Una nuova ricerca rivela l’esistenza del ramo Ahramat, un antico corso del Nilo che facilitò il trasporto dei blocchi di pietra
Un recente studio scientifico ha finalmente svelato un antico enigma riguardante la costruzione delle piramidi egizie: come facevano gli antichi Egizi a trasportare i massi giganteschi necessari per erigere questi monumenti nel cuore del deserto? La risposta risiede nella scoperta di un ramo perduto del Nilo, chiamato Ahramat, che ha rappresentato un’importante via d’acqua per il trasporto di materiali e manodopera.
Le piramidi, simbolo di potere e spiritualità, si rivelano così anche capolavori di ingegneria e di logistica, il cui successo è stato possibile grazie a una rete di vie d’acqua e a una sapiente organizzazione del lavoro. Le nuove tecnologie di indagine geologica e satellitare continuano a gettare luce sui misteri di questa antica civiltà, mantenendo viva l’attenzione degli studiosi e degli appassionati di tutto il mondo.
La scoperta del ramo Ahramat: un’antica via fluviale dimenticata
Secondo la ricerca pubblicata sulla rivista Communications Earth and Environment, condotta da un team internazionale guidato dalla University of North Carolina Wilmington, tra la zona di Giza e il villaggio di Lisht scorreva un tempo un ramo ormai scomparso del fiume Nilo. Questo canale, denominato Ahramat – termine arabo che significa “piramide” – era lungo circa 64 chilometri e si trovava a pochi chilometri a ovest dell’attuale corso del Nilo.

Il segreto sulla costruzione delle piramidi – (misteriditalia.it)
Gli studiosi hanno ricostruito questa antica via fluviale attraverso l’analisi combinata di dati geologici, immagini satellitari e campionamenti di sedimenti che hanno rilevato uno strato di ghiaia e sabbia tipico dei letti fluviali. Questa scoperta conferma l’ipotesi che gli Egizi sfruttassero vie d’acqua per spostare non solo gli operai ma anche gli enormi blocchi di pietra destinati alla costruzione delle piramidi.
Il ramo Ahramat scorreva vicino a un complesso di oltre 30 edifici, tra cui le celebri piramidi di Giza, Chefren e Micerino, costruite tra il 2686 e il 1649 a.C., nell’area dell’antica capitale Menfi. La presenza di questo corso d’acqua spiega perché le piramidi fossero allineate lungo una sorta di catena che seguiva il percorso naturale del canale, creando una sorta di “passerella cerimoniale rialzata” con porti fluviali per lo scarico dei materiali.
Questi templi a valle, spesso ancora sepolti sotto sabbia e campi agricoli, fungevano da punti d’accesso e da snodi di collegamento tra le diverse strutture monumentali. Alcuni di essi, come quelli associati alle piramidi romboidale, di Khafra e Menkaura, sono parzialmente conservati e testimoniano l’importanza strategica di questa rete fluviale nel favorire la mobilità e la logistica dell’intera area.
L’ipotesi del ramo Ahramat si integra con le teorie più accreditate sulle tecniche di costruzione delle piramidi egizie, che prevedono il trasporto dei blocchi di pietra tramite slitte lubrificate e l’uso di rampe per il sollevamento. Documenti archeologici e rilievi storici indicano che i blocchi – spesso di calcare locale, granito di Assuan o pietra di Tura – venivano estratti, trasportati e posizionati con grande maestria.
Gli scienziati stimano che per muovere statue e massi di decine di tonnellate fossero impiegati decine di operai specializzati, non schiavi come erroneamente sostenuto in passato, ma lavoratori retribuiti o inquadrati in un sistema di tributi. Scavi condotti negli anni Novanta da archeologi come Zahi Hawass e Mark Lehner hanno portato alla luce vere e proprie comunità di operai, con necropoli dedicate, confermando il carattere organizzato del lavoro.
Nuovo studio sulle piramidi - (misteriditalia.it)












