Cultura

Le profezie di San Malachia e i Papi italiani: quanto c’è di vero? Di sicuro l’ultimo non è stato Francesco

Cappello PapaLa profezia di Malachia (misteriditalia.it)

Da secoli circola una lista misteriosa di motti latini che annuncerebbero tutti i papi fino alla fine del mondo. Attribuita a un vescovo irlandese del XII secolo, la profezia di San Malachia continua a inquietare la Chiesa e a incuriosire i fedeli. Ma è un miracolo o un inganno ben costruito?

Il mistero nasce a Roma, quasi mille anni fa

L’anno è il 1139, il vescovo Malachia d’Armagh, uomo di fede e di visioni, viaggia dall’Irlanda a Roma per incontrare Papa Innocenzo II.

Secondo le cronache, durante la visita avrebbe avuto una rivelazione mistica: una visione che mostrava tutti i futuri pontefici della Chiesa di Roma, fino all’ultimo, “il Papa del giudizio finale”.

Tornato in patria, Malachia avrebbe scritto una lista di 112 motti in latino, ciascuno dedicato a un futuro Papa, descrivendone simbolicamente il carattere, l’origine o il destino.
Il documento, però, non venne mai pubblicato — e sparì per oltre quattro secoli. Riapparve misteriosamente nel 1595, nelle mani di un monaco benedettino, Arnoldo de Wion, che lo inserì nel suo libro Lignum Vitae.

Da allora, la “Profezia dei Papi” ha attraversato secoli di storia, riemergendo ogni volta che un Pontefice muore.

112 Papi, un destino già scritto

La profezia attribuita a San Malachia elenca 112 motti, a partire da Celestino II (eletto nel 1143) fino a un ultimo pontefice chiamato “Petrus Romanus”, Pietro il Romano.
Secondo il testo, dopo di lui, “la città dei sette colli sarà distrutta e il giudice tremendo giudicherà il popolo.”

Una frase che per molti indica la fine dei tempi.

In quasi nove secoli, ogni nuovo Papa è stato associato a uno di quei motti, spesso con interpretazioni sorprendenti per la loro precisione. Coincidenze? O segni reali di una visione divina?

I motti che sembrano incredibilmente esatti

Molti studiosi, anche laici, ammettono che alcune corrispondenze sono inquietanti.

  • Giovanni Paolo I (1978): il motto era De medietate lunae (“della metà della luna”).
    Fu eletto e morì nello stesso mese lunare, esattamente 33 giorni dopo.

  • Giovanni Paolo II (1978–2005): De labore solis (“del lavoro del sole”).
    Nato durante un’eclissi di sole e morto durante un’eclissi parziale: impossibile non notarlo.

  • Benedetto XVI (2005–2013): Gloria olivae (“la gloria dell’olivo”).
    Il suo ordine, quello benedettino, era noto come “l’ordine degli olivetani”.

  • Francesco (dal 2013): non ha un motto esplicito, ma sarebbe l’ultimo prima di Petrus Romanus, il papa del giudizio.

Molti fedeli leggono in questo una coincidenza troppo perfetta per essere frutto del caso. Eppure, la Chiesa non ha mai riconosciuto ufficialmente la profezia.

Una profezia troppo precisa per essere autentica?

Secondo alcuni storici, il documento apparso nel 1595 sarebbe un falso ben congegnato. L’obiettivo: influenzare il conclave dell’epoca a favore di un candidato specifico, il cardinale Girolamo Simoncelli.

Il sospetto è che Arnoldo de Wion e altri ambienti ecclesiastici abbiano “inventato” le prime parti della profezia — quelle fino al 1500 — in modo così accurato da renderle credibili, lasciando poi più vaghe le parti successive. Una sorta di manipolazione teologica, perfetta per dare un’aura di mistero e legittimare certe scelte papali.

Ma anche questa teoria, curiosamente, non spiega tutto. Perché, se davvero si trattava di un falso, come si spiegano le corrispondenze dei secoli successivi, fino ai papi contemporanei?

I Papi italiani e i segni del destino

Nel corso dei secoli, molti papi italiani sembrano calzare con precisione nei motti profetici:

  • Pio IX (1846–1878), Crux de cruce (“croce dalla croce”): il papa che vide Roma perdere il potere temporale e subì la croce della rivoluzione.

  • Pio XII (1939–1958), Pastor angelicus (“pastore angelico”): amato come un santo, ma discusso per il suo silenzio sulla Shoah.

  • Giovanni XXIII (1958–1963), Pastor et nauta (“pastore e marinaio”): nato a Sotto il Monte, patriarca di Venezia, la città dei marinai.

  • Paolo VI (1963–1978), Flos florum (“fiore dei fiori”): il suo stemma araldico conteneva proprio tre gigli, simbolo del fiore.

Coincidenze o destino?
Per i credenti, un segno del disegno divino. Per gli scettici, un gioco di interpretazioni a posteriori, dove ogni motto può essere adattato.

Francesco e l’enigma dell’ultimo Papa

Secondo la lista, dopo “la gloria dell’olivo” di Benedetto XVI, viene Petrus Romanus. Molti si sono chiesti se Papa Francesco sia davvero quell’ultimo pontefice.

Papa Francesco

Papa Francesco Mario Bergoglio (misteriditalia.it)

Il suo nome di battesimo è Jorge Mario Bergoglio, ma il suo ordine, quello dei gesuiti, è noto per l’obbedienza assoluta al “Papa di Roma”. E la sua scelta del nome “Francesco”, legato al Santo di Assisi — patrono d’Italia — sembra un ritorno simbolico alle origini del cristianesimo.

C’è chi vedeva in lui l’uomo chiamato a guidare la Chiesa verso una nuova fine o una nuova rinascita.
Le tensioni interne al Vaticano, i contrasti dottrinali, le dimissioni di Benedetto XVI: tutto sembra parte di una trama più grande, come se la profezia stesse completando il suo corso.

Ovviamente l’arrivo del nuovo Papa Leone, dopo la morte di Francesco, scombina la profezia. 

Il Vaticano e il silenzio

La Chiesa, ufficialmente, non riconosce la profezia di San Malachia. La considera apocrifa, “un testo di origine incerta, privo di fondamento teologico”. Eppure, in privato, molti prelati la conoscono e la temono.

Durante alcuni conclavi, si racconta che i cardinali si siano scambiati battute nervose sul “motto successivo”. E persino Giovanni Paolo II, interrogato sull’argomento, avrebbe risposto: “La profezia serve a ricordarci che ogni uomo, anche il Papa, è mortale.” Un modo elegante per dire: “Meglio non parlarne”.

Quando la fede incontra la paura

Forse la vera forza della profezia di San Malachia non è nella sua veridicità, ma nel suo potere simbolico. Ogni volta che un Papa muore, milioni di persone cercano nei motti un segno, un indizio, una conferma che la storia segue un piano.

È il bisogno umano di dare un ordine al mistero, di credere che anche il caos della fede obbedisca a una logica superiore. E se, in fondo, fosse proprio questo il messaggio di Malachia? Non annunciare la fine del mondo, ma ricordare che ogni era — persino quella della Chiesa — deve avere un inizio e una fine.

Da quasi nove secoli, le parole di un vescovo irlandese attraversano il tempo e il silenzio del Vaticano. Che siano autentiche o no, continuano a influenzare chi crede e chi indaga. Perché, in fondo, il mistero delle profezie non sta nel sapere se sono vere, ma nel capire perché vogliamo così tanto che lo siano.

E mentre la Chiesa guarda al futuro tra crisi, scandali e speranze, una domanda rimane sospesa: se davvero San Malachia aveva ragione, chi sarà il Papa che vedrà l’ultimo tramonto di Roma?

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