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Sono 838 i gruppi fondamentalisti che operano in tutto il mondo. Il dato emerge da una ricerca del Mipt terrorism knowledge database, una struttura del Dipartimento della sicurezza interna degli USA.
Dal punto di vista geografico le formazioni di guerriglieri più numerose operano in Europa occidentale (239), mentre i gruppi in Medio Oriente sono 145. A seguire c’è l’Asia del sud (117), l’America Latina e i Caraibi (94), l’Africa (92) ed il Nord America (52). Chiudono l’Europa dell’Est, il sud est dell’Asia e l’Oceania con 40 formazioni. Fanalino di coda - contro ogni aspattativa - l’Asia centrale e dell’est con 19 organizzazioni di fondamentalisti.
Per quanto riguarda gli obiettivi preferiti dai terroristi (23.680 attentati dal primo gennaio del 1968 a oggi), in cima alla lista sono i privati cittadini e le loro proprietà (4.124 attacchi). Al secondo posto si collocano gli edifici del governo (3.526). Al terzo, gli attentati contro simboli dell’economia (3.326). Sono stati dieci gli attacchi contro impianti idrici o di produzione del cibo. In coda alla lista si collocano le proteste, sfociate in azioni violente, contro l’aborto (cinque), a fronte di 698 attacchi per motivi ignoti. In mezzo alla lista ci sono gli attentati contro sedi diplomatiche (2.635), le forze di polizia (1.763), i trasporti (942), le figure e le istituzioni religiose (811), i militari (807), gli aeroporti e le linee aeree (805) e i media, in particolare i giornalisti (502).
Per quanto riguarda la metodologia di attacco, al primo posto ci sono gli attacchi con esplosivo (13.884). Sono ancora molto utilizzate le azioni da parte di terroristi armati (4.438). Gli omicidi mirati sono al terzo posto (2.209), subito seguiti dai rapimenti (1.728). Ma i terroristi utilizzano anche altre tecniche per portare i loro attacchi, come gli incendi (888), i dirottamenti (233), le azioni con ostaggi (205). Invece gli attentati portati con armi non convenzionali sono stati 55 e 278 quelli in cui non è stato possibile riconoscere la metodologia adottata.
Indipendentemente dalle caratteristiche del terrorismo islamico, il Mipt terrorism knowledge database ha stilato anche la classifica delle organizzazioni terroristiche, in base alle azioni compiute: la formazione più attiva è Hamas, con 532 attacchi confermati. Poi ci sono le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (469); a seguire gli indipendentisti baschi (399), il Partito comunista maoista nepalese (288), il National liberation army colombiano (282), al Fatah (215), le formazioni cubane anti Castro (213). Gli attacchi confermati dei seguaci di al Qaeda e al Zarkawi sono stati 177, mentre quelli portati dagli Hezbollah 176. I talebani, invece, hanno colpito 167 volte; lo Shining Path 136; il Flnc corso 119; il Fronte popolare di liberazione palestinese 113 e i Tupac Amaru 105 volte. Spaventosa la mole degli attacchi di cui non si conosce la mano, in tutto sono 13.836.
Il Pentagono non ha più il controllo sui costi delle operazioni militari in Iraq e in Afghanistan e per il Congresso diventa sempre piu' difficile esercitare il proprio controllo sul finanziamento della guerra. L'allarme è del Government Accountability Office (Gao), l'organo investigativo del Congresso.Il ministero della Difesa ha reso noto di aver speso 191 miliardi di dollari per la lotta al terrorismo dall'11 settembre 2001 al maggio 2005. Secondo un rapporto del Gao, però, negli ultimi tempi il controllo sulle spese é diventato sempre più complesso.“Né il Pentagono, né il Congresso - afferma il rapporto - possono sapere in modo affidabile quanto stia costando la guerra e dettagliare come vengono spesi i fondi”.
Al 20 settembre scroso il totale delle perdite militari americane in Iraq ha superato le 1.900 unità. Il dato, comunicato ufficialmente dal Pentagono, parla anche di 234 soldati USA caduti in Afghanistan.Nei 14 mesi e mezzo trascorsi dal passaggio dei poteri dalle forze d'occupazione americane e alleate a un governo iracheno provvisorio, gli Stati Uniti hanno perso ben oltre mille uomini in Iraq (almeno 1.061): oltre due al giorno, una media nettamente superiore a quella dei 15 mesi precedenti.La coalizione in Iraq ha complessivamente perso circa 2.100 militari, fra cui 95 britannici e 26 italiani. Il numero dei feriti americani ufficialmente dichiarati dal Pentagono in Iraq s'avvicina a 14.500, con una media di oltre 7,5 feriti ogni morto. Gli alleati degli USA in Iraq hanno complessivamente perso 195 soldati così ripartiti: 95 britannici; 26 italiani; 18 Ucraina; 17 Polonia; 13 Bulgaria; 11 Spagna; tre Slovacchia; due El Salvador, Thailandia, Olanda, Estonia; uno Danimarca, Lettonia, Kazakhistan, Ungheria.Gli americani hanno avuto 139 vittime nella prima fase della guerra fino al 30 aprile 2003, e, come detto, almeno 1.763 dopo il 1° maggio 2003.
di Alessandra Baldini (ANSA)
Gli ordini venivano dall'intelligence militare, ma per alcuni soldati torturare i prigionieri di guerra in Iraq era diventato uno sport: lo facevano per puro divertimento. Mentre a Fort Hood in Texas si è concluso il processo contro Lynndie England, nuovi sistematici casi di abusi da parte di militari americani su detenuti iracheni sono stati denunciati dall'organizzazine Human Rights Watch.Gli abusi risalgono al 2003 e 2004 e sono avvenuti in una base delle truppe d'elite della 82esima divisione aerotrasportata nei pressi di Fallujah, spesso su ordine o con l'approvazione dei superiori.Ecco alcuni dati del rappoto di HRW:BASE MERCURY A FALLUJAH - Un capitano e un sergente hanno testimoniato casi di violente percosse e altri trattamenti crudeli e inumani a cui le forze USA della Forward Operating Base Mercury (Fob Mercury) sottoponevano i prigionieri. HRW non ha identificato i militari per nome, ma il capitano sarebbe Ian Fishback che ha documentato alcune delle accuse in una lettera inviata gioni fa a due repubblicani della Commissione Forze Armate del Senato, John Warner e John McCain.Fishback ha avvicinato i senatori solo dopo avere tentato vanamente per 17 mesi di farsi ascoltare dai suoi superiori.PIRAMIDI UMANE E ALTRE TORTURE - L'Esercito USA a questo punto ha aperto un'inchiesta, puntando i riflettori sulla 504esima Brigata dei Paracadutisti di Fanteria della Divisione.In un caso, un soldato é stato accusato di aver rotto una gamba ad un prigioniero con una mazza da baseball. I detenuti erano costretti talora a reggere bottiglioni di dieci litri d'acqua con le braccia tese o a fare esercizi fisici finché non perdevano i sensi. Ad altri venivano applicate sostanze chimiche sulla pelle e sugli occhi.Le denunce parlano anche di prigionieri sottoposti alla privazione del sonno e a sbalzi di temperatura estremi. Li impilavano uno sull'altro in piramidi umane, li privavano del cibo e dell'acqua, proprio come a Abu Ghraib, il famigerato carcere delle torture di Saddam Hussein, divenuto teatro dello scandalo che nella primavera dell'anno scorso ha trascinato nel disonore le forze armate USA.ABUSI PER SFOGARE STRESS - Gli abusi, hanno testimoniato i tre militari a HRW, rientravano nei metodi di interrogatorio adottati nella base, ma in alcuni casi servivano anche per ”eliminare lo stress”. Gli ordini partivano in molti casi dall'intelligence militare, ma “tutti sapevano che se volevi sfogare la tua frustrazione bastava che ti presentassi nella tenda dei prigionieri”, si legge in una delle denunce.“Per molti versi era uno sport. Un giorno un sergente ha preso di mira un detenuto, gli ha ordinato di piegarsi e gli ha spaccato una gamba con una mazza metallica”, si legge nelle accuse dei militari. E in un'altra: “Lo facevamo per noia. Se ci annoiavamo li facevamo mettere in una piramide uno sull'altro. Questo era prima di Abu Ghraib, ma era la stessa cosa. Lo facevamo per divertimento”.ZITTO, PENSA ALLA CARRIERA - L'importante - ha testimoniato uno dei militari - era che non ci scappasse il morto. Ci limitavamo a braccia e gambe rotte”. Il capitano che ha parlato con Human Rights Watch e con i senatori aveva a lungo tentato di informare i superiori nella catena di comando, ma senza successo: “Pensa alla tua carriera”, gli sarebbe stato detto con il consiglio di restarsene zitto.Qualche giorno fa l'ufficiale ha tentato di avere un incontro con McCain, un ex prigioniero di guerra che fa parte della Commissione Forze Armate incaricata di indagare sugli abusi di Abu Ghraib. Il giorno dell'appuntamento gli é stato rifiutato il permesso di lasciare la base.DILAGA NUMERO DI MELE MARCE - Il documento di Human Rights Watch rivela che gli abusi, tra il settembre 2003 e l'aprile 2004, avvennero prima e durante l'inchiesta militare sullo scandalo di Abu Ghraib. Il Pentagono ha attribuito quello scandalo (divenuto di dominio pubblico a fine aprile 2004, ma da gennaio all'attenzione dei comandi in Iraq) all'opera di poche “mele marce”: i poliziotti militari del turno di notte coinvolti nelle foto che hanno fatto il giro del mondo.
Da allora però l'Esercito ha aperto oltre 400 inchieste e punito 230 soldati e ufficiali.
Non è stata ancora evasa la richiesta di rogatoria avanzata dai due Pm antimafia della propcura di Genova, Nicola Piacente e Francesca Nanni, agli USA per accertare se Fabrizio Quattrocchi, la body guard genovese uccisa in Iraq dalle falangi Verdi di Maometto, lavorasse o meno per il governo americano.
L' inchiesta, avviata dai pubblici ministeri genovesi dopo l’omicidio di Quattrocchi, ipotizza il reato di “arruolamenti o armamenti non autorizzati a servizio di uno Stato estero”, previsto dall’art. 288 del codice penale.
Tra l'altro, i Pm vogliono accertare, anche grazie alla rogatoria, la natura della Dts Security, la società creata in Nevada da Paolo Simeone e dalla vicentina Valeria Castellani, entrambi indagati. Terzo indagato dalla procura genovese é il body guard Davide Giordano.
Fanno fortunatamente ancora discutere i criteri di valutazione che hanno portato alla
promozione di due tra i funzionari finiti sotto processo per il comportamento della polizia durante i fatti di Genova del luglio 2001. I due sono Vincenzo Canterini, che era il capo del nucleo sperimentale antisommossa, unica struttura creata nei reparti mobili dalla Ps in vista del G8 e sciolta subito dopo, e Alessandro Perugini, funzionario della Digos genovese, ripreso mentre colpiva a calci un manifestante minorenne, steso a terra e bloccato da altri agenti.
Il deputato di Rifondazione comunista Luigi Malabarba, nel chiedere al governo i criteri di valutazione che hanno portato alla promozione dei due funzionari, ha affermato che “la commissione, presieduta dal grande burattinaio, il capo della Polizia De Gennaro, ha promosso i poliziotti indagati per garantire loro l'impunità. Con il combinato disposto di promozioni e pensionamenti anticipati, De Gennaro sta allontanando quadri formatisi nel movimento democratico di Pubblica sicurezza, oggi ritenuti incompatibili con il nuovo corso”.
A Malabarba ha risposto Oronzo Cosi, segretario generale del Siulp, una volta il sindacato più democratico della Polizia di Stato, parlando di “attacchi violenti ed ingiustificati non soltanto agli uomini, ma soprattutto all’istituzione”. Cosi, peraltro, non ha voluto entrare nel merito delle scandalose promozioni, limitandosi a dire che occorre attendere le sentenze della magistratura.
Riprendono i processi relativi ai fatti di Genova in occasione del G8 del 2001.
Il 20 settembre, nelle aule del Tribunale di Genova, è ripreso il processo, cominciato nel marzo del 2004, contro i 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio.
Il 12 ottobre comincerà invece il dibattimento pubblico per il lager di Bolzaneto. Alla sbarra 47 persone, tra agenti delle forze dell'ordine e personale sanitario per le torture inflitte ai manifestanti nella caserma della Polizia trasformata in carcere temporaneo.
Due giorni dopo, infine, il 14 ottobre, sarà la volta del processo per il blitz alla scuola Diaz, in cui sono imputati 28 poliziotti, tra cui alcuni dei massimi vertici della Ps, compresi i neo-promossi Canterini e Perugini.
Questo processo, in fase di dibattimento pubblico dal 6 aprile scorso, dovrebbe finalmente entrare nel vivo dopo i forti ritardi dovuti al cambio di collegio giudicante. Sarà fissato un calendario molto stretto, due udienze a settimana, e ci si attende che siano a breve ascoltate in aula le testimonianze delle parti lese.
Scomparve alle 21.30 di un mercoledì. Era il 16 settembre del 1970.
Mauro De Mauro aveva parcheggiato la su Bmw blu notte a ridosso del numero 58 di via delle Magnolie, a Palermo. L'ultima a vederlo fu la figlia Franca, che notò poco dopo il padre allontanarsi in auto assieme a degli sconosciuti. Sentì dire “amuninne”, “andiamo”. L'auto fu ritrovata la sera dopo in via Pietro D'Asaro, con un finestrino abbassato.
Scomparve per sempre così De Mauro. Aveva 49 anni. Era il giornalista di punta del quotidiano L'Ora, corrispondente del Giorno e dell'agenzia Reuters. Il suo cadavere non fu mai ritrovato.
Per il suo omicidio la procura di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio di Totò Riina e, proprio alla vigilia di questo anniversario, è stato fissato per il 30 novembre l’udienza davanti al Gup, Umberto De Giglio.
Per gli inquirenti la causa della morte di De Mauro sta nell’artciolo-scoop che il giornalista non doveva scrivere e che avrebbe raccontato i retroscena del golpe Borghese, rivelando un intreccio inquietante tra la destra eversiva e la mafia, tra il “principe nero” Junio Valerio Borghese e i vertici di Cosa nostra, che cospiravano insieme per sovvertire le istituzioni.
Al colpo di stato - nome in codice “Tora Tora”, ideato da Borghese e che sarebbe fallito da lì a tre mesi, nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 - i mafiosi, secondo la tesi investigativa, avrebbero aderito in cambio della revisione dei processi nei confronti dei più importanti capimafia. Cosa nostra avrebbe dato il suo apporto militare, occupando la sede Rai di Palermo, le questure e le prefetture siciliane.
Uno scenario questo piuttosto ardito, ma confermato da diversi “collaboratori di giustizia” fra cui Gaetano Grado. Una pista privilegiata rispetto a quella che porta, invece, alll’assassinio di Enrico Mattei sul De Mauro aveva pure lavorato.
Il presidente dell'Eni era morto il 27 ottobre 1962 mentre faceva ritorno da un viaggio in Sicilia con il suo aereo personale, un Morane Saulinier 760, di recentissima fabbricazione, esploso in volo. Era partito da Catania e precipitato a pochi chilometri da Linate, nei pressi di Bescapè. De Mauro, quando scomparve, stava lavorando alla sceneggiatura del film che il regista Francesco Rosi aveva preparato proprio su quel caso.
L'altro indagato è Bernardo Provenzano, nei cui confronti, però, é stata avanzata richiesta di archiviazione per mancanza di riscontri sufficienti alle accuse dei “collaboratori di giustizia”.
Provenzano era sospettato di avere avuto un ruolo esecutivo, mentre Riina, secondo le risultanze delle indagini coordinate da Gioacchino Natoli e Antonio Ingroia, è accusato di essere stato uno dei mandanti dell'omicidio.
Mauro De Mauro è stato il primo giornalista, di una lunga serie, assassinato in Sicilia. Era nato a Foggia il 6 settembre 1921 e si era trasferito in Sicilia nel 1945, dopo un’ esperienza repubblichina nella Decima Flottiglia Mas, comandata proprio dal principe Borghese. Accusato e poi assolto per aver partecipato al massacro delle Fosse Ardeatine a Roma, De Mauro era pi passato a scrivere per un giornale di sinistra come l’Ora. Per il quotidoiano di Palermo aveva scritto numerose inchieste sui clan palermitani e agrigentini. Aveva esordito raccogliendo le memorie del siculo-americano Tony Mauriello, aveva raccontato la vita di Luky Luciano, intervistato la sorella del bandito Salvatore Giuliano e anche Frank Coppola. Aveva curato, assieme a Felice Chilanti, il grande reportage uscito nell'aprile del 1963 intitolato Rapporto sulla mafia. Aveva raccontato gli esiti di una complessa indagine sul
narcotraffico tra l'Italia e gli Stati Uniti. Nel 1969 si era occupato dell'ennesimo episodio dello scontro mortale tra i Greco e i Torretta per il controllo della città: la strage di viale Lazio, provocata dagli uomini di Bernardo Provenzano, i quali, mascherati da poliziotto, avevano fatto irruzione negli uffici dell'impresa edile dei Moncada-Messina, iniziando a sparare all'impazzata.
Secondo i magistrati, nell'estate in cui scomparve, Mauro De Mauro era venuto a conoscenza del disegno eversivo di matrice fascista, volto a rovesciare gli assetti istituzionali del Paese. Per questo venne eliminato.
Una delegazione diparlamentari e consulenti della Commissione parlamentare che indaga sulla morte della giornalista del TG3 Ilaria Alpi e dal cameraman Miran Hrovatin, assassinati in Somalia nel 1994, si è recata a Saanà, nello Yemen, per ascoltare la testimonianza di Omar Mugne, un uomo d'affari italo-somalo legato alla vicenda Alpi/Hrovatin, nei confronti del quale, però, non è mai stata formalizzata alcuna accusa. Mugne era il titolare della società Shifco che gestiva,per conto del governo somalo di Siad Barre, poi deposto, una flottiglia di pescherecci fornita al governo di Mogadiscio dalla Cooperazione italiana.
Intanto, è giunta in Italia la Toyota pick-up a bordo del quale viaggiavano Ilaria Alpi e Miran Hrovatin quando furono assassinati il 20 marzo del 1994.
L'auto sembrerebbe in buone condizioni, tali da poter procedere a perizie tecnico-scrintifiche mai fatte finora.
Un invito alle autorità vaticane e italiane perché “collaborino” nelle indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta il 22 giugno 1983, é stato rivolto dal fratello della rapita, Pietro, intervenuto ai microfoni della trasmissione televisiva di RaiTre Chi l'ha visto?.
Pietro Orlandi ha sostenuto di aver presentato una istanza per la riapertura del caso, partendo dalle dichiarazioni che Giovanni Paolo II fece sulla vicenda nel corso di un incontro con la famiglia Orlandi.
“Il papa - ha ricordato il fratello di Emanuela - fu piuttosto preciso e la sua é l'unica conferma che abbiamo avuto noi ed alla quale ci siamo affidati: disse 'esiste il terrorismo nazionale e il terrorismo internazionale, quello di Emanuela é terrorismo internazionale’”.
“Mi auguro - ha aggiunto Pietro Orlandi - che finalmente le autorità vaticane e italiane collaborino, d'altronde, Emanuela é una cittadina del Vaticano ed é stata rapita sul territorio italiano... i rapitori ci hanno sempre detto che é stata rapita esclusivamente per la sua cittadinanza".
Rinviato a giudizio anche Silvano Vittor, l'ex contrabbandiere triestino accusato di concorso nell'omicidio di Roberto Calvi, l'ex presidente del Banco Ambrosiano trovato impiccato a Londra sotto il ponte dei Frati Neri, il 18 giugno 1982.
Lo ha deciso il gup Bruno Azzolini che ha accolto la richiesta dei pm Luca Tescaroli e Maria Monteleone.
La posizione di Vittor, difeso dall'avvocato Luigi Greco, é stata riunita a quella degli altri quatto imputati per la morte di Calvi: Pippo Calò, Flavio Carboni, Manuela Kleinszig ed Ernesto Diotallevi, i quali saranno processati il 6 ottobre prossimo.
Vittor, originariamente testimone del delitto, é ritenuto colui che, per conto di Flavio Carboni, controllò l'allora presidente del Banco Ambrosiano durante il suo soggiorno londinese e che concorse nell'omicidio.
Alla base dell'imputazione gli incontri di Vittor con l'antiquario Sergio Vaccari, ucciso a coltellate tre mesi dopo l'assassinio di Calvi e considerato un altro responsabile del delitto, le dichiarazioni di alcuni testimoni, una serie di intercettazioni e le contraddizioni nella sua ricostruzione dei fatti quando era un semplice testimone.
Accuse respinte dall'imputato il quale ha sempre rivendicato la propria estraneità all'omicidio, sottolineando che il suo ruolo fu solo quello di accompagnare Calvi a Londra.
Per la procura, invece, Vittor e gli gli altri quattro imputati “avvalendosi delle organizzazioni di tipo mafioso - é detto nel capo di imputazione - denominate Cosa nostra e Camorra, cagionavano la morte di Roberto Calvi al fine di: punirlo per essersi impadronito di notevoli quantitativi di denaro appartenenti ale predette organizzazioni; conseguire l'impunità, ottenere e conservare il profitto dei crimini commessi all'impiego e alla sostituzione di denaro di provenienza delittuosa; impedire a Calvi di esercitare il potere ricattatorio nei confronti dei referenti politico-istituzionali della massoneria, della Loggia P2 e dello Ior, con i quali avevano gestito investimenti e finanziamenti”.
Il Tribunal de justicia superior brasiliano ha dato via libera alla richiesta di rogatoria internazionale presentata dalla procura della Repubblica di Roma per poter interrogare Achille Lollo, nell'ambito del procedimento penale a carico di Diana Perrone, Elisabetta Lecco e Paolo Gaeta per complicità nel rogo di Primvalle del 1973 in cui persero la vita i fratelli Mattei.
Spetta ora al ministero della Giustizia brasiliano fissare la data per l'interrogatorio di Lollo d'intesa con la magistratura dello stato di Rio de Janeiro, dove egli risiede.
Dal canto suo Achille Lollo ha già fatto sapere agli investigatori e ai magistrati che non risponderà ad alcuna domanda. Non confermerà cioè, quanto da lui sostenuto qualche mese fa, in una intervista, relativamente alle responsabilità di altri militanti di Potere operaio per l'incendio omicida.
Secondo Lollo, da anni residente in Brasile e cittadino di quel paese, “non c'é nulla da aggiungere a quello che ho già detto ai giornalisti e che ho tenuto segreto fino a quando non sono trascorsi più di trent'anni dai fatti e che non possono danneggiare le persone che parteciparono a quella vicenda”.
“Dietro la morte di Mauro ci sono cose molto grosse che ancora fanno paura”.
Così Chicca Roveri ha ricordato a Milano l'uccisione del suo compagno Mauro Rostagno, avvenuta 17 anni fa a Trapani davanti alla comunità per tossicodipendenti Saman di Lenzi, che il sociologo aveva fondato con l'amico Francesco Cardella e la stessa Roveri.
“Mauro - ha proseguito Chicca Roveri - non fa più audience. E' stato scordato e non so perché. E' una persona che avrebbe meritato più tenacia nella scoperta della verità da parte di chi doveva e poteva. Lui era a Trapani, in tv, in una città come quella, che cosa poteva esserci se non la mafia?”.
L’inchiesta sulla morte di Mauro Rostagno, 46 anni, avenuta il 26 settembre 1988, é ormai da anni ferma.
Avviata la procdura di estradizione per Pietro Mancini, ex dirigente di autonomia operaia milanese, condannato in Italia ad oltre 20anni di reclusione per vari reati commessi negli anni Settanta, arrestato a Rio de Janeiro il 23 giugno scorso. Mancini, 56 anni, era fuggito quasi 30 anni fa in Brasile, è stato arrestato nel suo studio di produzione video di Rio a ben nove anni dalla sentenza definitiva che lo ha condannato per rapina a mano armata, associaizone sovversiva e banda armata e per concorso nell’omicidio del vicebrigadiere Antonino Custra, avvenuto a Milano durante scontri di piazza nel 1977.Mancini fa parte del gruppo di ricercati italiani in Brasile per vari fatti risalenti agli anni di piombo, come Achille Lollo, Luciano Pessina e l’anarchico Pasquale Valitutti.In Brasile, dove si è naturalizzato, dove si è risposato con un'italiana e dove é nata la figlia di questo secondo matrimonio, ora ventunenne (in Italia ha tre figli da un primo matrimonio), Mancini è proprietario di una casa produttrice di video e filmati cinematografici e pubblicitari molto conosciuta. Appena arrestato, Mancini ha detto di non avere mai partecipato ad azioni violente, ricordando il suo passato di intellettuale, sociologo e sindacalista metallurgico. Nato ad Ascoli Piceno nel 1948, Mancini é stato sindacalista della Cisl prima di diventare braccio destro del leader di Poeter operaio prima e dell’autonomia operaia dopo, Toni Negri. Per Autonomia Operaia avrebbe partecipato a varie rapinenella zona fra Milano e Cremona. Se concessa, la sua estradizione da parte della autorità brasiliane dovrebbe avere un iter di sette/otto mesi, ma altri casi simili, come quello di Lollo, hanno portato in passato al rifiuto dell'estradizione.
Non gode di alcuna fortuna l’inchiesta sui delitti del mostro di Firenze, giunta ormai al suo 37/mo anno di vita.
La ex moglie del farmacista Francesco Calamandrei - l’uomo indagato nell’inchiesta sui presunti mandanti dei delitti del mostro di Firenze e sul presunto omicidio del medico perugino Francesco Narducci - non può essere sentita come teste. Le sue condizioni psichiche sono talmente gravi da rendere assolutamente impraticabile una sua deposizione nell'ambito di un incidente probatorio, come aveva chiesto il pm Paolo Canessa.
A deciderlo è stato il Gip Antonio Crivelli sulla base di una ulteriore perizia (la terza) sullo stato psichico della donna. Secondo Giovan Battista Traverso, primario di psichiatria forense a Siena, la signora - che sin dal 1985, dal momento della separazione con l'ex farmacista di San Casciano, aveva accusato l'ex marito di essere legato ai delitti del mostro - sarebbe stata colpita da un delirio paranoide che si sarebbe via via aggravato. Da qui l'escalation delle sue accuse nei confronti del marito. Accuse ormai non più utlizzabili.
Se Hamas parteciperà al voto previsto per il prossimo 25 gennaio, Israele potrebbe non rimuovere i posti di blocco in Cisgiordania, rendendo di fatto difficile per i palestinesi recarsi alle urne.
Questo uno dei concetti espressi dal leader israeliano Ariel Sharon che mostra in questo modo di concepire la democrazia non come un valore assoluto, ma solo in funzione delle proprie esigenze.
Nelle previsioni, infatti, Hamas potrebbe ottenere un buon risultato alle urne, a spese del presidente palestinese moderato Abbas, il che non opiace a Sharon.
Le tutt’altro che velate minacce del falco isareliano hanno destato preoccupazione all’interno dell'Autorità Palestinese: “Invitiamo Sharon a restare fuori dai nostri affari interni”, ha detto il capo dei negoziatori palestinesi Saeb Erekat.
La linea aggressiva di Sharon sulle elezioni palestinesi è il contraltare della battaglia politica che sta conducendo all’interno del suo partito, il Likud, dove il premier israeliano deve fronteggiare la sfida da destra di Benjamin Netanyahu, che ha lasciato l'incarico di ministro delle Finanze in polemica con il ritiro delle truppe da Gaza.
Tre noti generali israeliani - uno dei quali ha l’incarico di capo di stato maggiore, mentre gli altri sono ormai nella riserva - rischiano di essere indagati a Londra per crimini di guerra contro la popolazione palestinese in seguito ad una iniziativa giudiziaria congiunta di una associazione palestinese e di un gruppo israeliano di estrema sinistra, Gush Shalom.
Un avvocato britannico è stato infatti incaricato di inoltrare a una corte di Londra un dossier secondo cui nel 2002 i generali Moshe Yaalon e Dan Halutz si macchiarono di un crimine di guerra quando ordinarono la uccisione di un comandante militare di Hamas, Sallah Shehade. Shehade rimase ucciso quando un aereo F16 sganciò una pesante bomba sull'edificio di Gaza dove si nascondeva. Ma assieme con lui furono uccisi anche 15 altri palestinesi (fra cui diversi bambini) e molti furono feriti.
L’organizzazione Gush Shalom ha spiegato di aver cercato ripetutamente di sottoporre al giudizio della Corte Suprema di Gerusalemme il comportamento di Yaalon (allora capo di stato maggiore, oggi in pensione) e di Halutz (allora capo della aviazione militare, oggi capo di stato maggiore), “ma le tergiversazioni dei giudici israeliani sembrano non finire mai”. Di conseguenza Gush Shalom ha deciso di rivolgersi alla giudizia britannica che ha già spiccato un mandato di arresto contro un terzo generale israeliano (riserva), Doron Almog.
Questi - accusato di aver fatto radere al suolo decine di abitazioni palestinesi a Gaza – è di recente sfuggito di misura agli arresti quando (ignaro delle indagini) é atterrato a Londra per una visita privata. Prima che uscisse dal velivolo giunto da Tel Aviv é stato informato da un diplomatico dell'ambasciata di Israele che era ricercato dalla giusizia britannica e ha preferito rientrare in patria con lo stesso aereo.
La Corte suprema cilena ha definitivamente assolto Augusto Pinochet da ogni responsabilità nei crimini commessi durante la dittatura in Cile (1973-1990) nell'ambito della cosiddetta Operazione Condor.
La Camera penale del massimo tribunale ha infatti dichiarato “inammissibili” i ricorsi interposti dai familiari delle vittime alla sentenza di assoluzione emessa nel giugno scorso dalla Corte d'appello della capitale.
In quella occasione, la Corte aveva revocato il rinvio a giudizio, deciso nel dicembre 2004 dal pm Juan Guzman, per nove sequestri specifici ed un omicidio, considerando che gravi problemi di salute rendevano impossibile all'imputato sostenere un processo.
L’Operazione Condor riguarda l'accordo raggiunto negli anni Settanta dalle dittature del Cono Sud latinoamericano per arrestare in qualsiasi paese aderente e trasferire senza ostacoli legali gli oppositori.
Assume sempre più i toni di un giallo la vicenda dell’identificazione, da parte del Pentagono, già nel 1999, di Mohamed Atta e di altri tre terroristi-kamikaze morti nell'attacco dell'11 settembre 2001.
Un dipendente del Pentagono si appresta a deporre la settimana prossima di fronte al Congresso per sostenere che gli fu ordinato di distruggere i documenti relativi ad Atta.
Il caso è nato nelle scorse settimane dalle rivelazioni di un deputato repubblicano, Curt Weldon il quale ha rivelato l'esistenza di un programma segreto, noto come “Able Danger”, che negli anni scorsi fu utilizzato dal Pentagono per raccogliere informazioni d'intelligence antiterrorismo. Il programma aveva alcuni aspetti che potrebbero essere ai limiti della legalità perché permetteva ai militari di raccogliere informazioni all’interno degli Stati Uniti, violando tutte le leggi sulla privacy.
Secondo Weldon e due ufficiali che hanno avvalorato il suo racconto, il colonnello dell'Esercito Anthony Shaffer e il capitano di Marina Scott Phillpott, tra i documenti distrutti ne figuravano alcuni relativi alla presenza sospetta negli Usa di Atta e di altri tre terroristi, sia pur senza indicarli con certezza come seguaci di Al Qaida. Il che starebbe a dimostrare che in alcuni ambienti del Pentagono poteva essere nota la preparazione degli attacchi aerei dell’11 settembre.
La Commissione d'inchiesta che ha indagato sull'11 settembre aveva ritenuto prive di fondamento le rivelazioni di Weldon. Ora indaga il Congresso.
Segnali di pace sempre più evidente giungono dal Paese Basco dove, secondo la stampa non smentita dal governo, l'organizzazione armata ETA si preparerebbe a dichiarare una tregua generale entro i prossimi tre mesi. Ma a questi segnali se ne mischiano altri provenienti da Madrid dove la magistratura continua ad inquisire per presunta complicità con l'Eta dirigenti politici e sindacalisti baschi.
Secondo quanto rivelato dal quotidiano El Mundo, vi sarebbero stati durante l'estate “contatti indiretti fra governo e la banda terroristica”. Il giornale cita “fonti dei servizi di informazione” secondo cui, in seguito a tali conversazioni, l'ETA sarebbe pronta ad annunciare una tregua entro i prossimi tre mesi.
Anche il quotidiano La Razon ha scritto che si sta andando verso una tregua, citando fonti dei servizi segreti secondo cui contatti mantenuti ad agosto con ETA sarebbero stati “fruttuosi”. Secondo La Razon i contatti preliminari sono stati tenuti da “un intermediario”, un politico “con ampia conoscenza” della situazione basca ed hanno portato a risultati positivi. Ma, ha rilevato ancora il giornale, le recenti azioni della magistratura contro dirigenti del Partito Comunista delle Terre Basche (EHAK) hanno “spiazzato” ETA che “contava su un'attenuazione della pressione giudiziaria”.
I dirigenti di EHAK sono accusati di aver agito in accordo con il disciolto partito Batasuna, considerato ala politica dell'ETA e con i cui voti il partito é entrato nell'aprile scorso al parlamento regionale.
A credere che la pace, malgrado tutti gli ostacoli, sia a portata di mano, si sono detti anche dirigenti politici. Il leader di Sinistra Unita (IU), Gaspar Llamazares, ha riconosciuto che esiste già una “tregua di fatto” nel Paese Basco dove l'Eta non uccide piu' da 27 mesi e quello che manca é solo l'annuncio di un cessate il fuoco generale e la fine della lotta armata.
Secondo Llamazares “ci sono dati obiettivi” che indicano che ci si trova di fronte ad “un processo che può portare ad una tregua”.
Anche il leader del partito socialista basco (PSE), Patxi Lopez, ha detto che “esiste buona volontà” da tutte le parti e che “l'importante é cominciare a parlare per vedere se si riesce a tracciare una road map”.
Unica voce discordante quella del Partito Popolare (PP) che per bocca del suo leader, Mariano Rajoy, ha detto che “sarebbe molto grave” se fosse in corso un negoziato perché l'ETA “farà una tregua solo se le conviene e con l'unico obiettivo di conseguire i propri fini”.
Una tregua, rilevano gli osservatori, accoglierebbe comunque la principale domanda del governo il quale, dopo aver ricevuto nei mesi scorsi un via libera dal parlamento, si é detto disposto al dialogo se ETA dimostrerà concretamente di voler porre fine alla violenza. E una tregua spingerebbe il parlamento a fare un altro passo e ad autorizzare il negoziato.
Attualmente l'ETA - che continua a far esplodere bombe a basso potenziale per ricordare che esiste - mantiene un “cessate-il-fuoco unilaterale” dal 2004 in Catalogna e un altro, dichiarato nel giugno scorso, nei confronti degli esponenti “eletti” dei partiti politici spagnoli.
Per dichiarare una tregua, rinviando al negoziato l'abbandono definitivo delle armi, é verosimile che ETA pretenda in cambio almeno garanzie sulla liberazione dei detenuti politici. Oltre al riconoscimento dell'illegale Batasuna come interlocutore all'interno del quadro politico basco.
Fonte: Giulio Gelibter dell’ANSA
Due nuovi indagati per stabilire la verità sull'omicidio e sull'occultamento dei resti del piccolo Silvestro Delle Cave, il bambino di sette anni di Cicciano (Napoli), assassinato da una banda di pedofili nel 1997.
Secondo quanto riferisce il quotidiano Il Mattino, accertamenti sarebbero in corso su due uomini di Roccarainola che potrebbero aver aiutato i responsabili dell'omicidio a nascondere il cadavere del bambino.
Per il delitto furono arrestati il contadino 70/enne Andrea Allocca, poi morto in carcere, il genero Pio Trocchia, condannato per l'omicidio, e l'altro genero dell'agricoltore, Gregorio Sommese, condannato e scarcerato pochi mesi fa: a suo carico solo l'accusa di aver contribuito all'occultamento dei resti del corpicino del bimbo.
In un primo momento gli indagati sostennero di aver sepolto quei resti in un fondo agricolo, ma nell'aprile scorso le ossa di Silvestro sono state scoperte in una valigia all'interno di un appartamento abbandonato.
I due uomini su cui si indaga sarebbero stati visti entrare più volte nell'abitazione dove si trovava la valigia con i resti.
Fonte: ANSA
Ammonta a 4.116 milioni di euro il giro d'affari della 'Ndrangheta sul versante dell'usura e delle estorsioni. Le stime sono dell'Eurispes e si riferiscono al 2004.
Un fatturato che rappresenta oltre il 30 per cento dell'intero provento di settore delle quattro principali cupole mafiose, stimato in 13.520 milioni di euro.
Per introiti provenienti dall'usura e dalle estorsioni, la 'Ndrangheta è seconda solo alla Camorra per la quale l'Eurispes ha stimato proventi pari a 4.703 milioni di euro. A seguire Cosa nostra con 3.526 e la Sacra Corona Unita con 1.175.
Di seguito i principali attentati compiuti dal giorno in cui due aerei di linea dell'American Airlines, dirottati da un commando di 19 terroristi, si schiantarono contro le Twin Towers a New York e un altro distrusse un'ala del Pentagono a Washington. Un quarto aereo dirottato precipitò (o più probabilmente) venne abbattuto su un campo in Pennsylvania.
12 ottobre 2002: Attentato davanti ad una discoteca di Bali, in Indonesia. I morti sono 202, tutti turisti di varie nazionalità, 88 sono australiani. Dietro la strage la mano di Jemaah Islamiah, organizzazione sospettata di legami con al Qaeda.
28 novembre 2002: tre kamikaze si fanno esplodere davanti ad un albergo frequentato da turisti israeliani a Mombasa, in Kenya, provocando la morte di 18 persone.
16 maggio 2003: Quarantacinque persone - tra cui un italiano - restano uccise in cinque attacchi compiuti da estremisti islamici contro strutture occidentali ed ebraiche di Casablanca, Marocco.
16 e 20 novembre 2003: Nel mirino dei terroristi due sinagoghe di Istanbul, il consolato e una banca britannici: oltre 50 i morti.
11 marzo 2004: La strage di Madrid. Sono 191 i morti accertati degli attentati alle stazioni ferroviarie della capitale spagnola. L'attacco viene attribuito dall'allora premier José Maria Aznar all'ETA, ma subito emerge la pista del terrorismo di matrice islamica.
30 maggio 2004: Ventidue persone, in maggioranza stranieri - e tra loro un italiano - restano uccisi in una serie di attacchi in Arabia Saudita contro un ufficio e degli edifici abitati da occidentali nel complesso di Al Khobar a Riad.
24 agosto 2004: Due aerei russi precipitano a distanza di poche ore di distanza l'uno dall'altro nel sud del Paese dopo che vengono fatti esplodere ordigni a bordo da terroriste cecene. Novanta i morti accertati.
1 settembre 2004: E' la strage di Beslan. Un commando, composto da 30 terroristi di varia nazionalità, ma legati all’irredentismo ceceno, fa irruzione nella scuola numero uno della cittadina dell'Ossezia del Nord, prendendo in ostaggio oltre mille persone. Le teste di cuoio russe intervengono due giorni dopo ed é il massacro: oltre 330 i morti, la maggior parte dei quali bambini.
7 luglio 2005: Londra sotto attacco. Sono cinquantasei le vittime - tra cui una cittadina italiana - della serie di attentati suicidi compiuti in tre stazioni della metropolitana e a bordo di un autobus di linea. Il commando é composto da quattro estremisti, tutti nati in Gran Bretagna. Due settimane dopo la replica, ma il bilancio é di appena un ferito.
23 luglio 2005: Almeno 64 persone, di cui sei turisti italiani, rimangono uccisi nell'esplosione di una serie di autobombe a Sharm el Sheikh, località balneare egiziana sul Mar Rosso.