso il basso.
Il consulente tecnico ha infine precisato al riguardo che non sono state
rinvenute tracce univoche di trascinamento del corpo, sia pure per un breve tratto: le
microescoriazioni e le microcontusioni rilevate sono state attribuite, come si è
accennato, agli effetti della violenta caduta del corpo esanime sul terreno pietroso.
Da ultimo va rilevato che gli accertamenti biologici svolti presso il Reparto
Investigazioni Scientifiche dei Carabinieri di Parma hanno dato esito negativo circa
l’eventuale presenza di tracce di sperma nei tamponi effettuati sul corpo della vittima,
così come sono rimaste infruttuose le ricerche di natura dattiloscopica sulle due
strisce di carta rinvenute sul luogo del delitto (v. in atti la “relazione tecnica di
consulenza”, pagg. 102-110).
§ 5. La valutazione del materiale probatorio
Sebbene sia mancato, nel caso in esame, il supporto tecnico degli accertamenti
balistici espletati sui proiettili esplosi dall’arma utilizzati dall’omicida, in quanto
l’unico reperto di questo tipo è stato rinvenuto in mare oltre due mesi dopo il fatto (v.
il verbale in atti del 16 maggio 1998), senza alcun elemento che valga a riferirlo con
certezza al fatto in esame, non mancano riscontri idonei a conferire valore di piena
prova alla confessione dell’imputato.
Depongono in tal senso, in primo luogo, le convergenti dichiarazioni rese dalle
colleghe di lavoro della vittima circa il tipo ed il colore dell’ultima macchina – una
Mercedes scura – a bordo della quale l’avevano vista salire in viale Brigate
Partigiane, coincidente con quella che si è visto essere in uso all’imputato in quel
periodo (supra, pag. 280ss.).
Ma è decisiva, al riguardo, soprattutto la corrispondenza tra la posizione del
cadavere, così come casualmente rinvenuto dal teste Delfino, e le modalità
dell’omicidio descritte da BILANCIA, che ha appunto riferito di aver fatto denudare
completamente la ragazza prima di ucciderla, di averla invitata a girarsi verso il mare
e di averla infine colpita alla nuca, provocandone la caduta in avanti sulla scogliera in
lieve pendenza.
Per altro verso, se non è decisiva la perfetta conoscenza dei luoghi, in ipotesi
dovuta al fatto che nei pressi si trova la casa dei suoi genitori, certamente l’aver
riferito il punto esatto in cui il cadavere è stato rinvenuto, in una al particolare
orientamento assunto dal corpo al momento della caduta, costituisce un’insuperabile
riprova della veridicità della confessione di BILANCIA, che non poteva aver appreso
quelle circostanze se non partecipando direttamente all’azione.
Anche i dettagli del primo sopralluogo sono coerenti con questa affermazione.
Il medico legale ha infatti rilevato che, nonostante il colpo sia stato esploso quasi a
contatto, la nuca della vittima non presentava i classici segni di affumicatura ed
abbruciamento: ed allora è plausibile che l’omicida abbia sparato alla donna
attraverso un indumento che deve aver trattenuto i residui dello sparo, proprio come
BILANCIA dice di aver fatto quando ha avvolto il capo della ragazza con un
asciugamano, ricorrendo a chissà quale pretesto. Ed anche la posizione innaturale del
capo rispetto al tronco sembra confortare la fondatezza di questo punto della
confessione; la ragazza, infatti, sebbene priva di sensi – come deve desumersi dal
fatto che sia caduta “a peso morto”, senza nemmeno allungare le braccia in avanti in
un istintivo gesto di difesa dall’impatto con il suolo – sembra aver girato soltanto la
testa, pur avendo riportato notevoli lesioni al volto nel contatto con la roccia: ciò può
significare soltanto che quel movimento della testa è stato successivo alla caduta a
terra della vittima, ed è dunque perfettamente compatibile con il gesto, riferito da
BILANCIA, di sfilarle l’asciugamano dal capo, ad ulteriore e puntuale riscontro delle
sue dichiarazioni.
Del resto, l’ipotesi – formulata dal medico legale – di un movimento agonico
della ragazza non sembra la sola spiegazione plausibile dello “strano” orientamento
delle tracce ematiche rilevate sul suo viso, e della stessa presenza di vistosi schizzi di
sangue su alcune pietre poste in prossimità del cadavere. Quanto al primo profilo,
infatti, una spiegazione altrettanto verosimile può rinvenirsi proprio nel gesto di
sfilare l’asciugamano dal capo della vittima riferito da BILANCIA, in quanto la
massiva perdita di sangue dai fori di entrata e di uscita è prima colata naturalmente
verso il basso, con il viso in posizione perpendicolare al suolo, e poi, dopo che il capo
della ragazza è rimasto girato a sinistra per effetto della predetta manovra
dell’omicida, ha continuato a cadere al suolo direttamente dalla nuca. Una simile
dinamica spiegherebbe, dunque, il fatto che si siano seccate le colature di sangue
rinvenute sulla guancia sinistra, la quale, venutasi ormai a trovare rivolta verso l’alto,
non è più stata solcata da altro materiale ematico.
Riguardo invece alle macchie di sangue sulle pietre di cui al punto “A” della
planimetria allegata al fascicolo dei rilievi tecnici in atti, non pare alla Corte che
queste siano direttamente riconducibili agli schizzi prodotti dall’impatto del proiettile
con la cute della vittima. Se si rimanda, ad esempio, a quelli rinvenuti nell’ascensore
in cui fu rinvenuto il cadavere di Giangiorgio Canu (supra, pag. 223), balza evidente
la profonda differenza tra i due casi: in quello vi sono più macchioline puntiformi ed
a raggiera, in questo, invece, la macchia si presenta piuttosto uniforme ed ampia, con
frange di modestissima estensione soltanto sulla pietra posta in posizione mediana,
nei pressi del cartellino segnaletico sistemato per terra dai Carabinieri (v. la già citata
foto n. 13 del fascicolo in atti). Tenuto anche conto della forma semicircolare della
macchia, insomma, sembra quasi che questa si sia formata a seguito del contatto con
un indumento intriso di sangue, in ipotesi proprio l’asciugamano che avvolgeva il
capo della vittima al momento dello sparo, che BILANCIA può aver
momentaneamente appoggiato per terra mentre, ad esempio, cercava il sacchetto di
plastica in cui ha detto di averlo inserito prima di gettarlo via.
In ogni caso, quello in esame è un elemento – se non proprio coerente – almeno
non incompatibile con la dinamica dell’azione criminosa descritta dall’imputato.
L’unica vera discrasia potrebbe rinvenirsi nel riferimento a quel rapporto completo
che BILANCIA ha detto di aver avuto con la ragazza pochi minuti prima di ucciderla,
dopo averla fatta denudare completamente in macchina, e del quale gli accertamenti
biologici espletati non hanno consentito di rinvenire alcuna traccia. Al riguardo, delle
due l’una: o l’imputato ha utilizzato un profilattico, contrariamente a quanto ha
affermato a supporto di una pretesa volontà suicida, oppure si tratta di una squallida
bugia per dare – più che altro a sé stesso – quella dimostrazione di virilità che forse
era mancata in questo primo omicidio ai danni di una prostituta, a differenza che in
quelli di Evelin Edoghaye e della Valbona. Comunque sia, non si tratta di circostanza
tale da influire sul giudizio di piena credibilità della sua confessione, tale è la
precisione con cui ha invece riferito i più pregnanti dettagli relativi alle modalità del
fatto.
Sotto il profilo della definizione giuridica, l’omicidio in esame è senza dubbio
aggravato dalla premeditazione, in quanto BILANCIA si era precedentemente recato
sul luogo del delitto per verificarne la compatibilità con le proprie intenzioni
criminose: segno, questo, che aveva già deciso di uccidere e che ha mantenuto fermo
questo proposito per un tempo apprezzabile, pur non avendo ancora individuato la
vittima designata. La costante giurisprudenza di legittimità, per vero, è orientata nel
senso che l’individuazione della vittima attiene soltanto al processo di esecuzione del
delitto, e non anche alla cristallizzazione della risoluzione omicida: la sola che venga
in rilievo ai fini del giudizio di ben maggiore capacità criminale sotteso alla stessa
premeditazione.
Sussiste anche la circostanza aggravante dei futili motivi, se è vero che
BILANCIA non ha saputo dare conto delle ragioni per cui ha deciso di uccidere
proprio la Bodejani e non una delle tante altre ragazze che quella notte lavoravano
per strada nella zona; si è rifugiato, è vero, in un generico richiamo alla diversa
nazionalità delle vittime individuate in quel particolare settore: ma a ben guardare
questo è soltanto un “non motivo”, perché in realtà non spiega quale sia la causale
perseguita dall’imputato con la scelta di colpire una serie di vittime esercenti la
prostituzione, prima fra queste proprio la Bodejani. E si è già visto a proposito
dell’omicidio Canu come la sostanziale mancanza di un movente sconfini
nell’aggravante in parola quante volte, come nel caso in esame, dimostri che
l’omicida si è limitato a dare sfogo ai propri istinti malvagi.
Sussiste, da ultimo, anche l’aggravante della minorata difesa, che si vedrà
essere ricorrente negli analoghi omicidi commessi in danno di prostitute, in quanto il
luogo che BILANCIA ha scelto, dopo un’attenta valutazione, per l’esecuzione del
delitto denota una chiara volontà di mettersi al riparo da qualsiasi rischio attinente
alla fuga della vittima ovvero al possibile intervento di terzi in suo aiuto: si tratta,
invero, di un posto estremamente isolato, tanto che per convincere la Bodejani a
recarvisi con lui, per di più a notte fonda, l’imputato deve averne carpito totalmente
la fiducia; un particolare che rende il fatto ancor più odioso e vile.
E’ provato, in conclusione, che Donato BILANCIA ha commesso l’omicidio
pluriaggravato di Almerina Bodejani alias Stela Truya, così come a lui ascritto.

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