I Misteri

Gladio: la rete segreta che ha riscritto la storia politica italiana

gladio striscioneSTRISCIONI CONTRO COSSIGA ED ANDREOTTI SUL CASO GLADIO / ANSA

Per decenni fu solo una leggenda, un nome sussurrato nei corridoi dei ministeri e nelle redazioni dei giornali. Poi, nel 1990, l’Italia scoprì che Gladio esisteva davvero: una struttura militare segreta, creata in piena Guerra Fredda con il benestare della NATO e dei servizi americani. Ma la sua storia non si ferma lì. Perché in quella rete, tra misteri e depistaggi, si nasconde una parte della verità mai raccontata della nostra Repubblica.

L’Italia nel cuore della Guerra Fredda

Alla fine della Seconda guerra mondiale, l’Italia era un Paese fragile, politicamente diviso, economicamente in ginocchio e strategicamente decisivo.
A metà strada tra l’Est comunista e l’Ovest capitalista, era il luogo perfetto per lo scontro invisibile tra due mondi.

Fu in quel contesto che, intorno al 1956, nacque l’organizzazione Gladio: una rete segreta di uomini, armi e comunicazioni creata con un obiettivo preciso — resistere in caso di invasione sovietica.
Ma, come accade spesso nelle storie di potere, ciò che nasce per difendere finisce per controllare.

Gladio, nel tempo, divenne molto più di un semplice piano militare: una struttura parallela di intelligence, collegata ai servizi segreti italiani (SIFAR, poi SID e SISMI), ma rispondente anche agli interessi della CIA e della NATO.
Un doppio livello di comando, dove la sovranità nazionale si intrecciava con la geopolitica globale.

Una rete invisibile dentro lo Stato

Ufficialmente, Gladio era composta da circa 600 uomini selezionati tra ex militari, agenti, carabinieri, poliziotti, uomini di montagna e civili “affidabili”.
Tutti addestrati in segreto per operazioni di sabotaggio, comunicazione e resistenza.
Nessuno doveva sapere chi fossero, nemmeno i loro familiari.

Le basi operative erano dislocate in varie regioni — Sardegna, Friuli, Veneto, Piemonte — e custodivano arsenali nascosti nei boschi e nelle montagne, i cosiddetti nascosti Gladio, pieni di armi, esplosivi, radio e documenti.
Molte di quelle casse vennero ritrovate solo negli anni Ottanta, per caso, durante indagini di tutt’altro tipo.

La struttura rispondeva formalmente al Servizio segreto militare italiano, ma in realtà aveva una doppia catena di comando, collegata al quartier generale della NATO a Bruxelles e all’intelligence americana.
In altre parole: Gladio era un esercito segreto dentro uno Stato democratico.

La scoperta: l’Italia si guarda allo specchio

Per oltre trent’anni, Gladio rimase nell’ombra.
Poi, nel 1990, un’inchiesta giudiziaria sulla strage di Peteano — condotta dal giudice Felice Casson — portò alla scoperta dell’esistenza della rete.
Fu un terremoto politico.

Il presidente del Consiglio Giulio Andreotti, messo alle strette, fu costretto a rivelarne l’esistenza davanti al Parlamento.
Il Paese scoprì all’improvviso che esisteva una struttura segreta, operante in piena democrazia, finanziata e gestita con il supporto della CIA, di cui nessuno — o quasi — aveva mai sentito parlare ufficialmente.

giulio Andreotti

Giulio Andreotti (Foto Ansa)

Andreotti parlò di una “struttura di difesa non offensiva”, ma per molti quella spiegazione suonò come una giustificazione tardiva.
Perché Gladio, per anni, era stata collegata — direttamente o indirettamente — a episodi oscuri della nostra storia, dalla strategia della tensione alle stragi di Stato.

Le connessioni con la strategia della tensione

Negli anni Sessanta e Settanta, l’Italia fu attraversata da una lunga scia di sangue: Piazza Fontana, Brescia, Bologna, Peteano, Italicus.
Attentati, esplosioni, depistaggi, falsi colpevoli.
Una guerra invisibile combattuta dentro i confini, per condizionare la politica e la paura.

Molti magistrati e giornalisti si chiesero se Gladio avesse avuto un ruolo, diretto o indiretto, in quella stagione.
Nessuna prova definitiva è mai emersa, ma diverse testimonianze e documenti indicano contatti tra uomini della struttura e personaggi coinvolti in ambienti dell’estrema destra e dei servizi segreti deviati.

Il principio era semplice e spaventoso: mantenere l’Italia nella sfera occidentale “a ogni costo”, anche alimentando la paura di un golpe o di un pericolo rosso.
Perché, come scrisse il giudice Casson, “in Italia non c’è stata solo una strategia della tensione, ma anche una strategia dell’obbedienza”.

I fili che arrivano fino alla P2

L’esistenza di Gladio si intreccia con un altro capitolo oscuro: la Loggia massonica P2 di Licio Gelli.
Diversi elenchi e testimonianze rivelarono che alcuni uomini dei servizi segreti, coinvolti in operazioni coperte o addestrati in ambiti gladio, erano anche affiliati alla P2.
Una sovrapposizione inquietante che suggeriva l’esistenza di una rete di potere parallela, in cui militari, politici e imprenditori si muovevano su due livelli: quello ufficiale e quello occulto.

Quando nel 1981 esplose lo scandalo P2, molti documenti furono secretati.
Solo una parte è stata declassificata negli anni successivi, ma resta il sospetto che Gladio e P2 fossero due facce della stessa strategia di controllo: l’una militare, l’altra politica e culturale.

Il ruolo degli Stati Uniti e della NATO

Non si può capire Gladio senza comprendere il contesto geopolitico della Guerra Fredda.
Gli Stati Uniti, fin dal 1947, avevano promosso in tutta Europa la creazione di reti segrete “stay-behind” — letteralmente “restare indietro” — pronte ad agire in caso di invasione sovietica.
L’Italia, per la sua posizione strategica e per la forza del Partito Comunista, fu il terreno ideale per sviluppare la più ampia e complessa di queste reti.

Per Washington, Gladio era un’assicurazione politica.
Serviva a impedire che un Paese chiave del Mediterraneo potesse cadere sotto influenza sovietica o, peggio ancora, scegliere una via autonoma.
Ma in questo meccanismo, la linea tra difesa e manipolazione si fece sempre più sottile.
E il controllo esterno diventò una forma di ingerenza permanente nella politica interna italiana.

Le audizioni parlamentari e i segreti di Stato

Dopo la rivelazione di Andreotti, il Parlamento aprì una commissione d’inchiesta.
Si parlò di trasparenza, di verità, di “pulizia democratica”.
Ma presto si capì che molti documenti erano coperti dal segreto di Stato, e che gli archivi militari sarebbero rimasti inaccessibili per decenni.

Andreotti negò ogni coinvolgimento di Gladio nelle stragi.
I vertici della NATO confermarono l’esistenza del programma ma ribadirono la “piena legittimità” dell’operazione.
E così, lentamente, la questione svanì.

Nessuno fu mai condannato.
Nessuno rispose di nulla.
La rete fu ufficialmente sciolta nel 1990, ma il suo spirito — e i suoi legami — non scomparvero mai davvero.

Il sospetto che resta

A più di trent’anni di distanza, Gladio resta una delle verità sospese della Repubblica.
Non sappiamo esattamente quanti uomini ne facessero parte, quante operazioni siano state condotte, quali decisioni politiche siano state influenzate.
Sappiamo solo che la sua esistenza dimostra quanto fragile sia sempre stata la nostra democrazia, e quanto spesso la paura sia stata usata come arma di governo.

Molti storici ritengono che senza Gladio la storia italiana sarebbe stata diversa: forse meno stabile, forse più rischiosa, ma certamente più trasparente.
Perché ogni volta che un potere agisce nell’ombra, un pezzo di sovranità si dissolve.

Gladio non è solo un capitolo segreto della Guerra Fredda.
È il simbolo di un Paese che, per quarant’anni, ha vissuto dentro una doppia verità: quella ufficiale delle istituzioni e quella occulta dei poteri paralleli.
Una Repubblica che si è creduta libera, ma che in realtà ha camminato su un terreno tracciato da altri.

E forse è per questo che, ancora oggi, ogni volta che in Italia si parla di segreti di Stato, di depistaggi o di verità mancate, il nome di Gladio torna come un’eco lontana, ma inconfondibile.

Perché non fu solo una rete militare: fu una mentalità, un modo di pensare il potere come qualcosa da difendere anche contro la propria gente.

E fino a quando quegli archivi resteranno chiusi,
la storia italiana resterà incompleta.

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