Tra disinformazione e dubbi, i vaccini restano uno strumento essenziale di prevenzione: ecco cosa dicono la scienza, la storia e i dati su efficacia, composizione, episodi storici e reali effetti collaterali.
I vaccini restano un tema divisivo, spesso trattato in modo emotivo e conflittuale. Eppure, tra le polemiche che attraversano la sfera pubblica, si rischia di dimenticare come agiscono davvero i vaccini, perché funzionano e quali sono le basi scientifiche, storiche e statistiche che li rendono fondamentali nella medicina moderna. Non si tratta solo di difendersi dalle malattie infettive, ma di proteggere comunità intere, anche attraverso comportamenti individuali.
Funzionamento, composizione e origini storiche
Il principio di base dei vaccini è semplice: il sistema immunitario, una volta esposto a un agente patogeno anche in forma attenuata o frammentata, ne conserva memoria, così da rispondere rapidamente a un eventuale contagio reale. Il primo a dimostrarlo fu Edward Jenner, medico inglese vissuto tra il Settecento e l’Ottocento, che osservò un fenomeno ricorrente tra le mungitrici: chi contraeva il vaiolo bovino non si ammalava della versione umana. Nel 1796, Jenner inoculò il materiale prelevato da una pustola bovina su un bambino e, due mesi dopo, gli somministrò il virus umano: il piccolo non si ammalò. Era nata la vaccinazione.

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I vaccini oggi si dividono in tre categorie. Alcuni utilizzano virus vivi attenuati, come quelli contro morbillo, varicella, parotite e rosolia: l’agente patogeno è ancora presente ma non più capace di replicarsi in modo aggressivo. Altri si basano su virus inattivati, cioè uccisi: succede per poliomielite, epatite A o alcuni tipi d’influenza. Un terzo gruppo si limita a includere componenti dell’agente infettivo, come avviene per i vaccini contro papillomavirus, tetano o meningococco. Anche piccole porzioni sono sufficienti per attivare una risposta immunitaria efficace.
In tempi ancora più antichi, già nella Cina dell’anno Mille si sperimentava una forma rudimentale di vaccinazione: inalare polvere essiccata di croste di vaiolo era una pratica diffusa per immunizzare i bambini. Tecniche empiriche ma già orientate allo stesso scopo.
Obblighi, successi, effetti collaterali e falsi miti
In Italia, la prima vaccinazione obbligatoria fu quella contro il vaiolo nel 1888, seguita da quella contro la difterite nel 1939. Il vaiolo è l’unica malattia eradicata dall’uomo, grazie a campagne vaccinali globali. L’ultimo caso noto fu registrato nel 1977 in Somalia, in un cuoco di nome Ali Maow Maalin, sopravvissuto e in seguito attivista. Due anni prima, in Bangladesh, la piccola Rahima Banu, anche lei guarita, fu l’ultima a contrarre la forma grave. La fotografa Janet Parker morì nel 1978 dopo un’esposizione accidentale in laboratorio: fu l’ultima vittima. Oggi, il virus del vaiolo è custodito solo in due laboratori ad altissimo contenimento, negli Stati Uniti e in Russia.
Tra i casi che hanno compromesso la fiducia pubblica, c’è quello del medico Andrew Wakefield, che nel 1998 pubblicò su The Lancet uno studio che collegava il vaccino trivalente (morbillo, parotite, rosolia) all’autismo. Anni dopo si scoprì che Wakefield aveva ricevuto compensi da avvocati coinvolti in cause contro le case farmaceutiche. L’articolo fu ritirato, Wakefield radiato. Ma il danno era fatto: la copertura nel Regno Unito scese all’80% e i casi di morbillo aumentarono di 25 volte. Anche in Italia si registrò un ritardo: una bambina di quattro anni, non vaccinata, morì nel 2014.
Per quanto riguarda la composizione dei vaccini, non contengono mercurio. Fino agli anni ’90 veniva usato un conservante chiamato tiomersale, derivato dell’etilmercurio, che però non ha gli stessi effetti tossici del metilmercurio. Anche quel composto è stato eliminato, per precauzione e trasparenza.
I veri effetti collaterali sono rari ma documentati. Per il vaccino trivalente, si segnalano encefaliti o reazioni allergiche gravi in un caso su un milione. Per l’esavalente, possono verificarsi convulsioni febbrili (1-2 su 10.000) e reazioni allergiche severe (1 su un milione). Gli effetti lievi — febbre, arrossamento, stanchezza — sono transitori. I rischi legati alla malattia naturale restano di gran lunga superiori.
Un altro concetto chiave è l’immunità di gregge. Se una percentuale molto alta della popolazione è vaccinata, anche chi non può esserlo viene indirettamente protetto, perché il virus non riesce a circolare. Per il morbillo, la soglia protettiva è del 95%. In questo modo si tutelano anche i bambini troppo piccoli o chi ha patologie che impediscono la vaccinazione.
Per chi viaggia, in particolare verso Paesi con presenza endemica di malattie infettive, è necessario vaccinarsi per tempo. Alcuni Stati richiedono certificati obbligatori all’ingresso, ad esempio contro febbre gialla o meningite meningococcica. In alcuni casi è possibile ricorrere a vaccinazioni accelerate, ma non sempre sono sufficienti per ottenere l’immunità completa.
Infine, un aspetto importante riguarda le donne in gravidanza. Vaccinarsi contro l’influenza nel secondo o terzo trimestre protegge anche il nascituro: grazie alla trasmissione di anticorpi attraverso la placenta, il neonato ha meno probabilità di ammalarsi nei primi mesi di vita, periodo in cui è più vulnerabile.
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