LA   NEWSLETTER   DI   MISTERI   D'ITALIA

          Anno 6 - Numero 106                                                       12 dicembre 2005

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IN QUESTO NUMERO:

NO TAV:
MEGLIO SAPERNE DI PIU’

Da diversi anni è in corso in ValSusa una manovra di resistenza organizzata contro la linea ad alta velocità ferroviaria Torino-Lione (TAV).

Quello che fanno credere i media è che gli oppositori siano pochi e comunque motivati solamente dal fatto che "gli passa il treno sotto casa".

Nella manifestazione di giugno c'erano 30.000 persone (in tutta la Val Susa ci sono 50.000 abitanti).

I motivi veri (che vengono metodicamente nascosti dai media) sono ben altri:

  1. La tratta Torino-Lione è completamente inutile: nella Val Susa esiste già una linea ferroviaria sottoutilizzata, in grado di reggere il traffico richiesto (considerando i tassi di crescita) almeno fino al 2050.
  2. La linea in costruzione è esclusivamente merci, non si avrebbe alcun vantaggio in termini di tempo per la percorrenza da Torino a Lione. I treni passeggeri, comunque, continuerebbero a transitare nella linea storica con i tempi di percorrenza attuali.
  3. Nel tratto montano (e quindi da Torino alla Francia), comunque non sarebbe una tratta ad alta velocità perchè la conformazione del terreno montano non la rende possibile.
  4. L'amianto sotto al Musinè c'è veramente (è già ampiamente dimostrato), e nei progetti non c'è il minimo accenno ad un piano di messa in sicurezza dell'amianto estratto (è previsto semplicemente uno stoccaggio in valle a cielo libero), che con i frequenti venti della Val Susa verrebbe distribuito e respirato in tutta la cintura ovest di Torino ed in Torino stessa. Le malattie causate dalla respirazione di anche solo 1 fibra di amianto vengono diagnosticate 15 anni dopo l'inalazione. Dal momento della diagnosi la mortalità è del 100% ed il tempo di vita medio è di 9 mesi.
  5. Il corridoio 5 (tratta Lisbona-Kiev) di cui questa tratta sarebbe parte fondamentale non esiste: da Trieste verso est l'opera è bloccata in tutti i suoi aspetti.
  6. Finanziariamente è un disastro annunciato: perchè vada in attivo, nella tratta dovrebbe passare un treno merci ogni 3 minuti, 24 ore al giorno. Per questo motivo, al momento nessun privato si è impegnato finanziariamente, banche e fondazioni comprese. La tratta è costosissima, ed i soldi non ci sono: è notizia recente che nella finanziaria di questi giorni sono stati tagliati quasi tutti i fondi per le grandi opere. Gli unici soldi su cui si regge l'opera sono i finanziamenti europei.

Forse ora è più chiaro e motivato perchè nelle proteste dei ValSusini sono presenti sempre, in prima fila, tutti i sindaci e le istituzioni di tutti i paesi della Valle, indipendentemente dal partito politico di appartenenza.

Il CIPE, incaricato di distribuire i fondi italiani, ha già eliminato la tratta Torino-Lione dalle opere da finanziare dallo stato italiano (nonostante quanto riferito dai media).

L'unico obiettivo di chi il TAV lo vuole fare è quello di agganciare la pioggia di finanziamenti europei per le grandi opere; per far questo, devono entro fine anno poter dire che i lavori sono iniziati.

La questione NoTAV non è una questione di sinistra o destra: l'opposizione è trasversale, ed ogni persona di buon senso che sia informata sul problema non ha difficoltà a capire le ragioni della protesta.

 

TERRORISMO INTERNAZIONALE:
ASSOLUZIONE ISLAMICI A MILANO,
ESEMPIO DI STATO DI DIRITTO

Senza prove non si può condannare. E’ questa la lezione esemplare che ci arriva dalla terza sezione penale della corte di Appello di Milano che ha assolto, per la seconda volta, dall’accusa di terrorismo internazionale tre cittadini di nazionalità araba.

In un’intervista al quotidiano La Repubblica, il giudice Santo Belfiore, presidente della corte, un magistrato pacato, non di certo una "toga rossa", riferendosi alla canea di critiche che gli sono piovute addosso, afferma: "Vorrei sapere su quali documenti il ministro della Giustizia basa i suoi giudizi, visto che le motivazioni non le abbiamo ancora scritte. Molti di quelli che commentano le sentenze o ne scrivono sui giornali non le hanno nemmeno lette".

"L'essenziale - aggiunge il magistrato - è capire sempre che le decisioni vanno prese sui documenti, sulle prove e non sugli articoli dei giornali o le polemiche televisive. A volte può anche restare il dubbio che un imputato sia colpevole. Ma per condannare una persona servono prove, non basta un'impressione".

 

TERRORISMO E INTELLIGENCE:
LA RICE ANNUNCIA NUOVA DIRETTIVA:
DIVIETO MONDIALE DI TORTURARE

Gli Stati Uniti annunciano di aver cambiato la loro politica riguardo agli interrogatori di prigionieri, introducendo per il loro personale un divieto, valido in tutto il mondo, di compiere trattamenti crudeli sui prigionieri.

Lo ha detto il segretario di Stato americano Condoleezza Rice in visita in Ucraina.

La Rice ha detto che gli obblighi per gli USA, previsti dai trattati internazionali sui trattamenti crudeli, disumani o degradanti "si estende al personale statunitense dovunque si trovi, sia che si trovi negli Stati Uniti sia che si trovi al di fuori degli Stati Uniti".

Almeno sulla carta, quindi, le pressioni europee sembrerebbero servite a qualcosa. Anche se c’è da rilevare che nelle "consegne forzate", come vengono chiamati i rapimenti attuati dagli agenti della CIA in Europa, gli stessi raramente si sono sporcati le mani con le torture, "cedendo" i sequestrati a stati arabi nelle cui prigioni avvengono le più efferate nefandezze.

 

TERRORISMO E INTELLIGENCE (2):
QUEL GIORNALISMO COSI’ SEMPLIFICATORIO

E’ da qualche tempo in voga una forma di giornalismo estremamente banalizzante e semplificatrice che punta ad affrontare i poblemi della nostra società con formulette a dir poco risibili.

Uno dei portabandiera di questo giornalismo è il vicedirettore del Corriere della sera, Pieluigi Battista, un altro ex di sinistra riconvertito dall’ondata neocon che pervadde la stampa italiana.

L’ultima uscita del Battista è davvero esilarante, o almeno lo sarebbe se dietro le sue posizioni non si nascondesse una ben chiara malafede.

Lo spunto a Battista l’ha fornita la denuncia, cerrtamente tutta da verificare, di uno dei presunti terroristi islamici assolti (per la seconda volta) dall’accusa, appunto, di essere terroristi. Una denuncia ben precisa: sono stato interrogato nell’ufficio del pm milanese Stefano D’Ambruoso, senza avvocato e alla presenza di alcuni agenti segreti americani.

Il Battista, di fronte a questa affermazione grave, se ne esce con questo semplicissimo assioma: perché scandalizzarsi. Gli oppositori ai metodi guerreschi con cui Bush & company combattono la guerra al terrorismo non hanno sempre sostenuto che l’unica alternativa efficace ai bombardamenti è il lavoro d’intelligence? E allora eccoli serviti.

E’ evidente che Battista il semplificatore ha ancora in mente il metodo di fare intelligence alla Ian Fleming, o meglio alla James Bond: licenza di uccidere, di torturare, di sequestrare, di interrogare senza garanzie. Per Battista l’equazione è sempre la stessa: intelligence uguale giochi sporchi, servizi segreti uguale lavoro truccato, operazioni coperte, in fondo proprio quello che continua a pensare una come Condoleeza Rice. Per lui gliagenti dei servizi segreti sono ancora quelli delle stragi e dei depistaggi.

Peccato, ma questo Battista non lo sa o finge di non saperlo, che negli ultimi anni il lavoro dell’intelligence nei paesi democratici si è evoluto, fino a diventare qualcosa di più e di meglio della tortura e della violazione dei diritti civili.

Battista non sa, o finge di non sapere, che oggi esistono persino master universitari di intelligence dove, per prima cosa, a i futuri 007 si insegna il rispetto pieno delle regole democratiche.

Battista non sa, o finge di non sapere, che uno dei più importanti esponenti della ventata di novità portata dentro Il SISMI, il nostro servizio segreto militare, era Nicola Calipari, un porfessionista dell’intelligence che ha sempre operato alla luce del sole, nel pieno rispetto della legge.

E non è un caso che Calipari sia stato ucciso proprio dal fuoco proveniente da quei settori che invece intendono la geurra al terrorismo, applicando la solita regola: prima spsri e poi ragioni.

Gente destinata ad essere superata dalla storia, proprio come il giornalista Pierluigi Battista.

 

TERRORISMO E INTELLIGENCE (3):
IL SEQUESTRO (ILLEGALE) DI ABU OMAR

"Tutti, e quindi anche il procuratore aggiunto di Milano, sapevano che Robert Seldon Lady era accreditato dal governo degli Stati Uniti d’America presso il governo italiano come diplomatico: console con funzioni di sovrintendente Cia nel nostro paese". E di conseguenza, con la richiesta del suo arresto, "sarebbe stata violata la Convenzione di Vienna e messo in serio pericolo le relazioni diplomatiche fra Italia e Usa".

Parole dell’avv. Daria Pesce, legale del capo della Cia a Milano Robert Seldon Lady che con altre 21 persone - ma di 20 si conoscono soltanto i nomi di copertura - avrebbe rapito due anni fa a Milano l’imam Abu Omar, trasferendolo con un aereo prima in Germania poi in Egitto, dove attualmente si troverebbe in una prigione segreta.

Nonostante la gravità del reato di cui il suo assitito è accusato (rapire un cittadino straniero sul suolo italiano), per l’avvocato Pesce, il procuratore aggiunto Armando Spataro avrebbe dovuto fermarsi di fronte alle ragioni di Stato e soprattutto alla "sussistenza del segreto di Stato, opportunamente confermato dal presidente del Consiglio dei ministri".

Un’arroganza quella dell’avv. Pesce che finisce con il compromettere sia il governo italiano, sia gli investigatori milanesi specie quando afferma che, nell’espletamento delle specifiche funzioni consolari di sovrintendente dell’intelligence americana, Seldon Lady "godeva indubbiamente dell’autorizzazione del Governo degli Usa, di concerto con le autorità politiche dello Stato italiano. È giocoforza ritenere che l’attività espletata dal signor Lady abbia formato oggetto di un’esplicita, o quantomeno implicita, autorizzazione dalle Autorità governative dello Stato d’invio, come di quelle dello Stato territoriale. A comprova di questa affermazione basti ricordare che la Digos milanese era a perfetta conoscenza, per i pregressi rapporti di natura lavorativa tenuti con l’indagato, delle funzioni a cui il medesimo era stato preposto nel territorio dello Stato italiano".

La tesi della procura di Milano è, ovviamente, diversa e si basa sul fatto che il nostro codice penale "copre" i reati del personale consolare se non superano la pena di cinque anni, mentre per Solden Lady l’accusa è di sequestro di persona.

Un accusa gravissima. Secondo il Gip Guido Salvini, buon conoscitore delle trame americane in Italia per aver indagato agenti dell’intelligence americana dell’epoca, nell’ambito dell’inchiesta sulla strage di piazza Fontana del 1969, il comportamento dell'intelligence statunitense "non solo è stato illegale, avendo violato gravemente la sovranità italiana, ma è stato anche un atto nefasto e inquinante ai fini dell'efficacia della complessiva lotta al terrorismo".

Il trattamento che Abu Omar ha subito, ha ricordato Salvini, è la cosiddetta "forcible adduction" (prelevamento forzato), che alcune decine di militanti islamici hanno subito, in modo particolare a cominciare dal 2001, il ricorso al quale è stato candidamente ammesso in alcune interviste dallo stesso primo ministro egiziano che ha quantificato in 60-70 il numero dei casi. Inutile aggiungere che l’imam Abu Omar è stato torturato, tanto da procuragli notevole difficoltà a camminare.

 

TERRORISMO E INTELLIGENCE (4):
SUL RAPIMENTO DIABU OMAR
COSSIGA CHIEDE UNA COMMISSIONE D’INCHIESTA

Un disegno di legge per la istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sul rapimento e la "esfiltrazione clandestina" (termine caro agli aderenti a Gladio) del cittadino egiziano Abu Omar da  parte di agenti della CIA è stato presentato dal presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga.

Se i fatti contestati ai cittadini statunitensi - scrive Cossiga nella presentazione del disegno di legge - fossero veri "si tratterebbe di una grave violazione non solo della legge penale, ma della stessa sovranità dello Stato italiano da parte di agenti di un servizio di intelligence di una potenza amica ed alleata".

"Di fronte ai fatti per i quali procede la Procura della Repubblica di Milano, è doveroso che il Parlamento si chieda come essi siano mai potuti accadere, anche perché - prosegue il testo - il cittadino egiziano Abu Omar era sospettato da tre anni di terrorismo dalla detta procura, per suo ordine sottoposto ad indagini e controlli fisici ed elettronici da parte della polizia giudiziaria, senza che nulla abbiano avvertito i servizi di polizia ed i servizi di informazione e di sicurezza, e solo dopo il rapimento oggetto di un provvedimento, chiaramente ineseguibile, cautelare da parte dell'autorità giudiziaria di Milano".

Nella sua relazione Cossiga, esperto di intelligence, fa anche una precisa, quanto grave, denuncia, affermando che "su queste circostanze occorre fare chiarezza, anche perché negli ambienti diplomatico-consolari americani si afferma che sia stata e sia prassi costante che i magistrati della Procura della Repubblica di Milano e ufficiali di polizia giudiziaria abbiano mantenuto e mantengano costanti ed impropri rapporti non solo estremamente amicali, ma anche di illegittima collaborazione investigativa, con la stazione della CIA in Milano, ed in passato con il Console Generale americano in Milano, oggi inquisito, capo di detta stazione sotto copertura consolare, ma il cui vero ruolo era ben noto, bypassando il CESIS e le direzioni dei servizi di informazione e sicurezza, soli autorizzati a mantenere rapporti di collaborazione con i servizi di informazione e di sicurezza esteri".

"Grave è il quesito che è stato posto, se l'operazione di cosiì detta 'extraordinary rendetion' sia stata mai autorizzata dal Governo (come è avvenuto in altri Paesi europei nei quali però l'azione penale non è obbligatoria e nell'interesse dello Stato essa può non essere esercitata od anche ritirata) , o se esso ne sia stato comunque informato o se, come viene fatto trapelare da ambienti della Procura della Repubblica di Milano e chiaramente traspare dal modo del suo procedere, dell'operazione sarebbe stato informato il SISMI, che forse avrebbe anche collaborato ad essa".

Si tratta, secondo Cossiga, di fatti di "estrema gravità e possono essere accertati, anche per i loro delicati profili di politica estera, non certo dalla Procura della Repubblica di Milano, che potrebbe anche essere implicata in alcuni di essi, ma soltanto da un alto organo politico quale una commissione parlamentare di inchiesta".

Fonte: ANSA

 

TERRORISMO E INTELLIGENCE (5):
AGENTI CIA DENUNCIATI IN USA

Non sono solo gli europei a contestare agli Stati Uniti i rapimenti della Cia nella guerra al terrorismo: a Washington il gruppo libertario americano American Civil Liberties Union (ACLU) ha annunciato l'intenzione di portare gli 007 della Cia in tribunale per conto di un uomo che sostiene di essere stato rapito e portato in Afghanistan per essere interrogato sotto tortura come sospetto terrorista.

L'ACLU sostiene che "Elementi della Cia ai più alti livelli hanno violato le leggi americane e universali sui diritti umani" quando hanno sequestrato l'uomo, di cui non viene fatto il nome, per trasferirlo in una prigione segreta in Afghanistan vicino a Kabul chiamata la Fossa del sale.

Secondo la ACLU, l'azione legale è la prima negli Stati Uniti relativa alla pratica delle cosiddette "restituzioni straordinarie" di cui è stato protagonista, tra l'altro, l'imam Abu Omar rapito a Milano nel febbraio di due anni fa.

La presentazione della denuncia, che non riguarderà solo la Cia, ma anche società non identificate che possiedono e operano gli aerei usati nei voli fantasma verso l'Afghanistan, rappresenta una fonte potenziale di grave imbarazzo per l'amministrazione Bush.

 

TERRORISMO E INTELLIGENCE (6):
I VOLI FANTASMI DELLA CIA

L'elenco dei 437 voli CIA che tra il 2002 e il 2003 hanno usato lo spazio aereo tedesco o hanno fatto tappa in aeroporti tedeschi verrà pubblicato la prossima settimana su Der Spiegel.

In quell’elenco ci sono certamente anche gli aerei utilizati per trasportare l’unico rapito in Italia finora emerso, l’imam Abu Omar. Infatti, dall'ordinanza di custodia cautelare emessa nei mesi scorsi dalla magistratura milanese nei confronti di 22 agenti della CIA accusati di sequestro di persona, emerge che Abu Omar, "rapito violentemente" in via Guerzoni vicino alla moschea di viale Jenner, il 17 febbraio del 2003 attorno alle 12.00-12.15, venne subito caricato su un furgone che, "scortato da altri veicoli", raggiunse la parte statunitense della base aeronautica di Aviano. Da qui l'ex imam, con il velivolo LJ35 ("sigla di volo 'Spar 92’") "decollato alle ore 18,20 dello stesso giorno", venne portato a Ramstein (Germania).

Da questo aeroporto, infine, continua l'ordinanza,"Abu Omar fu immediatamente trasferito a Il Cairo, su un altro velivolo, il Jet Executive GulfStream (codice identificativo n.N85VM), decollato da Ramstein circa alle 20.30" dello stesso 17 febbraio di due anni fa".

Secondo gli accertamenti compiuti dagli inquirenti milanesi, l'Executive nel pomeriggio di quel giorno aveva fatto un altro viaggio da Ramstein al Cairo e ritorno.

 

STRAGE DI BOLOGNA:
FORSE UNO SPIRAGLIO PER LA VERITÀ

"Era ora", verrebbe da dire. Finalmente qualcuno, nella fattispecie il pm bolognese Paolo Giovagnoli, ha deciso di aprire un fascicolo di indagine su un’ipotesi alternativa di responsabilità per la strage di Bologna, una delle inchieste giudiziarie e delle vicende processuali più sbagliate ed erronee che si siano mai svolte in Italia.

Finalmente qualcuno ha deciso di scoprire la verità - e non quella di comodo di cui si sono fin qui accontentati in molti - sul più orrendo massacro che si mai avvenuto nel nostro Paese.

Non c’è da illudersi, però. Ci scoraggia il fatto che l’inchiesta sia rimasta (ma, purtroppo, non poteva essere diversamente) nel capoluogo emiliano dove, proprio attorno alle sorti del processo sulla strage di Bologna, troppe carriere giudiziarie sono ampiamente in ballo e anche qualche carriera politica.

Ma veniamo ai fatti.

Da anni Misteri d’Italia si batte per l’innocenza degli attuali condannati e, sia detto a chiare lettere, certamente non per qualsivoglia affinità politica con Mambro, Fioravanti e Ciavardini. Ma, molto più semplicemente, perché convinto che quel processo sia stato sbagliato, costruito su improponibili teoremi (questi sì politici) e basato sul nulla, o meglio sulla testimonianza falsa di un balordo.

Ma quali sono gli elementi nuovi su cui si basa la nuova inchiesta sulla strage?

Tutto parte da due semplici indizi, noti da tempo alle autorità giudiziarie bolognesi, ma ostentatamente ignorati fino ad ora: il 2 agosto 1980, giorno della strage, a Bologna c’era Thomas Kram, un tedesco appartenente all’organizzazione terroristica di Ilich Ramirez Sanchez, meglio noto come Carlos, vicino anche alla resistenza palestinese che all’epoca faceva capo all’FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina) di George Habbash.

C’è anche il sospetto che a Bologna ci fosse anche un altro terrorista, Christa Margot Froehlich, anche lei tedesca con gli stessi legami, arrestata nel 1982 all’aroporto di Fiumicino con una valigia piena di esplosivo.

Per capire lo scenario in cui i due terroristi tedeschi si inserirebbero, bisogna svelare un retroscena peraltro noto, ma spesso ingorato. A partire dal 1973, anno del terribile attentato palestinese all’aeroporto romano, con la mediazione diretta dell’uomo del SISMI in Libano, il col. Giovannone, l’Italia aveva stretto una sorta di accordo segreto con la resitenza palestinese che suonava, più o meno così: "Voi la smettete di fare attentati terroristici in Italia e noi vi assicuriamo il libero transito, sul nostro territorio, di tutte le amri che volete".

Le motivazioni che porterebbero all’esplosione di Bologna del 1980 starebbero, secondo la nuova ipotesi d’inchiesta, in questa sintetica cronologia:

7 novembre 1979. Daniele Pifano, Giorgio Baumgartner e Giuseppe Nieri, espoenti dell’autonomia operaia romana (Collettivo di via dei Volsci), vengono arrestati nei pressi del porto di Ortona (Chieti). Sono in possesso di lanciamissili di fabbricazione sovietica.

13 novembre 1979. Viene arrestato a Bologna, il giordano Abu Anzeh Saleh, rappresentante dell'FPLP in Italia, legato al gruppo di Carlos.

2 gennaio 1980. George Habbash, capo dell’FPLP, invia una lettera alle autorità italiane, assumendosi la paternità dell'operazione dei missili di Ortona e chiedendo la scarcerazione di Abu Saleh.

25 gennaio 1980. Il Tribunale di Chieti condanna Pifano, Baumgartner, Nieri e Saleh a sette anni di reclusione per il traffico dei missili.

8 marzo 1980. Il ministero dell'Interno riceve da Bologna un'informativa in cui si segnala la possibilità di azioni di ritorsione da parte dell'FPLP per la condanna di Saleh.

• 11 luglio 1980. Il direttore dell'Ucigos, Gaspare De Francisci, invia una nota al direttore del SISDE, il generale Giulio Grassini, in cui, citando una fonte fiduciaria, segnala possibili azioni di ritorsione contro il nostro Paese da parte dei palestinesi.

2 agosto 1980. Alle 10,25, esplode una bomba nascosta in una valigia lasciata nella sala d'aspetto di 2a classe della stazione centrale di Bologna. I morti sono 85, i feriti più di 200.

19 agosto 1980. Il SISMI suggerisce una matrice neo-fascista della strage, una pista che in seguito sarà corroborata da un palese depistaggio: una valigia piena di armi ed esplosivo, contenete, tra l’altro, indizi che portano ai neofascisti, tra cui proprio Valerio Fioravanti.

28 agosto 1980. La Procura di Bologna emette ordini di cattura contro militanti di estrema destra. Saranno processati e condannati Francesca Mambro e Giusva Fioravanti ed in seguito anche Ciavardini.

Possiamo fermarci qui?

Certamente no. Ma, forse, un primo passo sulla strada della verità che per primi dovrebbero voler percorrere i familiari delle vittime (e lo diciamo con grand comprensione), è stato compiuto.

 

CASO MORO:
LE POLEMICHE SONO STRUMENTALI,
MA PERCHE’ PRODI NON DICE LA VERITA’

Gli attacchi vengono tutti da destra, ma Romano Prodi non fa altro che prestare il fianco. Sarebbe ora che dicesse la verità.

In questa lunga campagna elettorale torna alla ribalta la famosa seduta spiritica in cui, durante i giorni del sequestro Moro, fu, secondo Romano Prodi, un piattino mosso da un medium a localizzare nel nome Gradoli uno dei punti chiave per risolvere il rebus della forzata detenzione del premier democristiano nelle mani delle Brigate Rosse.

Da quasi 30 anni l’escamotage scelto da Prodi per fare arrivare agli inquirenti quel nome, Gradoli, dove poi fu fatta scoprire, dalle stesse Br, una base piena di armi e di documenti, non regge. Oggi se Prodi vuole essere un credibile premier dell’Italia che verrà deve dire la verità e non continuare a trattare da deficenti i suoi elettori.

La famosa quanto ridicola seduta spiritica si svolse il 2 aprile 1978. In quella seduta - così riferì lo stesso Prodi - uscì fuori la parola "Gradoli" ad indicare il luogo dove Aldo Moro sarebbe stato tenuto prigioniero. Sono trascorsi 17 giorni dal rapimento di Moro a via Fani. Prodi si trova nella casa di Alberto Clò, alle porte di Bologna. C’è una comitiva di 17 persone, cinque sono bambini. Tra i dodici adulti, tre sono destinati a fare i ministri: Romano Prodi, Mario Baldassarri e lo stesso Alberto Clò. È Clò a proporre il gioco del piattino: disegnate le lettere dell’alfabeto, messo il dito nel piattino, invocati gli spiriti di Alcide De Gasperi e Luigi Sturzo, il piattino si muove sulle lettere e compone tre parole di senso compiuto: Viterbo, Bolsena, Gradoli.

Il fratello di Clò trova una mappa stradale e nota che vicino Viterbo c’è una località chiamata Gradoli. Il 4 aprile 1978 riferisce la vicenda ai collaboratori del ministro dell’Interno, Francesco Cossiga. Che manda a perquisire una "casa con cantina" perché lo spiritello saputello aveva indicato anche questo particolare. La storia ci racconta che a via Gradoli, a Roma, c’era un covo delle Brigate Rosse.

Dal momento che la seduta spiritca è assolutamente farsesca, Prodi - come ha suggerito il giornalista Adinolfi, del quotidnao Europa, vicino al cntro-sinistra, dovrebbe rispondere a tre domande:

  1. Furono ambienti dell’Autonomia operaia bolognese a far arrivare l’informazione agli spiritelli?
  2. Se faccio il nome di Franco Piperno, Le viene in mente niente?
  3. Alla cosiddetta seduta spiritica del 2 aprile 1978 partecipò o no Beniamino Andreatta. Se pure non partecipò, fu lui a consigliare l’atteggiamento da tenere rispetto all’informazione ottenuta?

Gli inquirenti non hanno mai creduto alla versione del Professore e non la considerò credibile neppure Leonardo Sciascia.

Il 10 giugno dell'82, nel corso della seconda audizione davanti alla commissione d'inchiesta, lo scrittore siciliano, allora parlamentare radicale, chiese al Professore: "Chi ha deciso di comunicare all'esterno il risultato della seduta?". "L'ho fatto io - rispose Prodi - perché ero l'unico che conoscesse qualcuno a Roma. Ho parlato a tutti: ad Andreatta e altri".

E Sciascia di rimando: "Lei ha mai conosciuto nessuno accusato o indiziato di terrorismo?". Prodi rispose: "No".

Nessuno gli credette.

 

ATTENTATO AL PAPA:
RISPUNTA ANTONOV

Quell'uomo con gli occhiali, a pochi metri dalla Fiat Campagnola scoperta dove è adagiato Giovanni Paolo II, pochi attimi dopo che il pontefice è stato colpito dalle pallottole sparate da Alì Agca, è Sergej Antonov, caposcalo della compagnia aerea bulgara a Roma, indicato in un primo tempo dallo stesso attentatore come suo complice.

La foto che lo ritrae il 13 maggio dell'81 è stata sottoposta per la prima volta a perizia topognomostica. Al 99,99 per cento la persona ritratta é Antonov. Sarebbe questa la conferma defintiva della pista bulgara che porta diritta al Kgb.

La scoperta, tutta da verificare sotto il profilo giudiziario, fatta dalla commissione parlamentare Mitrokhin, apre comunque un nuovo scenario. Occorrerà adesso risalire alle prime indagini, quelle che precedettero la ritrattazione di Alì Agca, proprio l’uomo che aveva con le sue dichiarazioni aperto la pista bulgara per l’attentato al papa.

Era stato il sostituto procuratore di Roma Ilario Martella ad indagare sulla presenza di Antonov in piazza, interrogando anche i suoi familiari. La suocera, per giustificare la presenza del genero in piazza San Pietro, disse che Antonov vi si era recato perché lei gli aveva detto dell’attentato, dopo che la televisione italiana ne aveva dato notizia. Una versione che non regge: Antonov, infatti, come si vede nella foto, è a pochi metri dall’auto e pochissimi secondi dopo che Agca ha sparato.

Anche la testimonianza resa all'epoca da un importante alto dirigente dell’Ucigos sarebbe falsa. Ascoltato da Martella, il poliziotto gli riferì che erano state fatte tutte le perizie sulle foto e sulle persone ritratte attorno al papa prima, durante e dopo l’attentato e che "quel signore con gli occhiali era un turista americano". Qualche tempo dopo Martella scoprì che nessuna perizia era stata fatta sulle foto, né tantomeno su quella che ritrae Antonov.

Il processo contro i bulgari si concluse nel marzo del 1985: furono tutti assolti per insufficienza di prove. E ciò, soprattutto, perché Agca, dopo una prima fase collaborativa, aveva incominciato a fare il matto.

Nel dicembre dell'83, come egli stesso raccontò al giudice Ferdinando Imposimato, fu minacciato nel carcere di Rebibbia dove era sorvegliato giorno e notte. Era accaduto, infatti, che il governo italiano e il ministro della Giustizia dell'epoca, Mino Martinazzoli, avevano dato parere favorevole - contro ogni consuetudine dell'epoca - a una rogatoria chiesta dalle autorità del regime comunista bulgaro. Una rogatoria in relazione a un procedimento giudiziario aperto dalle autorità di quel paese contro lo stesso killer accusato di calunnia. Arrivarono per interrogarlo in Italia un magistrato bulgaro, Jordan Ormankov, con il suo interprete, Markov Petrov. Costoro altri non erano che agenti dei servizi segreti bulgari. Agca raccontò che lo avevano minacciato. Fatto sta che da allora cominciarono i suoi depistaggi, fatti di racconti e di visioni che nulla avevano a che fare con quello che già aveva raccontato.

Fonte: www.ilvelino.it

 

TERRORISMO ITALIANO:
PER IL GIUDICE LUPACCHINI
LE BR NON ANCORA SCONFITTE

Le Brigate Rosse "non sono state sconfitte del tutto. Malgrado siano state disarticolate nei suoi esponenti operativi, ci sono elementi investigativi e giudiziari che fanno ritenere che siano ancora in attività personaggi non individuati che coltiverebbero l'idea di un risorgimento terrorista".

Lo sostiene in un’intervista all’ADNKRONOS Otello Lupacchini, magistrato da sempre impegnato sui fronti della criminalità organizzata e del terrorismo. Lupacchini, autore del libro Il ritorno delle Brigate Rosse - una sanguinosa illusione (Koinè nuove edizioni), nei prossimi giorni in libreria, sostiene che "non bisogna perdere di vista il fenomeno del terrorismo interno, come accadde alla fine degli anni '80 quando si pensò di aver vinto definitivamente la battaglia dello Stato contro il terrorismo e poi ci si risvegliò con le Br nuovamente in casa ed in grado di portare a termine azioni sanguinose".

Lupacchini è consapevole che "il terrorismo internazionale è un pericolo reale, concreto, oggettivo", ma fa notare anche che "il terrorismo interno ha sempre avuto una sua prospettiva e una proiezione sul piano internazionale, vagheggiando possibili aggregazioni all'estero in chiave antimperialista". Ecco perché "nei confronti del terrorismo occorre mantenere un approccio unitario, per comprendere più efficacemente il fenomeno ed evitare pericolose sottovalutazioni".

Secondo Lupacchini "non è affatto vero" che le Brigate Rosse per la Costruzione del Partito Comunista Combattente siano, "come vorrebbe far credere la brigatista Cinzia Banelli, un'organizzazione terroristica ormai completamente distrutta e che fuori siano rimasti solo uno o due militanti". Le vecchie e le nuove Br, poi, si pongono per Lupacchini "in linea di assoluta continuità", come dimostra "la comparazione fra i contenuti del documento veicolante la rivendicazione dell'attentato ai danni del professor Massimo D'Antona, condotta anche alla luce delle vicissitudini ideologiche che caratterizzano la storia delle Brigate Rosse e quelli di altre elaborazioni sicuramente riconducibili a gruppi terroristici di matrice marxista-leninista".

Negli anni che vanno dall'attentato al professor Roberto Ruffilli (1988) all'omicidio del professor Massimo D'Antona (1999) "il terrorismo, al di là delle apparenze, non subì certamente una drastica battuta d'arresto: specialmente intorno alla metà degli anni Novanta sono stati attuati molteplici attentati, magari a bassa intensità".

 

PANTANO IRAQ:
2.127 LE PERDITE MILITARI USA

Sono almeno 2.127 gli effettivi dell'esercito americano rimasti uccisi dall'inizio della guerra in Iraq, nell'aprile del 2003.

In assenza di dati ufficiali aggiornati dal Pentagono, la stima è stata fornita da calcoli eseguiti dall'agenzia di stampa Associated Press.

 

PANTANO IRAQ (2):
BULGARIA E UCRAINA FANNO I BAGAGLI

Gli Stati Uniti stanno facendo i conti con l'impatto di possibili defezioni nei prossimi mesi di alleati presenti in Iraq con contingenti militari, che s'apprestano a ritirare, in tutto o in parte, entro dicembre o all'inizio del 2006, le loro truppe.

Bulgaria ed Ucraina hanno già deciso e annunciato di volere riportare a casa, entro dicembre, i loro uomini che sono 1.250 complessivamente (rispettivamente 380, che verranno via a metà mese, e 876, che partiranno a fine anno).

Altri Paesi della coalizione, come Gran Bretagna, Australia, Polonia, Giappone e Corea del Sud, oltre che l'Italia, stanno valutando se, come e quando ridurre i loro contingenti, o darne per conclusa la missione.

A Washington, in particolare al Pentagono, ci si interroga sull'impatto delle mosse degli alleati, che potrebbero, in un'ipotesi neppure estrema, dimezzare la presenza militare alleata in Iraq di qui alla metà del 2006.

Attualmente, gli Stati Uniti hanno nel Paese quasi 160 mila uomini e i loro alleati poco più di 20 mila provenienti da 27 Paesi.

 

PANTANO IRAQ (3):
POSSIBILE INCRIMINAZIONE GENERALE
PER MORTE SOLDATO BRITANNICO

Secondo quanto riferisce il Sunday Time, la Polizia metropolitana di Londra avrebbe interrogato il generale Peter Wall in relazione alla morte, nel 2003, del sergente Steven Roberts. Il soldato, 33 anni, prestava servizio nel Secondo Reggimento carri armati e venne ucciso da un colpo d'arma da fuoco al petto il 24 marzo 2003. Nello stesso incidente morì anche un iracheno.

La morte di Roberts sollevò un vespaio quando si venne a sapere che al soldato era stato ordinato di riconsegnare il suo giubbotto antiproiettile perché non ve ne erano a sufficienza. Le successive perizie hanno dimostrato che se l'uomo avvesse indossato il giubbotto, questo gli avrebbe salvato la vita.

Sul caso hanno indagato inizialmente le autorità militare che non arrivarono alla formulazione di alcuna incriminazione.

 

MAFIA:
VERSO LA CONCLUSIONE
PROCESSO A MORI E "ULTIMO"

Il processo al direttore del Sisde, Mario Mori, e al tenente colonnello dei carabinieri, Sergio De Caprio, meglio conosciuto come "capitano Ultimo" si avvia verso la conclusione.

Entrambi sono accusati di favoreggiamento nei confronti di Cosa nostra per aver ritardato la perquisizione alla villa in cui aveva vissuto da latitante Totò Riina fino al

giorno del suo arresto, e per non aver comunicato alla procura di aver cessato il controllo al residence di via Bernini.

La prossima udienza si terrà il 10 dicembre per l'esame dei "pentiti" Salvatore Cancemi e Giuseppe Guglielmini che avverrà nell'aula bunker di Rebibbia a Roma.

Con questi testi la difesa avrebbe concluso la propria lista e con molta probabilità il 19 dicembre ci potrebbe essere in aula l'esame degli imputati e alla fine i giudici potrebbero dichiarare chiuso il dibattimento.

 

LOTTA ALLA MAFIA:
16 MAGISTRATI IN CORSA
PER LA PROCURA DI PALERMO

La corsa alla successione di Pietro Grasso (nominato ai vertice della Direzione nazionale antimafia) a procuratore capo di Palermo è ormai alle battute finali.

Sono sedici i magistrati in lizza.

Ad aprire la lista c’è Libero Mancuso, presidente della Corte d’assise di Bologna, noto soprattutto per aver condotto l’istruttoria e sostenuto l’accusa in uno dei processi più sbagliati della storia giudiziaria italiana, quello per la strage alla stazione di Bologna. Seguono Rosario Minna, procuratore aggiunto di Firenze; Francesco Bua, sostituto procuratore generale di Catania; Silvio Sciuto, procuratore di Marsala e Giuseppe Mazzotta, procuratore di Lamezia Terme.

A questi vanno aggiunti tre dei quattro procuratori aggiunti di Grasso: Giuseppe Pignatone, attualmente reggente della procura; Guido Lo Forte, che già aveva provato la corsa a procuratore per prendere il posto di Giancarlo Caselli, ma fu battuto proprio da Grasso e Sergio Lari, l’unico che darebbe continuità alla gestione di Grasso.

Hanno presentato la loro canidatura anche il procuratore di Messina, Luigi Croce, allo stato fuori gioco per età (ha 67 anni e non potrebbe garantire 4 anni nel nuovo incarico). Croce, che al Csm potrebbe contare su un ampio sostegno, potrebbe rientrare in gioco solo se venisse spostata in avanti anni l'età pensionabile dei magistrati. Ma un emendamento alla Finanziaria di Forza Italia, che prevedeva l'innalzamento da 70 a 72 anni, è stato dichiarato nei giorni scorsi inammissibile.

E ancora: il procuratore di Caltanissetta, Francesco Messineo; il suo aggiunto, Renato Di Natale; l'aggiunto della procura di Catania, Renato Papa e il sostituto pg di Palermo, Antonino Gatto.

Gli altri concorrenti sono Giovanni Francesco Izzo, procuratore a Cassino; Nicola Maria Pace, procuratore a Trieste; Nicola Magrone, procuratore a Larino.

 

STRAGI DEL ’93:
LIBERTA’ CONDIZIONATA PER FRABETTI

Il magistrato di sorveglianza ha disposto la sospensione condizionata della pena al romano Aldo Frabetti, 70 anni, che nel carcere di Spoleto sta terminando di scontare una condanna a 11 anni e dieci mesi di reclusione per gli attentati compiuti a Roma, Firenze e Milano nella primavera-estate del 1993.

Lo ha reso noto il suo difensore, l'avvocato Vittorio Trupiano.

Il legale aveva chiesto la sospensione della pena viste le "drammatiche condizioni di salute" del suo assistito. Frabetti, che si è sempre proclamato estraneo alle accuse per le quali era stato condannato, il 1° novembre aveva cominciato uno sciopero della fame per chiedere di essere assegnato alla sezione detenuti comuni.

Il magistrato di sorveglianza gli ha imposto comunque alcuni obblighi. Come quello di risiedere a Roma nell'abitazione di famiglia e di presentarsi ogni giorno in commissariato.

Frabetti ha già scontato otto anni e tre mesi di reclusione. Il suo fine pena è fissato al 7 agosto del 2007.

 

STRAGE DI USTICA:
NEL PROCESSO D’APPELLO
CHIESTE CONDANNE GENERALI AERONAUTICA

La procura generale ha chiesto alla corte d’Appello di Roma la condanna a sei anni e nove mesi di reclusione (di cui quattro anni condonati) dei generali dell’Aeronautica,  Lamberto Bartolucci e Franco Ferri, entrambi accusati di attentato agli organi costituzionali e di alto tradimento in relazione alla strage del Dc 9 dell'Itavia del 27 giugno 1980 in cui persero la vita 81 persone.

Bartolucci e Ferri, oggi ottantenni, sono accusati di aver omesso di comunicare al Governo notizie sul disastro aereo, in particolare, l’analisi del tracciato radar Marconi (che parlava della probabile presenza di aerei non identificati nei pressi del Dc 9) e del contenuto di una nota nella quale si faceva riferimento al possibile ruolo di altri aerei nel disastro. Per queste due ipotesi, in primo grado, il 30 aprile 2004, dopo tre anni di processo, fu disposta la prescrizione. Furono invece assolti, al pari di altri due colleghi, Zeno Tascio e Corrado Melillo, da altre ipotesi di omissione.

Secondo i Pg, tale condotta "non può essere configurata sotto il lieve profilo del turbamento", ma sotto quello più grave dell’impedimento perché non consentì al Governo "di avere un quadro più complesso della vicenda rispetto alle iniziali ipotesi di cedimento strutturale e della bomba".

"Alle autorità - è questa la tesi dell’accusa - fu impedito in maniera irrimediabile di conoscere ipotesi alternative e di attivarsi con altri paesi per acquisire quelle informazioni che avrebbero consentito di fare luce sul disastro".

Per questo motivo i Pg hanno definito "contraddittoria ed illogica" la ricostruzione fatta dalla Corte di Assise di primo grado secondo la quale "quelle omissioni, che pure finirono per orientare nel senso voluto dall’Aeronautica le indagini su Ustica, non preclusero gli interventi di competenza del Governo e non possono essere qualificate come impedimento dell’attività politica, ma bensì come turbamento".

Il processo, che si svolge davanti alla corte presieduta da Antonio Cappiello, ha preso spunto dall’impugnazione della procura e della procura generale e riguarda anche la parte di sentenza che ha assolto i due stessi generali per non aver riferito che erano state attivate ricerche relative all’eventuale presenza di aerei Usa nella zona del disastro.

La sentenza è prevista per il 15 dicembre prossimo.

 

MOSTRO FIRENZE:
IL GUAZZABUGLIO INVESTIGATIVO CONTINUA

La mostruosa inchiesta della procura fiorentina sugli omicidi del mostro di Firenze è ora formalmente collegata con quella sulla morte del medico Francesco Narducci su cui indaga quella di Perugia.

Secondo quest’ultima procura, Narducci sarebbe venuto a conoscenza dei segreti della setta che ordinava ai "compagni di merende" Pacciani, Vanni e Lotti le uccisioni delle coppiette in Toscana.

Quindi, come è possibile notare, l’inquietante guazzabuglio investigativo continua imperterrito.

L'avvocato Pietro Fioravanti, già legale di Pietro Pacciani, sarà nuovamente sentito nell’incidente probatorio disposto dal gip di Perugia nell'ambito dell'inchiesta sui presunti depistaggi legati all'inchiesta per omicidio condotta dalla procura perugina sulla morte del medico Francesco Narducci.

Lo ha deciso lo stesso giudice, Marina De Robertis, accogliendo una richiesta dei legali di alcuni degli indagati.

Il gip ha anche stabilito che vengano acquisiti alcuni scritti attribuiti allo stesso Pacciani.

L'avvocato Fioravanti era stato a lungo sentito il 25 novembre scorso e verrà riascoltato nella prossime udienze dell'incidente probatorio. La sua deposizione si era incentrata sul memoriale scritto dal contadino di Mercatale tra il 1993 e il '95 in carcere e sui riferimenti da questo fatti alla vicenda di Narducci.

In particolare, l'avvocato ricordava come Pacciani lo invitasse a fare indagini sulla morte di Narducci, una morte che, secondo il contandino di Mercatale, andava chiarita perché ciò sarebbe andato a suo vantaggio. Con riferimento a Narducci, Pacciani affermava che gli era stata messa una pietra al collo per ucciderlo e che il giovane medico, il giorno in cui sparì nel lago Trasimeno, aveva un gommone a motore con poca benzina appena sufficiente all'andata e non anche al ritorno.

Seecondo  Fioravanti, Pacciani indicava Narducci come inserito nell'ambiente del quale faceva parte anche Francesco Calamandrei, l'ex farmacista di San Casciano, già indagato dalla procura di Firenze come mandante dei delitti del mostro di Firenze e ora raggiunto da un'informazione di garanzia della procura di Perugia. Il professionista sessantunenne viene sospettato di aver ordinato a esecutori ancora ignoti il presunto omicidio del medico perugino.

Intanto il Gip di Perugia ha ascoltato altri due testimoni: Ezio Moretti e la moglie, Teresa Miriano, amici della famiglia Narducci. La donna, in particolare, riferì di essersi recata alla villa dei Narducci per una visita di condoglianze e una volta avvicinatasi alla bara di Francesco Narducci aveva notato in lui una "espressione serena, con il volto di sempre senza alcun segno di violenza". Le era apparso talmente sereno da apparire truccato.

Il pm Giuliano Mignini ipotizza che in occasione del recupero del suo corpo nel lago Trasimeno, il 13 ottobre 1985, le indagini siano state depistate per non far pensare a un omicidio. Numerosi gli indagati in questo filone d'inchiesta.

La famiglia Narducci ha comunque sempre respinto qualsiasi ipotesi di collegamento tra il gastroenterologo e le vicende toscane, sostenendo che il loro congiunto sia morto per un incidente o suicida.

 

ASSASSINIO HARIRI:
BEIRUT CHIEDE PROLUNGAMENTO INCHIESTA ONU
SU ATTENTATO

Il primo ministro libanese Fuad Saniora ha chiesto al segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, che l'inchiesta Onu sull'assassinio dell'ex premier libanese Rafik Hariri venga prolungata di altri sei mesi. Il mandato della commissione, infatti, scade il 15 dicembre prossimo.

Hariri rimase ucciso, assieme ad altre 20 persone, nell'esplosione di un camion bomba, il 14 febbraio scorso a Beirut, capitale del Libano.

La commissione Onu, nelle sue prime conclusioni, ha denunciato la complicità di alte sfere siriane e libanesi nell'omicidio e il responsabile della commissione, Detlev Mehlis, ha accusato la Siria di intralciare i lavori della sua squadra.

Non è noto come il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite risponderà alla domanda del governo di Beirut, ma Ibrahim Gambiri, il sottosegretario agli affari politici, aveva detto che sono necessarie ulteriori indagini perché alcuni testimoni non sono ancora stati interrogati.

Saniora avrebbe anche riferito ad Annan dell'intenzione di Mehlis di dimettersi dall'incarico, una volta scaduto il suo mandato a metà dicembre. Il segretario dell'Onu avrebbe assicurato a Saniora di fare il possibile per convincere Mehlis a rimanere alla guida della commissione.

 

ASSASSINIO HARIRI (2):
TESTIMONE: "SONO STATO CORROTTO
PER ACCUSARE LA SIRIA"

Husam Taher Husam, ex militare dell'esercito siriano, ha rivelato in un'intervista rilasciata alla televisione di Stato di Damasco di aver ricevuto del denaro per accusare alti funzionari del governo siriano negli interrogatori resi alla Commissione di inchiesta indipendente delle Nazioni Unite sull'omicidio del premier libanese Rafik Hariri.

A offrire una bustarella di 1,3 milioni di dollari sarebbe stato Saad Hariri, figlio dell’ex premier ucciso il 14 febbraio scorso nella strage di Beirut. Se, come afferma un portavoce della commissione d'inchiesta creata dalla magistratura siriana, Husam è il "testimone chiave" citato dal rapporto dell'Onu, allora "l'intero castello accusatorio è crollato".

Husam ha anche rivelato di avere ricevuto istruzioni da parte di  alcuni funzionari dell'Onu di affermare di essere stato "molto vicino" al responsabile dei servizi segreti siriani, il generale Assef Shawkat, ma di non "averlo mai visto in vita sua".

Il rapporto Mehlis cita i servizi segreti di Beirut e Damasco come responsabili dell'omicidio, e - pur nella presunzione di innocenza che ha portato all'eliminazione di alcuni nomi dalla versione finale - lascia capire che l'autorizzazione a portare a termine la strage, nella quale con Hariri morirono altre 20 persone, sarebbe venuta dai vertici del governo siriano.

La Siria respinge le conclusioni del documento, ritenute politicamente motivate, ma si è impegnata a cooperare con l'Onu e con la magistratura libanese mediante la creazione di una propria Commissone d'inchiesta.

 

TERRORISMO INTERNAZIONALE (2):
PER SITO ISRAELE
BIN LADEN SEMPRE AI COMANDI DI AL QAIDA

Osama Bin Laden è tornato in Afghanistan e da lì dirige di nuovo personalmente le operazioni mondiali di Al Qaida, la rete integralista del terrore della Jihad Globale: lo afferma il sito di intelligence Debka, vicino al Mossad israeliano.

Il sito, che precisa di avere ricevuto informazioni da fonti dell'antiterrorismo e dell'intelligence occidentali, pubblica un lungo rapporto sul materiale raccolto nelle ultime settimane su Al Qaida, grazie all'arresto e agli interrogatori di numerosi comandanti locali dell'organizzazione terroristica.

Stando a Debka, oltre 50 senior operative - responsabili di un certo livello dell'organizzazione - sono stati arrestati in novembre in diversi paesi. Sette reti locali della nebulosa di Al Qaida, afferma, sono state seriamente colpite in Belgio - dove é stato arrestato l'emiro per l'Europa, Khaled Abu Basir - Marocco, Spagna, Francia, Danimarca, Olanda e Turchia. Altri arresti sono stati compiuti in Tunisia, Regno Unito, Algeria e Siria. Non tutti gli arresti, stando a Debka, sono stati resi noti.

Uno dei dati più sorprendenti così raccolti, stando a Debka, è quello del ritorno di Osama Bin Laden al comando delle operazioni internazionali. Lo sceicco sarebbe tornato in Afghanistan, dove avrebbe riaperto campi di addestramento, e non si nasconderebbe più sulle montagne alla frontiera fra Pakistan e Afghanistan, come riteneva l'intelligence Usa. Dal suo nuovo covo Bin Laden invia ordini a tutti i comandanti locali attraverso "un esercito di corrieri", che spesso transitano da Istanbul, o con messaggi cifrati su internet.

Tutti i comandanti di al Qaida, compreso Abu Musab al-Zarqawi, capo della rete terroristica in Iraq, gli sono subordinati e agiscono secondo i suoi ordini, afferma Debka. Sotto il suo comando al Qaida continua a espandersi come "una organizzazione dinamica". Stando alle dichiarazioni dei detenuti, nell'ultimo anno sono stati creati tre nuovi comandi regionali: al Qaida Palestina, al Qaida Maghreb e al Qaida Levante.

Secondo Debka, sono Istanbul e Bruxelles le città che oggi hanno l'importanza maggiore per le operazioni europee di al Qaida: la capitale belga quale centro di pianificazione delle operazioni per l'Europa occidentale e il Marocco, e la metropoli turca quale snodo strategico per le comunicazioni e la distribuzione dei fondi.

 

TERRORISMO INTERNAZIONALE (3):
PER IL SISDE E’ CRESCENTE
LA PENETRAZIONE DEL RADICALISMO ISLAMICO IN ALBANIA

La minaccia fondamentalista si radica sull'altra sponda dell'Adriatico, a due passi dall'Italia. E'  il SISDE, il servizio segreto civile, a sottolineare la "crescente penetrazione del radicalismo islamico" in Albania, dove "nell'ultimo decennio si sono progressivamente insediate numerose organizzazioni non governative, finanziate dai Paesi arabi, con lo scopo di assistere le locali popolazioni di fede musulmana. Alcune di queste fondazioni, ufficialmente impegnate in attività umanitarie (assistenza sanitaria, istruzione) sono sospettate di utilizzare le proprie strutture per fornire supporto logistico a formazioni integraliste islamiche".

Nel nord del Paese ed in Kosovo - dove nel 1999 la NATO ha condotto una guerra anti serba, allenandosi di fatto con l’UCK, una delle massime espressioni del traffico internazionale della droga - "sarebbero stati rilevati campi di addestramento, ove verrebbero indottrinati integralisti islamici albanesi, libici, turchi ed algerini". In questo quadro, è considerato "di rilievo" dall'intelligence italiana la recente costituzione "di un nuovo gruppo integralista islamico denominato Al Jihad Al Djadid, verosimilmente collegato ad Al Qaeda, composto, prevalentemente, da cittadini di etnia yemenita, afghana, marocchina, giordana, azera e malese".

Il sodalizio, "che avrebbe ramificazioni anche in Grecia", potrebbe aver "instaurato rapporti di collaborazione con organizzazioni criminali, anche al fine di utilizzare le rotte già sperimentate nel traffico di clandestini per il trasferimento dei militanti".

In Italia, "nel circuito di centri di culto islamici in rapida crescita sul nostro territorio" (dai 127 del 1996 ai 563 del 2004), il SISDE rileva "come elemento di novità il progressivo inserimento di cittadini kosovari, macedoni ed albanesi, in alcuni casi in posizione qualificata".

La "pervasiva opera delle Ong", che punta per il SISDE a "incidere in modo strategico" nelle aree sociali dell'educazione e della cultura, "sembra orientata a creare rapidamente le condizioni migliori per una maggiore adesione all'Islam più osservante, peraltro ponendo quali catalizzatori religiosi quelli più integralisti".

Fenomeno, questo, che si evince "anche dal superamento della leadership moderata nei centri nodali albanesi a favore di gruppi allineati alle posizioni arabe aggressive", oltre che "dal tentativo di strutturare partiti confessionali che però trova un rigido ostacolo nell'attuale divieto istituzionale".

Per il servizio segreto civile sono due i "principali fattori di rischio" derivanti dall'analisi della situazione albanese: sotto il profilo della criminalità organizzata, "il network albanese può supplire a momentanee defaillances delle mafie nazionali, assicurando la continuità transnazionale degli affari illeciti (di cui l'Italia non è più epicentro, sebbene costituisca una parte rilevante)".

Dal punto di vista della possibile minaccia terroristica,  "l'islamizzazione indotta in Albania, che si attesta su profili più aggressivi ed integralisti (finanziamento delle Ong saudite, schiacciante competitività sulle altre religioni nei settori dell'istruzione e dell'economia, leadership dei salafiti ai danni dei sufi) potrebbe trasferire nel prossimo futuro in Italia interessi più marcatamente fondamentalisti".

Per quanto riguarda l'attività illecita dei clan nel Paese delle Aquile, "lo scenario albanese è caratterizzato da differenziati piani criminali che nel loro complesso esprimono una delle più elevate capacità criminogene a livello internazionale".

Coesistono infatti, "in rapporto di stretto mutualismo", organizzazioni mafiose, bande criminali ed altre aggregazioni occasionali.

"Nonostante l’immagine agiografica di una criminalità rurale, violenta e primitiva offerta da alcuni osservatori la devianza albanese appare invece evoluta,  efficiente ed efficace tanto da acquisire ruoli primari nelle strategie globali del crimine".

In particolare, nel business criminale della droga "gli albanesi hanno dimostrato una particolare versatilità, riuscendo in un decennio ad acquisire una elevata competitività sia nel traffico sia nella gestione dei relativi mercati". I clan albanesi "controllano i flussi di eroina della Turchia ed alimentano i fiorenti mercati dell'Europa centrale e meridionale", oltre a gestire "in molti Paesi europei (tra cui soprattutto l'Italia, l'Olanda, la Germania, l'Austria, la Francia e la Spagna) il traffico e lo spaccio locale di eroina, spesso occupandosi anche di cocaina sia autonomamente, sia per conto delle organizzazioni autoctone".

I clan albanesi hanno poi "un'ampia disponibilità di armi che trafficano verso l'Europa occidentale ed anche in Italia. Ciò deriva - spiega il SISDE - dal prelievo di materiale bellico dai depositi militari effettuato negli anni '90, dal collegamento con analoghe strutture balcaniche e dalla vulnerabilità degli attuali sistemi di controllo albanesi".

La situazione albanese, "ancor oggi caratterizzata da una profonda instabilità politica e socio-economica, nonostante i tentativi istituzionali di affermare un'immagine innovata ed aderente agli standard di democrazia moderna, ha purtroppo favorito - prosegue il SISDE - l'evoluzione del crimine organizzato e la migrazione pervasiva di strutture ed interessi di tipo mafioso in tutto l'Occidente".

"La posizione strategica dell'Albania all'interno dei flussi illegali balcanici, nell'ambito dello scenario sud-balcanico fortemente destabilizzato dalla cruenta dissoluzione della Jugoslavia e dalla rivendicazione delle frammentate matrici etniche non completamente risolte e foriere di tensioni tuttora innescate ha reso il Paese crocevia dei traffici transnazionali, conferendo ai più strutturati gruppi albanesi inedite funzioni  nodali".

A quanto risulta da "convergenti acquisizioni informative", il riciclaggio da parte delle organizzazioni criminali albanesi degli "enormi profitti derivanti principalmente dal traffico di droga, dallo sfruttamento della prostituzione e  dalla tratta di esseri umani" riguarda "sempre più speculazioni edilizie e turistico-alberghiere in Albania".

In definitiva, per l'intelligence italiana "la criminalità albanese costituisce una minaccia prioritaria per l'Italia", anche se "molti osservatori sul campo rilevano una presenza meno strategica e più pervasivamente tattica degli attori albanesi in Italia".

La conclusione del SISDE solleva un argomento di riflessione indirizzato a chi, con molto semplicismo, mira a trasformare il Kosovo, oggi ancora provincia serba sotto protettorato internazionale, in uno Stato autonomo. L'Albania e il Kosovo – scrive infatti il SISDE - assumono "uno stigma di enclave criminogeno extracomunitario che potrebbe concentrare sempre più i vettori illeciti diretti differentemente sui confini nazionali europei. Ciò comporterebbe l'elevazione del livello macro-criminale albanese attraverso qualificate saldature con le lobbies mafiose internazionali, tra cui quelle italiane".

Fonte: Adnkronos

 

TERRORISMO INTERNAZIONALE (4):
IN BOSNIA E KOSOVO
FOCOLAIO INTEGRALISMO ISLAMICO

Una conferma dell’analisi del SISDE viene da Washington. Gli esperti di Le Cercle, l’esclusivo club della ultradestra conservatrice internazionale, ritengono che sia nei Balcani, specie in Bosnia e nel Kosovo, che si annidi il rischio d'un focolaio di terrorismo integralista islamico europeo.

Fra gli intervenuti alla riunione c'erano il rappresentante degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, l’ambasciatore John Bolton, l'ex vice-direttore e brevemente direttore ad interim della Cia, John E. McLaughlin, esponenti, oltre che delle forze politiche e delle correnti culturali conservatrici occidentali, di Russia e Mondo arabo.

 

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