Economia

LA FASE PREPARATORIA ED ESECUTIVA DELLA STRAGE

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Su tale segmento della condotta, che vide coinvolti un nutrito numero di uomini d’onore che
agirono sinergicamente al fine di predisporre quanto necessario alla riuscita della brutale
imboscata in danno del magistrato, giova soffermarsi sulle dichiarazioni rese da quei collaboranti,
come Di Matteo, Cancemi e La Barbera, che ab initio intrapresero la scelta collaborativa che
diede una svolta risolutiva alle indagini, atteso che su tale solco si sono innestate le propalazioni
degli altri collaboranti che hanno consentito di integrare ulteriormente il quadro probatorio
apprezzato dai primi giudici.
*
LE DICHIARAZIONI RESE DA DI MATTEO
Mario Santo Di Matteo iniziò a collaborare con l’A.G. nell’ottobre 1993 autoaccusandosi, proprio
come primo episodio riferito, della partecipazione alla strage di Capaci.
Il collaborante, nell’ammettere le proprie responsabilità con preciso riferimento alla fase
preparatoria del delitto in questione, indicò, come correi Raffaele Ganci, Salvatore Cancemi,
Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Giuseppe Agrigento, Gioacchino La Barbera, Salvatore
Biondino, Salvatore Riina, Antonino Troia e Pietro Rampulla, oltre ad Antonino Gioé, poi
suicidatosi in carcere.
Di Matteo riferì, in particolare, di una riunione avvenuta presso la sua abitazione di campagna,
sita in contrada Rebottone di Altofonte, alla quale parteciparono, tra gli altri, Salvatore Biondino,
Leoluca Bagarella, Antonino Gioé ed un soggetto che riconobbe, successivamente, in fotografia
nella persona di Salvatore Biondo. Nel corso di tale riunione sentì discutere, in separata sede,
Bagarella e Biondino di un attentato da porre in essere lungo un’autostrada.
Riferiva il collaborante che Biondino era giunto presso la sua abitazione in compagnia di Biondo,
che era alla guida di una Fiat Uno verde, precisando che quest’ultimo non era stato presente alle
operazioni di preparazione dell’attentato a cui lui stesso aveva partecipato; che alcuni giorni
prima del fatto, si era recato presso la sua abitazione di campagna Giuseppe Agrigento
portandogli 200 kg di sostanza esplosiva, simile a sale granuloso fatto di palline bianche,
contenuto in sacchi opachi di plastica; che assieme ad Agrigento aveva travasato, sempre nella
sua abitazione di campagna, la sostanza esplosiva all’interno di due bidoni di plastica nuovi di
colore bianco, da 100 kg, con tappo a vite e dotati di manici, portatigli da Gino La Barbera
qualche giorno prima, su incarico di Giovanni Brusca; che, dopo qualche giorno, i suddetti bidoni
furono trasportati a Capaci con la Jeep Patrol di La Barbera.
A tal proposito il dichiarante precisava che battevano la strada Giovanni Brusca e tale Piero, a
bordo di un’autovettura Y10 di colore bianco; che Bagarella e Gioé erano a bordo
dell’autovettura Clio, mentre Di Matteo e La Barbera avevano utilizzato la Jeep Patrol.
I bidoni, circa otto giorni prima della strage, erano stati collocati in una casetta custodita da due
persone che non conosceva.
Di Matteo riconosceva, successivamente, in fotografia una delle persone anzidette, nell’effigie
riproducente Antonino Troia, uomo d’onore della famiglia di Capaci.
Riferiva ancora, di aver appreso da Gioé, che la sera del giorno successivo al trasporto,
quest’ultimo, unitamente a Brusca, Bagarella, La Barbera e tale Pietro avevano travasato la
polvere in sacchettini di plastica; che nello stesso giorno i sacchetti e i detonatori erano stati
portati sul posto della strage e sistemati, a tarda notte, all’interno di un condotto per il deflusso
delle acque piovane passante sotto l’autostrada; che dopo il caricamento, nel corso della stessa
giornata, erano state effettuate due o tre prove sul tratto autostradale.
In proposito, Di Matteo, riferiva che su incarico di Brusca, a bordo della sua autovettura Lancia
Delta integrale, era transitato ad una velocità di circa 160-170 chilometri orari, dal punto
prescelto per l’attentato; che La Barbera si era posizionato vicino al guard-rail, dove era stata
collocata una lampadina che doveva servire a verificare il funzionamento dell’impulso radio
I collaboranti 2
trasmesso dal telecomando; che Gioé e Brusca si erano posizionati sulla montagna da dove
azionavano il telecomando.
Pietro Rampulla aveva preparato il congegno per fare esplodere la carica ed aveva svolto la
funzione di artificiere, avendo, per come riferitogli da Brusca e Gioé, una particolare competenza
nel settore degli esplosivi. Tant’è che a dire di Brusca il Rampulla era addirittura “un’arca di
scienza”.
Il Di Matteo aveva appreso da Gioé, dopo il maggio 1992, che Salvatore Riina aveva incaricato
Salvatore Cancemi, capomandamento di Palermo-Centro e capo della famiglia di Porta Nuova, e
Raffaele Ganci di effettuare delle ricognizioni per individuare il tratto di autostrada più idoneo a
garantire la buona riuscita dell’attentato; che dopo l’individuazione di tale sito, Giovanni Brusca
si era messo in contatto con Antonino Troia, che aveva offerto il necessario supporto logistico.
Il collaborante riferiva, sempre per averlo appreso da Gioé, che gli esecutori materiali della strage
erano stati ospitati da un uomo di fiducia del Troia in una abitazione, ubicata in Capaci, in
prossimità del casolare, ove era stato trasportato l’esplosivo, e dove i membri del commando nei
giorni successivi al caricamento del condotto avevano atteso l’arrivo del corteo di vetture con a
bordo il dr Falcone.
Secondo Di Matteo avevano partecipato al delitto anche Biondino e Biondo. In particolare,
raccontava, il dichiarante, per averlo appreso da Gioé, che Biondino aveva effettuato dei
sopralluoghi sul posto prescelto per l’attentato accompagnato da Biondo che ne era l’autista.
Quanto alle modalità esecutive dell’attentato, il collaborante narrava che la Barbera aveva
l’incarico di attendere, fuori dall’aeroporto di Punta Raisi, l’arrivo del dr Falcone e delle persone
al suo seguito, e di comunicare mediante un telefono cellulare, a Gioé e a Brusca, che erano
posizionati sul luogo della strage, il momento in cui il corteo avrebbe lasciato l’aeroporto; che
Calogero Ganci, avendo una macelleria nei pressi dell’abitazione dei coniugi Falcone, aveva
avvertito telefonicamente La Barbera o Gioé del momento in cui l’autista si era allontanato dalla
suddetta abitazione con l’auto blindata per recarsi all’aeroporto di Punta Raisi a prelevare il
magistrato; che Calogero Ganci aveva pedinato l’autovettura per accertarsi che si dirigesse
proprio a Punta Raisi; che, infine, Brusca, al passaggio del corteo, aveva azionato il telecomando
facendo deflagrare l’esplosivo.
Le dichiarazioni rese da Di Matteo erano ritenute disinteressate, logiche ed attendibili in quanto
ampiamente riscontrate ab extrinseco dai dati di prova generica acquisti dagli inquirenti, nonché
dalle convergenti chiamate di correo provenienti da Cancemi e La Barbera che non potevano di
certo svalutarsi a cagione di marginali discrasie nella ricostruzione dei fatti, offerta dai tre
collaboranti, essendo il frutto della diversità di ruoli e di funzioni ricoperte nell’organizzazione e
nell’esecuzione del delitto di strage per cui è procedimento e, comunque, afferendo ad elementi di
fatto del tutto secondari.
*
LE DICHIARAZIONI DI SALVATORE CANCEMI
Costituitosi nell’estate del 1993 presso una Caserma dei Carabinieri, Salvatore Cancemi iniziava
una fattiva collaborazione con la giustizia, a partire dal 1° novembre successivo, autoaccusandosi
e narrando quanto a sua conoscenza in ordine ai moventi, all’organizzazione e all’esecuzione del
delitto per cui è processo.
La collaborazione del Cancemi, oltre che rivelarsi di particolare importanza, atteso il suo ruolo di
spicco rivestito all’interno di Cosa Nostra, quale reggente del mandamento di Porta Nuova e di
membro della Commissione provinciale in sostituzione di Pippo Calò, per come già osservato,
era caratterizzata da un lento processo di maturazione del relativo proposito e da una progressiva
esternazione di quanto a sua conoscenza.
Tuttavia il Cancemi, scegliendo di costituirsi e di iniziare a collaborare con la giustizia e
confessando il suo personale coinvolgimento nella strage di Capaci, aveva chiamato in correità
Raffaele Ganci ed i figli Calogero e Domenico, Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Salvatore
I collaboranti 3
Biondino, Salvatore Riina, nonché Pietro Rampulla, Giusto Sciarabba, Salvatore Sbeglia e
Giovanbattista Ferrante.
In particolare, il collaborante, con specifico riferimento alla fase preparatoria dell’attentato,
riferiva che, circa venti giorni prima della strage, mentre si trovava nel cantiere di piazza Principe
di Camporeale, era stato raggiunto Salvatore Biondino il quale lo aveva informato delle modalità
con cui Salvatore Riina aveva deciso di uccidere il giudice Falcone; modalità esecutive che il
Biondino si stava accingendo a rendere note anche a tutti gli altri capimandamento, che
segnatamente, indicava in Carlo Greco, i Graviano, Pietro Aglieri, Giovanni Brusca e
Michelangelo La Barbera.
Il Cancemi precisava, inoltre, di essersi recato, unitamente a Raffaele Ganci, in tre occasioni, in
epoca prossima alla strage, presso una villa situata alla periferia di Capaci che era nella
disponibilità di tale “Zu Giovanni”, che successivamente riconosceva fotograficamente nella
persona di Giovanni Battaglia.
In particolare, riferiva che, nello stesso giorno, si era recato in due occasioni presso l’abitazione
anzidetta, giacché la prima volta non avevano trovato nessuno, e che, solo nella seconda
occasione aveva avuto modo di incontrare “Zu Giovanni”. In quest’ultima circostanza, poco dopo
il loro arrivo, erano sopraggiunti Giovanni Brusca, Salvatore Biondino, Giovan Battista Ferrante,
unitamente ad un’altra persona che non conosceva. Dopo tre o quattro giorni, Ganci lo aveva
riportato presso la suddetta villetta ove si trovavano Bagarella, Brusca, Biondino, Ferrante e
anche due persone presenti e che non aveva mai visto, ma che riconosceva fotograficamente in
Pietro Rampulla e in Antonino Troia.
Nell’occorso Bagarella, Brusca, Biondino e Ganci si erano appartati per discutere a bassa voce.
Durante quest’ultimo incontro aveva notato, in un angolo fuori dalla villetta, addossati al muro, 6
o 7 bidoni bianchi di plastica della capacità di 20-25 litri ciascuno che, a dire del Ganci,
contenevano l’esplosivo in polvere da usare per l’attentato. Inoltre, aveva appreso da Brusca che
lo stesso aveva scelto quale artificiere Pietro Rampulla.
Precisava che per controllare gli spostamenti del dr Falcone a Roma, era stato incaricato tale
Giusto Sciarrabba, abitante a Roma e uomo d’onore della famiglia della Noce, alla quale
appartenevano i Ganci, per come aveva appreso mentre si trovava nella macelleria di Raffaele
Ganci, denominata “Amici a Tavola”, gestita da Mimmo Ganci. In particolare, mentre si trovava
all’interno dell’esercizio commerciale, aveva assistito ad una telefonata in tal senso tra Raffale
Ganci e lo Sciarrabba.
Aveva appreso da Raffaele Ganci che l’esplosivo era stato procurato da Bagarella, che
unitamente a Ferrante e a Brusca lo aveva collocato nel condotto sottostante l’autostrada, mentre
il telecomando era stato fornito da Salvatore Sbeglia.
Successivamente, Cancemi precisava che Salvatore Biondino aveva ricevuto l’incarico, da parte
di Salvatore Riina, di sovrintendere a tutta la fase esecutiva della strage, ivi compresa, la scelta
del luogo più idoneo ad effettuarla.
Quanto all’attività esecutiva, il collaborante riferiva di aver appreso, sempre da Raffaele Ganci,
che avevano avuto un ruolo, oltre al citato Ganci, Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Giovan
Battista Ferrante, Salvatore Biondino, Domenico e Calogero Ganci, Antonino Gioé, una persona
magra, e in via approssimativa Antonino Troia. Domenico e Calogero Ganci avevano assunto il
compito di segnalare, usando un telefono cellulare, la partenza dell’autovettura blindata del dr
Falcone alla volta dell’aeroporto di Punta Raisi; Giovan Battista Ferrante doveva segnalare
l’arrivo del magistrato all’aeroporto; Giovanni Brusca gli aveva confermato di aver azionato il
telecomando che aveva fatto detonare la carica esplosiva, mentre si trovava assieme a Salvatore
Biondino.
Riferiva ancora il Cancemi di aver preso parte, un mese dopo la strage, ad una riunione
organizzata da Salvatore Riina, presso l’abitazione di tale Guddo, sita in Palermo in Via Margi
Faraci. A tale incontro, dove si era brindato con bottiglie di champagne per festeggiare la buona
I collaboranti 4
riuscita dell’attentato, avevano partecipato all’incontro, oltre a lui e a Riina, anche Raffaele
Ganci, Giovanni Brusca, Angelo La Barbera, Leoluca Bagarella, Salvatore Biondino.
Le dichiarazioni del Cancemi erano ritenute intrinsecamente attendibili ed estrinsecamente
riscontrate alla luce degli elementi di prova generica acquisiti e delle convergenti propalazioni
degli altri collaboranti (tra cui Di Matteo e La Barbera), essendo le incongruenze rilevate
inidonee a inficiarne l’attendibilità, che non risentiva alcun ulteriore vulnus dal cauto
atteggiamento collaborativo del propalante, per come evidenziato dai primi giudici che avevano
adeguatamente apprezzare il contributo fornito da detta fonte rappresentativa.
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LE DICHIARAZIONI DI GIOACCHINO LA BARBERA
Nel novembre 1993, assumeva atteggiamento di collaborazione con la giustizia Gioacchino La
Barbera, che era stato indicato da Baldassare Di Maggio e da Giuseppe Marchese come uomo
d’onore della famiglia di Altofonte.
La Barbera era stato arrestato nel marzo 1993, quando la sua responsabilità in ordine alla strage,
era emersa anche da intercettazioni ambientali eseguite da appartenenti alla DIA, in un
appartamento, sito in Palermo, Via Ughetti n° 17, dove l’imputato e Antonino Gioé vivevano in
stato di sostanziale clandestinità, pur se ancora non raggiunti da alcun provvedimento giudiziario.
L’apporto probatorio di La Barbera, convalidando le precedenti dichiarazioni rese da Di Matteo e
Cancemi agli inquirenti, permetteva di ricostruire con precisione le fasi preparatorie ed esecutive
dell’attentato, giacché egli stesso aveva partecipato a quasi tutte le operazioni.
In particolare, il collaborante riferiva quanto a sua conoscenza in merito al trasporto ed al travaso
dell’esplosivo a Capaci; all’assemblaggio, nella prima decade di maggio, da parte dell’artificiere
Pietro Rampulla del congegno radio che aveva provocato l’esplosione; alla scelta dei siti più
idonei per la collocazione della carica esplosiva e per l’azionamento del telecomando; alle prove
di velocità per sincronizzare il meccanismo di attivazione della carica; alle modalità di
caricamento delle porzioni di esplosivo nel condotto, sottostante il tratto autostradale; ai soggetti
incaricate di provocare l’esplosione; al ruoli ricoperti da ciascun indagato; all’individuazione dei
soggetti componenti il commando operativo il giorno della strage, indicandone i compiti.
Con riferimento all’attività preparatoria, il collaborante riferiva di una prima fase svoltasi presso
l’abitazione di campagna del Di Matteo, consistente in riunioni, tenutesi nella prima decade di
maggio a cui avevano partecipato, oltre a lui, Gioé, Di Matteo, non sempre presente, Brusca, e
Rampulla. Tali incontri, erano finalizzati alla predisposizione del telecomando, delle riceventi e
dei detonatori. Il ruolo di artificiere era stato svolto da Pietro Rampulla, mentre gli altri avevano
svolto un’attività di supporto. Il collaborante aveva provveduto all’acquisto delle batterie, che
occorrevano per attivare le riceventi, nonché di un grosso numero di vecchie lampadine per il
flash.
Nel corso di una mattinata, collocabile dopo il 10 maggio, l’esplosivo era stato trasportato
dall’abitazione del Di Matteo, sita in Via Del Fante, alla villa di Nino Troia a Capaci. A tale
incombente avevano provveduto lo stesso La Barbera, Brusca, Gioé, Rampulla e Di Matteo.
L’esplosivo era contenuto in due o tre bidoni di plastica da 50 kg cadauno. Contestualmente,
avevano provveduto a portare, nella villa anzidetta, anche una borsa contenente i detonatori e i
congegni elettronici. All’interno dell’abitazione vi erano, oltre ai soggetti sopra citati, Raffaele
Ganci, Salvatore Biondino, Nino Troia, Giovanni Battaglia, uno dei due figli di Ganci, che
riconosceva fotograficamente in Domenico Ganci, Salvatore Cancemi, certo Salvatore che,
successivamente, riconosceva fotograficamente in Salvatore Biondo, Giovan Battista Ferrante.
L’esplosivo trasportato veniva travasato in dodici o tredici bidoncini, unitamente all’esplosivo
che già si trovava in quell’abitazione.
Nino Troia e Giovanni Battaglia venivano incaricati di custodire il materiale esplodente, i
congegni elettronici e i detonatori.
I collaboranti 5
Il giorno seguente, si provvedeva a svolgere tutta l’attività concernente la scelta del luogo più
idoneo per la collocazione di chi doveva attivare il telecomando e del posto ove collocare
l’esplosivo che veniva individuato da Biondino e da Brusca.
Inoltre, venivano effettuate delle prove dirette a simulare l’esplosione al momento del passaggio
del corteo. In particolare, Di Matteo passava, a bordo della sua autovettura Lancia Delta
Integrale, dal luogo prescelto e, nell’istante in cui ciò avveniva, si azionava il telecomando
collegato con una lampadina-flash, per verificare i tempi e i modi di azionamento del
telecomando con cui si lanciava il radiosegnale.
Ed ancora, durante una serata, a ridosso di un venerdì, Gioé, Brusca, Rampulla, Battaglia,
Biondo, Bagarella e lui stesso avevano provveduto al caricamento del condotto con l’esplosivo.
Per tali attività, erano stati utilizzati una torcia elettrica, dei guanti da chirurgo, uno skate-board e
del mastice a ventosa. Dopo il caricamento, avevano provveduto a coprire l’imboccatura del
condotto con delle frasche e un materasso.
Il giorno seguente al caricamento, si era tenuta, presso il casolare, posto nella disponibilità di
Troia e Battaglia, una riunione operativa per puntualizzare i compiti affidati a ciascuno. Alla
stessa avevano partecipato, oltre al collaborante, Brusca, Rampulla, Gioé, Ferrante, Biondino,
Salvatore identificato in Salvatore Biondo, Battaglia, Troia, Raffaele Ganci e uno dei suoi figli
individuato poi per Domenico Ganci e Cancemi.
In particolare, i Ganci e Cancemi dovevano segnalare la partenza dell’autovettura del magistrato
dal garage a La Barbera, solo se il predetto veicolo avesse imboccato l’autostrada per Punta Raisi,
utilizzando un telefono pubblico. Fino al giorno dell’attentato La Barbera, Biondino, Ferrante,
Salvatore (Biondo), Battaglia, Troia, Brusca. Rampulla e Gioé rimanevano nella zona operativa.
Ed ancora, con riferimento all’attività successiva all’esplosione, La Barbera riferiva di essersi
recato a Palermo in un appartamento, sito in Via Ignazio Gioé, dove aveva concordato di
incontrarsi con Gioé e Brusca. Quivi giunto, non trovando le vetture dei complici, contattava
telefonicamente Gioé che gli rappresentava, in maniera ermetica, l’opportunità di incontrarsi nel
piazzale antistante la casa di cura Villa Serena, all’interno del cancello. Dopo una breve sosta
tutti e tre si recavano ad Altofonte, a casa di Gioé, dove Brusca sottolineava che il corteo aveva
proceduto contrariamente alle previsioni, alla velocità di 80-90 Km/h circa. Inoltre, nel corso
della discussione, si faceva riferimento ad una dose di fortuna giacché la bassa velocità aveva
determinato l’azionamento del telecomando in anticipo.
Gioé e Brusca si erano allontanati dal luogo della strage, in direzione di Palermo, dapprima,
percorrendo la strada in direzione di Palermo, sino allo svincolo di Capaci, e, successivamente,
immettendosi sull’autostrada. Il collaborante aveva intuito che Gioé e Brusca si erano fermati,
prima di giungere all’appuntamento a Villa Serena, a casa di qualcuno dove avevano seguito le
notizie sulla strage diffuse dagli organi d’informazione.
Le dichiarazioni del La Barbera, per come già osservato, trovavano ampi riscontri nei dati di
prova generica e nelle convergenti dichiarazioni dei collaboranti Di Matteo e Cancemi, non
inficiate dalle marginali discrasie ed incongruenze che avevano riguardato aspetti secondari della
vicenda di cui ognuno di essi possedeva autonome ed originali cognizioni.

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