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UCCISIONE DI GABRIELE SANDRI:
I BUM, BUM, BUM DEL POLIZIOTTO RAMBO 

La versione della polizia sull’omicidio di Raffaele Sandri - ucciso alle 9.10 di domenica 11 novembre 2007 - vergognosamente arrivata dopo ore di bugie, aggiustamenti idioti e scenari incredibili alla fine si è prima faticosamente attestata sull'"errore" del poliziotto che "presumeva si trattasse di una rapina, correva, forse è inciampato, e gli è, accidentalmente, partito un colpo", poi - di fronte a testimonianze schiaccianti - piano, piano la verità sul reale comportamento del "poliziotto maldestro" (dichiarazione alla stampa del capo della polizia Antonio Manganelli), sta venendo fuori.
Ma è davvero tutta la verità?

Cominciamo dal principio.

La presunzione e la corsa
Fermo restando che, prima di impugnare le armi un poliziotto, qualsiasi poliziotto, anche il più mentalmente ritardato, non deve "presumere", ma essere certo di quello che sta facendo, ci domandiamo: perché l'agente scelto della polizia stradale Luigi Spaccarotella correva? Dal momento che si trovava nell'area di servizio opposta a quella dove seduto in auto, probabilmente addormentato (secondo le testimonianze dei suoi compagni di viaggio) si trovava Gabriele Sandri, dove stava correndo? Intendeva forse scavalcare la recinzione metallica e attraversare di corsa sei corsie dell'autostrada, schivando auto che viaggiavano a (minimo) 130 chilometri orari? E comunque lo Spaccarotella non sapeva che le regole di ingaggio della polizia stabiliscono che, correndo, l'agente deve rinfoderare la pistola, anche per la sua stessa incolumità?

La non corsa
In realtà Spaccarotella non correva affatto. Stando alla testimonianza di un commerciante romano, l'agente Rambo per sparare è salito su un sollevamento del terreno, forse un terrapieno, oppure il cordolo la cui foto pubblichiamo qui sotto che alla base mostra il bossolo espulso dalla sua pistola.

rilievi
La freccia indica l’unico bossolo
dei due proiettili esplosi dalla pistola
dell’agente Luigi Spaccarotella

Dal terrapieno o da quel cordolo che lo sollevava un po’ dal terreno, Spaccarotella ha preso la mira e ha sparato a braccia tese e unite, impugnando la pistola con entrambe le mani. Rambo, appunto.
Ma mettiamo pure il caso che Spaccarotella/Rambo pensasse ad una rapina, il modo migliore per sventare una rapina in autostrada è quello di inviare, via telefono, una segnalazione alle altre autopattuglie che si muovono nella direzione di corsa dei presunti banditi, allertando al tempo stesso i caselli di uscita. Difficile fare una rapina in autostrada e poi riuscire a fuggire.
E ancora: da quando in qua, dal momento che il poliziotto acrobata "presumeva" si trattasse di un rapina, è stata istituita la pena di morte per i rapinatori? Le forze di polizia hanno il diritto di usare le armi solo per difendere la propria incolumità e quella pubblica e poi, indirettamente (e solo come deterrente), per evitare che si commetta un reato. Se un poliziotto potesse direttamente uccidere chiunque commetta un reato vivremmo nel Far West di due secoli fa.

Piccoli trucchi crescono
Ci sono poi i trucchetti infantili. Come quella ridicola giustificazione - usata sulle prime e poi fortunatamente abortita - che la polizia ha sempre utilizzato: la corsa scoordinata, la caduta, l'inciampo improvviso. In uno dei suoi spettacoli, Dario Fo faceva notare quanto fosse precisa la mira di un poliziotto (o di un carabiniere) quando corre e inciampa. Sembra quasi che ai poligoni di tiro li addestrino a sparare facendogli lo sgambetto.
Ma c'è un particolare in più: Luigi Spaccarotella ha sparato due colpi e non in successione, ma a distanza di tempo l'uno dall'altro. Cosa ha fatto il povero Spaccarotella? Aveva le scarpe slacciate perché nessuno gli ha ancora insegnato a fare il nodo ed è inciampato due volte.

Scena lampante
Invece, nonostante queste ridicole versioni fornite dai suoi superiori la scena è ora lampante: distante minimo un'ottantina di metri dal luogo dove il giovane tifoso è stato assassinato, il poliziotto Luigi Spaccarotella vede un parapiglia, forse, nonostante il rumore del traffico, riesce ad intuire delle urla e allora, tronfio del suo essere armato ed educato alla violenza anche fine a se stessa, spara. Ma attenzione. Primo: Spaccarotella non spara subito, ma addirittura 4/5 minuti dopo che tutto è già finito, la rissa è sciolta, addirittura quando l'auto con a bordo Sandri e altri quattro suoi amici sta per mettersi in movimento.
Secondo: Sapaccarotella non spara in aria nel tentativo di dissuadere qualcuno a commettere un reato, non spara per rispondere al fuoco, ma spara due colpi, uno certamente per colpire qualcuno, altrimenti perché sparare ad altezza d'uomo? Se si spara ad altezza d'uomo è più che probabile che, come bersaglio, si incontri la figura di un uomo. Quindi Spaccarotella ha sparato per uccidere. Non per uccidere il tifoso, ovviamente, ma per uccidere in generale, nella sua testa magari un rapinatore.
Per fortuna che solo una minoranza di poliziotti si comporta così.
La domanda allora è: ma da dove è venuto un simile Terminator da quattro soldi, presentato come un poliziotto esperto che è stato anche a Palermo (come se il capoluogo siciliano fosse un tirasegno...) convinto che il fatto che qualcuno gli abbia dato (inopinatamente, visto i risultati) un'arma lo autorizzi ad usarla sempre e comunque?
Qual è la cultura dell'ordine pubblico e della convivenza sociale che sottende la formazione di individui simili?
Non si rendono conto che il comportamento di uno Spaccarotella qualsiasi infanga un'intera categoria di seri operatori di polizia?
La risposta è semplice: la loro è la stessa cultura mostrata dalle forze dell'ordine a Genova nei giorni del G8. Violenza beluina allo stato puro. E da allora nulla è cambiato: ottusità, incapacità di gestione (prima di tutto di se stessi e dei propri istinti), scarsa professionalità, impreparazione ad affrontare le emergenze. Nella sostanza una grande paura di vivere. Se non a colpi di bum. bum, bum. Come fossero bambini.

Il fatto è che questi poliziotti bambini lo sono davvero. E fin lì problemi loro, e delle loro famiglie (pensate ad avere un marito o un padre così...). Il problema è che sono... bambini armati.

UCCISIONE DI GABRIELE SANDRI (2):
IL SOLITO VECCHIO VIZIO DELLE BUGIE 

Quante sono le versioni che la questura di Arezzo, con la complicità del Viminale, ha diffuso prima che venisse a galla la verità?
Perché se Gabriele Sandri è morto, minuto più, minuto meno, alle 9.10, è solo alle 11.40 che la notizia della tragedia diventa ufficiale?
Cosa è successo in quelle due ore e mezzo?
Perchè, in pieno terzomillennio, un questore che tiene una già tardiva conferenza stampa rifiuta le domande dei giornalisti come fosse un delegato di polizia borbonica?
Quanto di questo antico vizio dell'omertà ha pesato sulle violenze che si sono scatenate dopo la morte di Sandri?
Perché la polizia non impara ad indossare la divisa della trasparenza e della correttezza?

Ricostruiamo, dal punto di vista della comunicazione, il modo di comportarsi delle autorità preposte alla gestione delle forze di polizia nello spiegare quanto accaduto, cosa che loro sapevano già pochi minuti dopo la tragedia:

  1. La notizia arriva al Viminale pochi minuti dopo il dramma. Attorno alle 9.30 il capo della polizia Antonio Manganelli, cresciuto all'ombra del suo predecessore, Gianni De Gennaro, da qualche mese ai vertici dell'ordine pubblico nazionale, è già informato di tutto.
  2. Quasi fosse un riflesso codizionato Manganelli è preoccupato di una cosa sola: difendere l'immagine della polizia di stato. Evitare in ogni modo che si possa produrre l'equazione Filippo Raciti (il poliziotto ucciso a Catania) uguale Raffaele Sandri. Come se le morti potessero essere diverse. E questo per due motivi:
  1. mettere sullo stesso piano i teppisti assassini di Catania con la polizia dal grilletto facile di Arezzo.
  2. creare un alibi ai facinorosi che non attendono altro per creare disordini.

Questa preoccupazione di Manganelli incide sulla sua scelta di non sospendere la giornata di campionato, come chiedono i dirigenti della Federcalcio e della Lega - e come il buon vecchio senso vorrebbe - ma solo la partita Inter-Lazio.
Il capo politico del Viminale, il ministro dell'Interno Giuliano Amato, tace. Lui non sa o fa finta di non sapere. I dirigenti del calcio, come al solito tremebondi, chinano la testa. Nonostante il lutto lo spettacolo deve continuare.
Manganelli teme anche che bande di tifosi venuti da fuori in città come Bergamo, Firenze, Parma, Reggio Calabria, Siena, Torino e Roma (dove è in calendario il posticipo serale) senza partita possano scatenarsi. L'eccezione - in un secondo momento - viene fatta per la capitale: lì non si dovrà giocare. Perché? Forse perché la Lazio è una squadra di Roma?

  1. Alle 11.49 - come detto con due ore e mezzo di ritardo - le agenzie battono la notizia della morte di Gabriele Sandri. Ma sono notizie non solo confuse, ma mendaci. Si parla di una rissa tra tifosi in un'area di servizio lungo l'autostrada del Sole in direzione Milano e di un colpo di pistola. Un colpo di pistola sparato da chi? Ma è ovvio da qualcuno dei tifosi. La questura di Arezzo e il ministero dell'Interno hanno in realtà il quadro reale di quanto è accaduto, ma le notizie che fanno filtrare sono volutamente non vere.
  2. Con il passare delle ore il quadro si fa più chiaro. Ma di ore dovranno passarne quasi altre due. La rissa tra tifosi si ridimensiona: non c'è stato un maxi scontro tra teppisti da stadio scesi da due pullman, ma una semplice scaramuccia senza conseguenze tra gli occupanti di due (c'è chi dice tre) auto. Ma il Tg1 per primo parla della presenza di una pattuglia della polizia e che forse a sparare è stato un poliziotto.
  3. I giornalisti accorsi all'area di servizio di Badia al Pino non trovano alcuna traccia di scontri. I gestori e gli avventori dei due punti di ristoro della stessa area non si sono accorti di nulla.
  4. Solo attorno alle 14.36, un’altra ora dopo  quindi cinque ore e 26 minuti dopo, il ministro dell'Interno Giuliano Amato parla di "tragico errore" di un poliziotto. Perché c'è voluto così tanto tempo?
  5. Alle 17.30, cioè dopo otto ore e 26 minuti dopo la tragedia, il questore di Arezzo, Vincenzo Giacobbe, convoca una conferenza stampa, convocata in precedenza alle 15. Alla stessa è presente anche Roberto Sgalla, il direttore delle relazioni esterne del ministero dell’Interno, guarda caso, ad Arezzo, a suo dire, “per una giornata di riposo”. Sul modello sovietico, Giacobbe si limita ad un’informativa vaga e sconclusionata che non dice nulla. Fumo negli occhi. Dice Giacobbe: "C'è un'inchiesta in corso". Ma va! Chi l'avrebbe mai detto! Ammette però che "sono stati sparati due colpi a scopo intimidatorio". Bella intimidazione con un cadavere di mezzo. Poi fornisce una ricostruzione molto approssimativa: "Alle 9.10 due pattuglie della polizia stradale, che stavano facendo dei controlli in direzione sud, vengono attirate da urla e rumori provenienti dall'area di servizio in carreggiata nord, si rendono conto che è in atto una violenta rissa tra gli occupanti di almeno tre auto". Gli agenti azionano le sirene "per far desistere i partecipanti", sono "a sessanta, settanta nmetri di distanza". Aggiunge il questore: "Uno degli operanti esplode due colpi con l'arma di ordinanza. L'intervento era finalizzato a far sì che i tafferugli, scoppiati tra i gruppi di pesrone che non erano stati individuati come tifosi, non degenrassero cn gravi conseguenze". Poi, la ciliegina sulla torta. Precisa Giacobbe: "Non è ancora certo che il colpo che ha ucciso sia stato sparato dal poliziotto. Gli accertamenti balistici sono in corso". Avete letto bene. Sono passate le 17.30. Sandri è stato ucciso da un colpo di pistola otto ore prima. ma il questore di Arezzo dice: "Non è ancora certo". Chi mai potrebbe aver sparato? Forse un altro tifoso? Ancora...
  6. Le ore passano. Incidenti sono già scoppiati a Bergamo. I tifosi non volevano che la partita Atalanta - Milan si giocasse. E ottengono con una brutale ed assurda violenza ciò che le autorità preposte avrebbero dovuto decidere da sole, diverse ore prima. Poco dopo incidenti esplodono anche a Roma dove le tifoserie laziali e romaniste accantonano la loro reciproca acredine e attaccano perfino una caserma della polizia. Per trovare un precedente di un simile atto bisoga risalire al 1948, ai giorni successii all'attentato a Palmiro Togliatti, segretario del Pci.
  7. Con il passare del tempo la forza dei fatti torna, forzatamente, ad illuminare i vertici politici e istituzionali della polizia. Amato dice che si procederà con il responsabile della morte di Sandri con estrema durezza. Lo stesso, il giorno dopo, farà Manganelli. Non è un caso che sia la stessa questura di Arezzo a far uscire la notizia che un testimone ha visto l'agente Luigi Spaccarotella sparare a braccia tese. Quindi ad altezza d'uomo. Per lui l'accusa resta di "omicidio colposo". Ma - dice il questore Giacobbe - la sua posizione potrebbe aggravarsi. Ma il ministro dell’Interno Giuliano Amato, ancora martedì 13 novembre, a più di due giorni dopo il fatto, dice: “Come sono andati i fatti non lo so attendo il responso della Giustizia”. Come dire: non c’ero e se c’ero dormivo.

UCCISIONE DI GABRIELE SANDRI (3):
L’AGENTE SCELTO SPACCAROTELLA E LA GIUSTIZIA 

L'iscrizione nel registro degli indagati per l'agente scelto della polstrada Luigi Spaccarotella era scontata. Ora si tratta di vedere per quale reato verrà rinviato a giudizio.
Scartata l'ipotesi dell'"uso legittimo delle armi" previsto solo "per impedire la commissione di gravi reati o per respingere una violenza o vincere una resistenza", nel qual caso l'agente non sarebbe punibile, restano due strade:

oppure

Il magistrato di Arezzo che lo ha incriminato, almeno per ora, ha scelto la prima ipotesi di reato. Potrebbe cambiare idea ed incriminarlo per la seconda ipotesi di fronte alla conferma delle perizie e della testimonianza del commerciante romano che lo ha visto sparare da fermo, su un rialzo del terreno, prendendo la mira, con le braccia tese ed impugnando la pistola con entrambe le mani.
In questo caso Spaccarotella avrebbe accettato il rischio di poter colpire qualcuno, magari anche qualche automobilista che percorreva le due corsie di marcia dell'Autosole, commettendo un omicidio volontario.

Ma la domanda è: come andrà a finire? Spaccarotella sarà punito per il suo gesto inconsulto?
Rispondere a questa domanda è assolutamente prematuro. Trattandosi di un uomo in divisa siamo disposti a scommettere che se la caverà con un buffetto sulla guancia, pronti a ricrederci di fronte a qualsiasi altra sentenza. Non è neppure escluso che l'agente scelga di patteggiare. Ma bisogna vedere per quale reato. Se è per "omicidio colposo" se ne torna a casa felice e contento senza conseguenze.
Bisogna poi vedere cosa inventeranno i periti. Di parte (la sua) e del tribunale. E' già circolata una notizia allarmante: sull'ogiva del proiettile che ha ucciso sono state rpertate delle "striature" che - hanno detto i periti - lascerebbero pensare che il colpo mortale avrebbe impattato con qualche cosa. Che cosa?
Per fortuna l'omicidio Sandri è avvenuto su di un autostrada dove si presume che, come invece è avvenuto in piazza Alimonda il 20 luglio 2001, non ci siano stati calcinacci che volavano. Altrimenti Luigi Spaccarotella potrebbe sperare nella stessa lieta conclusione del suo collega carabiniere Placanica nell'omicidio di Carlo Giuliani.

Comunque sia, si accettano scommesse: il delitto Sandri rimarrà impunito.

UCCISIONE DI GABRIELE SANDRI (4):
ATTENZIONE ALLE INTIMIDAZIONI 

In quest'ottica della possibile impunità di un uomo della polizia vanno letti alcuni strani, stranissimi accadimenti giudiziari di martedì 13 novembre, quando si è diffusa la notizia che i tre giovani tifosi che erano a bordo della Renault Megane su cui viaggiava Sandri risultano indagati per "tentate lesioni".
Si tratta di un reato decisamente lieve quanto surreale dal momento che mancherebbero all'appello gli oggetti o l'oggetto del tentativo di lesione. I presunti "lesionati", o meglio i presunti oggetti di un tentativo di lesione (siamo alla commedia dell'assurdo), infatti, sarebbero gli occupanti di un'auto (la Mercedes classe A?) vista allontanarsi dall'area di servizio di Badia al Pino subito dopo la sparatoria e finora non identificati.
Questa accusa verso i tre giovani spiegherebbe anche il loro silenzio dopo un lunghissimo interrogatorio nella questura di Arezzo durato quasi dieci ore.

Che versione possono aver dato di quanto accaduto nei momenti precedenti l'assassinio di Sandri è difficile dirlo. Potrebbero in qualche modo (come?) aver alleggerito la posizione dell'agente Spaccarotella? E' possibile. L'accusa surreale di "tentata lesione" sembra andare in questa direzione.

UCCISIONE DI GABRIELE SANDRI (5):
SE DAVVERO SI AVESSE A CUORE LA POLIZIA 

Lo svolgersi dei fatti fin qui riassunto ha una sola spiegazione. Di istinto continua ad esistere all'interno delle forze di polizia uno spirito corporativo e omertoso che mal si sposa con il rapporto chiaro e trasparente che dovebbe esistere con l'opinione pubblica.
Se un poliziotto sbaglia deve essere punito. come fosse (perché lo è) un normale cittadino sottoposto alla legge. 
Difendere la polizia, l'istituzione democratica della polizia, non significa nasconderne le colpe e gli errori, ma fare esattamente il contrario: punire i responsabili anche per dare un esempio agli altri. Far loro capire che l'uso delle armi e della forza in generale non è una loro prerogativa, ma soltanto un mezzo per difendere se stessi e la collettività. Stabilire una volta e per sempre che nessun cittadino, neanche uno in divisa, in uno stato democratico e di diritto, è al di sopra della legge e possiede la licenza di uccidere.
E' questo il modo migliore per difendere la polizia e per riconoscere l'alta funzione che gli operatori della polizia ricoprono.

Proteggere i violenti e i Rambo da strapazzo equivale ad incitare all'odio le frange più sconsiderate e violente della società.

UCCISIONE DI GABRIELE SANDRI (6):
UN PRECEDENTE (TRA I TANTI) DI POLIZIOTTI VIOLENTI  

Dalla Repubblica del 20 giugno 2007

Caso Aldrovandi, svolta nel processo
Quattro agenti rinviati a giudizio

Ferrara, sono i poliziotti coinvolti nell'arresto e nella morte del diciottenne
La madre del ragazzo ha combattuto per due anni per arrivare alla verità

FERRARA - Sono stati rinviati a giudizio i quattro poliziotti indagati per la morte di Federico Aldrovandi, il 17enne deceduto due anni fa durante un controllo di polizia troppo violento. Sono i quattro agenti (tre uomini e una donna) che la notte del 25 settembre 2005 effettuarono l'intervento nei pressi dell'Ippodromo a Ferrara.
L'accusa per tutti è quella di "eccesso colposo": di aver cioé ecceduto "i limiti dell'adempimento di un dovere". Un eccesso colposo che ha "cagionato o comunque concorso a cagionare il decesso di Federico Aldrovandi" e che ha portato la Procura a richiedere per gli agenti il processo.
La decisione di oggi segna una svolta in una vicenda che, da subito, presentò lati poco chiari. Federico Aldrovandi venne bloccato, il 25 settembre 2005, in mezzo alla strada da una pattuglia di polizia. Un intervento che si rese necessario per le ripetute chiamate al 113 che segnalavano la presenza di un giovane in preda ad una crisi di autolesionismo e in stato di agitazione, nei pressi dell'Ippodromo. Un intervento che finì tragicamente con la morte del ragazzo.
La consulenza della procura parlò di una asfissia dovuta ad una concausa legata all'assunzione di droghe e alcool, mentre per i tecnici della famiglia la morte sarebbe stata provocata da una "asfissia posturale", causata dalla compressione toracica cui fu sottoposto dai poliziotti che, praticamente, gli salirono sopra per bloccarlo mentre era steso a terra o contro un'auto. Fu così che la madre di Federico diede via ad una campagna per non far spegnere i riflettori sulla morte del figlio. Aprì un blog. Voleva capire, la donna, il perché delle contusioni rilevate sul corpo del figlio, il motivo della ferita alla testa, del sangue sui vestiti. E adesso alcune risposte stanno arrivando.
Secondo la Procura l'intervento di polizia per immobilizzare il diciottenne è da considerarsi "imprudente", per aver "ingaggiato una colluttazione" con Aldrovandi "eccedendo i limiti del legittimo intervento". E per aver colpevolmente ritardato la chiamata al 118.

La questione rimase a lungo ferma. Poi la svolta. Alla fine di maggio, da una cassaforte della questura saltò fuori il brogliaccio delle chiamate di quel giorno al 113. Ed è stata subito aperta un'inchiesta bis per capire come mai il documento redatto dagli operatori della sala operativa della Questura, la mattina del 25 settembre fu corretto proprio nello spazio in cui venivano riportati i dati dell'intervento eseguito dai quattro agenti delle due pattuglie, oggi accusati dell'eccesso colposo che ha cagionato la morte del ragazzo.

UCCISIONE DI GABRIELE SANDRI (7):
COME SI COMPORTA LA GIUSTIZIA ALL'ESTERO 

Il 1 nove,mbre scorso Scotland Yard ha subito un grosso smacco: è stata condannata in blocco dal tribunale londinese di Old Bailey per l'assassinio dell'elettricista brasiliano Jean Charles de Menezes, ucciso dagli agenti dentro la metropolitana della capitale britannica perché scambiato erroneamente per un terrorista kamikaze.
Per i giudici non ci sono responsabilità penali individuali, ma sparando all'elettricista - ucciso il 22 luglio del 2005 alla stazione di Stockwell mentre cercava di salire su un convoglio - gli agenti di Scotland Yard hanno compiuto un'operazione anti-kamikaze proprio come non si deve fare: hanno messo infatti irresponsabilmente a repentaglio la vita della gente, violando in più punti le leggi in vigore sulla salute e sicurezza pubblica.
La polizia londinese è stata pertanto condannata ad una multa da 175.000 sterline (circa 260.000 euro) e al pagamento delle spese processuali, pari a 570.000 euro.
Per i familiari di de Menezes, che da due anni invocano giustizia, la sentenza di colpevolezza è un primo importante passo avanti e bisogna adesso proseguire con una «completa e accurata» inchiesta sul caso.
In effetti Scotland Yard ne è uscita con le ossa rotte nel suo insieme, ma il tribunale di Old Bailey non ha trovato nulla di incriminabile nel comportamento specifico degli agenti che a ripetizione hanno fatto fuoco sull'elettricista. E nulla è stato contestato personalmente nemmeno a Cressidra Dick, la funzionaria della Metropolitan Police che coordinava l'operazione anti-terrorismo sfociata nella morte dell'innocente De Menezes.
Malgrado l'umiliante verdetto di colpevolezza e la richiesta di sue dimissioni avanzate da liberal-democratici e conservatori Sir Ian Blair - capo della polizia londinese - ha messo prontamente in risalto che non intende dimettersi: «Cercheremo di trarre una lezione dal verdetto e di valutare - ha detto - quali procedure operative vadano riviste». Scotland Yard non si dà per vinta: presenterà appello, insisterà - come già fatto senza molta fortuna al processo di primo grado - sul tasto che gli agenti si sentirono in dovere di far fuoco - colpendolo ben sette volte - perché a loro parere l'elettricista si era comportato in modo «aggressivo e minaccioso».
Alla morte di De Menezes, ventisettenne, contribuì senz'altro la pesante, allarmata atmosfera che si respirava a Londra in quei giorni: l'elettricista fu ucciso il giorno dopo che una cellula di kamikaze islamici tentò, senza successo, di seminare distruzione e morte nei trasporti pubblici della metropoli britannica. Due settimane prima, una serie di attentati di matrice integralista islamica era andato a segno a Londra e aveva provocato la morte di 52 persone e il ferimento di altre 700.

Ma questo, giustamente, per la Giustizia britannica, non può costituire una giustificazione.

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