Dentro il colpo del secolo che ha sconvolto Londra: un caso pieno di ombre, protagonisti insospettabili e un tesoro scomparso che continua a far parlare.
Ci sono storie che non smettono di affascinare, anche a distanza di decenni. Tra queste, il furto d’oro che sconvolse Londra nel 1983, un episodio diventato leggenda per l’audacia dei protagonisti, l’enorme valore della refurtiva e il mistero che ancora oggi avvolge buona parte del bottino.
Quella mattina di novembre, all’Heathrow International Trading Estate, si consumò un colpo che nessuno aveva pianificato davvero in quei termini, ma che divenne immediatamente la «rapina del secolo». E mentre le indagini si facevano sempre più complesse, l’eco di ciò che era accaduto continuava a diffondersi, segnando il destino di molti fra Londra, il Kent e oltreconfine.
Il furto d’oro che Londra non si aspettava
È il 26 novembre 1983 quando sei uomini armati fanno irruzione nel deposito 7 dell’Heathrow International Trading Estate. Il loro obiettivo è semplice: impossessarsi delle pesetas spagnole conservate nel caveau. Nessuno di loro può immaginare che, poche ore prima, la Brink’s Mat abbia lasciato in quel magazzino 6.840 lingotti d’oro purissimo, temporaneamente “parcheggiati” fuori dal caveau in attesa di essere trasferiti ad Amsterdam.
Il furto cambia natura in un istante: i rapinatori si trovano davanti una fortuna che supera ogni previsione. Oltre all’oro, caricano platino, diamanti, contanti e traveller’s cheque per un valore complessivo di 26 milioni di sterline. È l’inizio di una storia intricata, fatta di fughe, alleanze oscure e retroscena difficili da ricostruire.
Le prime svolte arrivano rapidamente. A Rotherhite, nel Sud-Est londinese, la polizia arresta Brian Robinson, conosciuto come il «Colonnello», legato al deposito tramite il cognato Anthony Black, guardia giurata proprio all’Heathrow International Trading Estate. Poco distante, a Herne Hill, finisce in manette anche Mickey McAvoy. Ma l’oro, intanto, è già scomparso nel cosiddetto «triangolo delle Bermuda» tra South London e il Kent: una zona dove, si dice, tutto ciò che entra non riaffiora più.

Il furto d’oro che Londra non si aspettava – misteriditalia.it
A occuparsi del riciclaggio dei lingotti è Kenneth Noye, figura chiave della malavita londinese, abile nel muoversi tra conoscenze influenti e attività poco trasparenti. Sotto la sua guida, l’oro viene fuso nella fonderia clandestina allestita da John Palmer — «Goldfinger» — nel giardino di casa. L’operazione è complessa: numeri seriali da cancellare, lingotti nuovi da acquistare per mascherare i movimenti, ricevute da ottenere e documenti falsi da produrre.
Il colpo provoca un effetto domino. La Johnson Matthey Bankers Limited, proprietaria dell’oro, finisce al collasso, costringendo la Banca d’Inghilterra a intervenire. Nel frattempo, partono le condanne: Robinson e McAvoy ricevono 25 anni, Noye 14 dopo una lunga battaglia giudiziaria, mentre altri complici e ricettatori vengono coinvolti negli anni successivi.
Ma accanto ai processi, arriva qualcosa di ancora più oscuro: omicidi irrisolti, vendette, sparatorie tra il Kent, Marbella, Corfù e Londra. Nasce così la famigerata «maledizione di Brink’s Mat», una scia di sangue che attraversa due decenni e che contribuisce a rendere il caso ancora più enigmatico.
Nel 2016 i Panama Papers riportano il caso sotto i riflettori. Emergono le transazioni offshore che coinvolgono Gordon Parry. E rivelano come parte dell’oro sia stata convertita in investimenti immobiliari nei Docklands di Londra, nel Gloucestershire e nel Kent.
Ancora oggi, però, resta un grande interrogativo. Dove è finita la metà dei lingotti mai recuperati? Solo 11 vennero trovati, sepolti vicino alla casa di Kenneth Noye. Il resto secondo molti potrebbe essere ancora nascosto da qualche parte.
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